Alfabeta - anno IV - n. 43 - dicembre 1982

:: Cfr. il verri rivista di letteratura diretta da Luciano Anceschi numero 22-23, 1981 Uscito con il consueto ritardo (tanto che in copertina vi è un'opera di Luigi Veronesi del 1982mentre la data della rivista è 1981) questo numero de il verri sfida impunemente il tempo e dimostra che l'attualità culturale è fatto del tutto diverso dalla volgare periodizzazione che i mass-media si inventano per supportare il loro crescente vuoto. Certo, Goethe continua a far notizia, e ha fatto ancor più notizia con la ristampa della sua Teoria dei colori (Milano, il Saggiatore, 1979). «il verri - è scritto nell'editoriale - si era proposto di recensire il libro; ma poi si è pensato che la nostra considerazione per il lavoro di Troncon poteva trasformarsi in una collaborazione utile per i lettori del verri, e non solo per loro». Dunque Renato Troncon si è messo di nuovo al lavoro, per cosi dire, e ci ha messo a disposizione un risultato che si può tranquillamente propone testi compresi in Passi passaggi (Milano, Mondadori, 1980). Eppure, come sempre avviene quando l'autore si rilegge intenzionalmente, il nuovo contesto risemantizza gli elementi che concorrono a costituirlo. In questo caso sono soprattutto le poesie inedite, datate 1980-81, a provocare la rilettura. La vocazione narrativa, sempre urgente in Porta, conduce da una parte il racconto in versi alla denuncia spoglia, e tuttavia esasperata sino all'allucinazione, di una violenza esterna che penetra nello spazio franante ove si resiste nudi, in assenza di oggetti, aspettando seduti «sull'ultima sedia• («qui mi sembra che ci sia, la mattina, / una sega che taglia a fette la casa; / quando avrà finito il suo lavoro / l'ultima parete cadrà e la stanza da letto/ rimane spalancata / sopra una frana di immondezze e calcinacci, I Il posso gettare quello che è rimasto»). Ma intanto si fa strada, fra i residui di un comunicare muto, fra grugniti e guaiti, il bisogno di sciogliere la parola, di «parlarla insieme», «svelata con le radici,., di pronunciare l'io/noi della complicità, prima che del riscatto. Ecco: la dicotomia dentro/fuori parrebbe risolta in una sensitività vigile, in uno sguardo privato e collettivo («preferisco vivere, perfino guardarmi guardare, / adesso esco, sta suonando l'ora d'aria»), che dà corpo alla parola-oggetto in una rapida successione di fotogrammi nitidissimi (penso alla forza eidetica delle sillabe che, disponendodefinire capitale. """_,..__.,, Il numero del verri si articola in due it~~ ,., parti, precedute da tre poesie tradotte t~~;:(· con gusto ironico, «di profonda cono- .._,.., t scenza», da Anselmo Turazza. Cia- ,(# scuna parte ha una premessa (di R. '5;• ·• ·# Troncon) di carattere generale e par- ':';r)' i -.;,!: ticolare (il carattere generale si riferì- ~-=---_;:::r-__..l:! sce agli scritti di Goethe sul colore e quella particolare agli scritti dei saggisti e dei pittori anche teorici del colore). La prima parte contiene saggi di Rudolf Steiner, Hermann Glockner, Werner Heisenberg; la seconda scritti di Vincent van Gogh, Wassily Kandinsky, Josef Albers, Paul KJee, Franz Mare. Infine un saggio conclusivo di Troncon, con esauriente bibliografia. Con questo numero il verri torna all'incisività dei suoi tempi d'oro, qu·ando preparava numeri, anche monografici, che diventavano subito passaggi obbligati per la cultura italiana, e non solo per essa. È un segno molto positivo questo, come si stesse preparando un recupero e insieme una rinascita della volontà di fondare e fare che infiammò tutti gli anni sessanta. Altri segnali si notano, e non vi sono dubbi che sia ormai necessario ricominciare a sfidare senza più remore l'indifferenza del tempo. A.P. Antonio Porta L'aria della fine Catania,Lunarionuovo, 1982 pp. 85, lire 10.000 Le brevi tenere che Antonio Porta riunisce sotto un titolo misuratamente apocalittico rappresentano l'esito maturo di una scrittura tesa, espressionistica, cosl consapevole del proprio spessore da poterlo mutare in trasparenza, inaugurando una diversa fase poetièa. Non si tratta di materiale completamente inedito: una sezione, la prima, presenta infatti poesie già appartenenti a un romanzo (/1 re del magazzino, Milano, Mondadori, 1978), mentre la seconda (1978) riIUl,t:t;dy11 IU ,a si in cifra, testimoniano visivamente il genocidio di Teli El Zaatar). Proprio il guardare è del resto spia lessicale che tematizza e connota la produzione recente di Porta: un guardare che è sempre meno straniamento o autoesclusione (dietro un muro, una porta, una tenda, una finestra, non importa), ma modo di rapportarsi alle cose, concretamente, corporalmente («vedo quello che vivo, per mezzo delle cose, / ne vedo, I ne vivo»). L'universo di immagini consegna alla pagina l'immediatezza dell'evento, che esclude il dilemma vivere/guardarsi vivere: alla contrapposizione succede la contiguità di aree semantiche assimilate («preferisco vivere, perfino guardarmi guardare ... »). Ed è come dire che non si fa posto, nel rigore asciutto di un verso senza pathos, a lacerazioni fittizie che celebrano una elitaria, estetizzante frantumazione dell'io: la poesia insegna semmai che occorre «vivere in anticipo,., per «non farsi sorprendere•. Fosse pure dai tranelli della scrittura, celati fra gli strati sovrapposti del linguaggio istituzionalizzato: da qui la scelta di periodi paratattici e anaforici, o l'asciutta sequenza di folgoranti frammenti onirici, colti da uno sguardo fermo, limpidamente visionario, che il sogno lo vede «ad occhi aperti». La domanda con cui si apre L'aria della fine, apparentemente innocua e tuttavia inquietante e anomala («e mi chiedo di quale semplicità / mio figlio e mia figlia di quale semplicità hanno bisogno per capire») riceve intanto risposta nella compostezza di una parola che scioglie il furore iconico in respiro disteso: «non penso a te, mia· cara, non penso al lavoro/(come dovrei, come devo, per garantirmi/ per garantirti ... )». Una semplicità anch'essa risemantizzata, senza alibi né cedimenti, per nulla dimessa e arrendevole, propria di un poeta che, se non sa essere «poeta-ciotolo», non possiede neppure, d'altro canto,da poeta-bambino, il pudore della finzione, né quello della remissività. Niva Lorenzini La Teogonia di Esiodo e tre' inni omerici nella traduzione di Cesare Pavese a c. di Attilio Dughera testo greco a fronte Torino, Einaudi, 1982 pp. 107, lire 5.000 Per Le opere e i giorni Esiodo venne detto «un Romano tra i Greci». Affatto diverso, e veramente greco nel tessere questa progressiva aristia di Zeus, è l'Esiodo della Teogonia; dove si narra la successione UranoCrono-Zeus ma 'mirata' su quest'ultimo, che alla fine regna non solo perché potente e terribile nelle sue ire (Prometeo, Pandora, Tifeo), ma perché il più forte e saggio. All'origine è il Caos, !'«abisso spalancato», e Gaia, che «per primo generò simile a sé / Urano stellato, affinché lei tutta avvolgesse,.. Dagli amori di Cielo e Terra nascono i primi dei, e Crono, che separerà Gaia da Urano evirando il padre (dalla spuma del membro scagliato in mare e vagante per le acque nascerà Afrodite). Dopo gli Uranidi, ecco tra le altre le stirpi di Nyx, Eris, Gaia e Ponto, Teti e Oceano, i Titani e infine i Cronidi - che il padre trangugia appena nati da Rea (come Urano seppelliva i figli neonati nel ventre di Gaia), per scongiurare la profezia che lo vuole spodestato da uno d'essi: cosa che avverrà a opera di Zeus. Dopo la battaglia coi Titani e la lotta finale con Tifeo, Zeus regnerà beato sull'Olimpo, dando vita alla nuova stirpe. Sugli elenchi degli Eroi e Semidei della nuova storia la Teogonia s'interrompe. Invece della classica versione di Ettore Romagnoli, la traduzione offerta qui, a fronte del testo greco, è quella «interlineare» e ritmica di Cesare Pavese - sicché il libretto è anche un piccolo avvenimento editoriale nel corpus pavesiano. Come è noto, Pavese mise insieme in vita una cospicua bibliotechina di traduzioni dall'inglese e americano, ma tutte di prosa, e pressoché tutte tra il 1930 e il 1940. Nel decennio seguente, non tradusse quasi, e invece collaborò, generosamente, alle traduzioni della Spoon Rive, Anthology di Fernanda Pivano (1943), delle Leaves o[ Grass di Enzo Giachino (1950) e soprattutto dell'Iliade di Rosa Calzecchi Onesti (1950). Nessuna traduzione sua di opere di poesia era stata finora edita. Ma tra le carte pavesiane, oltre a una versione giovanile del Prometeo liberato di Shelley, se ne sono conservate molte, soprattutto dal greco: fondamenta sparse di quella abitudine ai classici che troverà compiuta espressione nei Dialoghi con Leucò, l'opera perfettissima di Pavese. In questo libretto il curatore Attilio Dughera ha messo a frutto alcune sue benemerite incursioni tra le carte inedite pavesiane, di cui aveva già offerto un rendiconto in rivista (Studi Piemontesi IX, 1980). Spiacè constatare che le traduzioni (datate dal curatore al 1947-1948)abbiano un valore ancora privato: incerte e con qualche tibicen e, in genere, una obbligante interlinearità. Perciò l'apparato variantistico mi sembra qui francamente eccessivo. Certo, per sapere come andavano resi Omero e i classici secondo Pavese, bisognerà continuare a riferirsi ali' Iliade nella versione della Calzecchi Onesti. E qui davvero sarebbe illuminante un raffronto tra le versioni pavesiane conservate nelle carte (nove libri: I-III, V, X-XI, XV, XXIIIXXIV) e i primi manoscritti della giovane e brillante traduttrice, e poi le lettere di lavoro, l'altro materiale editoriale (se è sopravvissuto), infine la versione apparsa a stampa. Marco Leva AB Lea Vergine L'arte ritrovata Milano, Rizzoli, 1982 pp. 126, lire 33.000 Nel 1980 Lea Vergine ha curato per il Comune di Milano la mostra «L'altra metà dell'avanguardia», volta a illustrare l'apporto diretto, come produttrici di opere, delle donne all'avanguardia delle arti figurative nel nostro secolo. L'arteritrovata è la cronaca vissuta delle ricerche, degli incontri, delle esperienze cui la preparazione della mostra ha dato luogo sul piano personale, con pittrici, scultrici, scenografe, talvolta ancora viventi, più spesso rievocate nelle tracce che hanno lasciato nei ricordi di chi le conobbe e con loro collaborò. Il ricc\ùssimo materiale illustrativo pubblicato nel libro, tratto da una non certo facile indagine su archivi e pubblicazioni del recente passato, ma in parte dovuto a Maria Mulas, per le fotografie delle artiste viventi, assume tutta la rilevanza di un vero e proprio testo. Il commento di Lea Vergine, sapientemente giocato tra le necessità della informazione e la partecipazione personale, affettiva, sembra volere, con discrezione, lasciare il posto alle immagini. Ma, a una lettura più attenta, la scrittura viene a emergere come testimonianza di una maniera specifica (la diremo «femminile») di cercare dietro l'opera la persona, di abbozzare, entro queste storie di «artiste», altrettante storie di «donne». Ne nasce a riscontro un capitolo - o almeno un paragrafo ulteriore - delle difficoltà che anche nel nostro secolo, e persino negli ambienti più aperti, il soggetto femminile incontra nel suo cammino verso la produzione, anche creativa, il riconoscimento, l'affermazione. Mario Spinella " \,' ,$ .. J ~--=,,. ' ! ,. ~ Marka periodico di arte, politica, cultura, attualità Ascoli Piceno, D'Auria ed. «Marca. (si legge sul vocabolario e sul frontespizio di Marka), significa «regione di confine: termine feudale che sopravvive in numerosi toponimi: M. Trevigiana; Le Marche{ ... ); genericamente, indica 'regione' (dal franco marka, 'segno di confine')». E, in qualche modo, la rivista Marka risponde sotto molti rispetti a queste definizioni: è stampata ad Ascoli Piceno, curata da un gruppo di intellettuali marchigiani; il suo raggio di intervento si vuole principalmente (anche se non esclusivamente) legato a una dimensione regionale; poi, cercando intersezioni significative tra discipline diverse, si presenta come un «segno di confine» tra le pratiche artistiche, quelle letterarie, quelle culturali in senso ampio. Per tutti questi motivi, Marka risponde sia a una realtà propriamente geografica (il «rinascimento», economico ma anche culturale, che in questi ultimi anni sta interessando le Marche), sia a una tendenza intellettuale più diffusa, quella di «rimettere in discussione la nozione di 'centro', mentre emerge quella di 'periferia', ciò che meglio noi chiamiamo 'marca'». M.F. Mensiledel cibo e delle tecniche di vita materiale A chi si abbona entro il 31 dicembre 1982 in omaggio una litografia a colori formato mm 350x500 in edizione esclusiva e numerata Abbonamento per un anno (II numeri) Lire 30.000 (Italia) Lire 36.000 (estero), Lire 45.000 (via aerea) Inviare l'importo a: Cooperativa Intrapresa Via Caposile 2 • 20137Milano Conto Corrente Postale n. 1S431208 Imrapresa mailing in edicola il numero di dicembre OTTAITTAqlORill rdcconti di notizie Silvio D'Arzo inedito la moda del Natale 1 retroscena della strage di Bologna mensilein emiliaromagna casella postale 296- 42100 reggio emilia ~ESl~10: l ~liC.1 ~ ~iE!

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