Martin Heidegger L'arte e lo spazio Genova, Il melangolo, 1979 Seymour Chatman Storia e discorso Parma, Pratiche ed., 1981 pp. 330, lire 10.000 Jacques Petitot Strutture topologiche della semiotica Università di Bologna, aprile 1982 Salvatore Sciarrino «Vanitas» in O testo musicale, 5 incontri con e sulla musica Bologna, maggio 1982 Ilya Prigogine Tempo, entropia, dinamica Istituto Gramsci Roma, maggio 1982 N on deve stupire come alcuni contributi teorici apparsi negli ultimi tempi ci offrano la possibilità di rintracciare una pista, interna alle scienze sociali, che da un po' di tempo in qua rischiava di non essere più percorribile. Ed è sintomatico come questa nuova traccia si strutturi a partire da una rilettura, basata su mutati parametri, di alcuni testi scientifici ormai «classici». Ancora una volta si torna a parlare dei due «grandi» universali e dei loro rapporti - rapporti che non sono mai stati ottimi, anzi, potremmo tranquillamente definirli pessimi, - in confronti che li danneggiano entrambi. E se si vuole essere onesti è sempre stato il tempo a «rimetterci» nei suoi rapporti con lo spazio, soprattutto nell'àmbito scientifico: «la trattazione del problema del tempo parallelo allo spazio ha avuto conseguenze dannose: si era consapevoli soltanto di quei problemi che non esistono per il tempo (come la 'congruenza speculare delle immagini') piuttosto che delle ·sue caratteristiche specifiche ( ... ). Considerare l'ordine del tempo come un problema di scienza naturale, quindi combinandolo allo spazio in . una molteplicità quadridimensionale, ha avuto finora l'effetto di confondere i termini del problema» (H. Reichenbach, Filosofia dello spazio e del tempo, pp. 132-33). Detto in altre parole (non mie): «la storia della scienza è stata la storia dell'eliminazione del tempo (perché in fisica il tempo non è che u·nparametro, o una variabile indipendente)» (Prigogine). E anche quando la fisica ha obbligato i matematici a integrare la dimensione temporale nel loro apparato teorico, questa integrazione si è realizzata con una operazione di assimilazione del tempo allo spazio, attraverso l'introduzione di concetti come velocità e accelerazione - si è assiCARTA ì rt;J!WI Ji't'..__-.;1JL\'"AJI'~ SpazioT, empo stito insomma a una spazializzazione del tempo. (E questo nel momento in cui la geometria analitica, il calcolo delle derivate e gli integrali con la loro riuscita relativa sembravano aver scoraggiato delle ricerche che partissero da uno studio del tempo). È solo con la termodinamica che il tempo si libera dallo spazio: non si parla più di movimento (per Aristotele il tempo era il «numero del movimento») ma di trasformazione, e si introduce il concetto di entropia: «Tous les systèmes qui présentent un sens de l'écoulement du temps ont en commun la propriété de passer d'un état de haute organisation à un état désorganisé» (J. De Rosnay, La valeur du lemps, p. 56). Dopo Einstein, inoltre, siamo perfettamente convinti della necessità di una concezione globale dello spazio/ tempo, ma questa non deve prescindere da quelle che sono le caratteristiche peculiari ai due termini e dalla loro differenza ontologica. Con la teoria della relatività noi arriviamo ad avere una metrica naturale per la molteplicità spazio-temporale, ma ciò non significa che lo spazio e il tempo debbano perdere le loro specifiche differenze individuali: «il tempo permane tempo in tutte le sue proprietà caratteristiche, pertanto la combinazione dello spazio e del tempo sotto un 'unica metrica non può cancellarne le differenze» {H. Reichenbacb, op. cit., p. 210). M a ritornando in ambito più strettamente 'sociale' (utilizzato qw come spontaneo termtne-ombrello ), vediamo come la coppia spazio/tempo_tenda ad assumere. le forme più improbabili, i colori più sfumati: le inferenze logiche diventano metafore e il senso defluisce vigoroso. l. In semiotica abbiamo dovuto assistere, in questi anni, a un vero e proprio pronunciamento sulla priorità del tempo narrativo rispetto allo spazio, ribaltando clamorosamente tutti gli assunti scientifici: «In letteratura la percezione si attua su una sequenza temporale e lo spazio può essere indefinito senza che la struttura narrativa ne risenta» (B. A. Uspensky, Study of Point of View: Spatial and Tempora/ Form, p. 20). «Posso raccontare una storia senza precisare il luogo, mentre mi è quasi impossibile non situarla nel tempo rispetto alla mia enunciazione» Marco Jacquemet (G. Genette, Figure lii, p. 77). «Nei testi lo spazio si trova al servizio del tempo, ad esempio in Madame Bovary gli spostamenti del personaggio producono lievi rotture 'che fanno progredire il racconto, rendendo sensibile lo svolgersi del tempo ritmandolo» (Bourneuf-Ouellet, L'universo del romanzo, p. 93). Tutto giusto naturalmente, ma questo sapore di ovvietà non può che allarmare, le levate di scudi di queste dimensioni fanno sempre venire dei sospetti - sospetti di essere stati troppo sommari, approssimativi, grossolani. Dalla scrittura come sequenze ordinate in serie, ancora locali, situate nel presente, alla localizzazione di queste sequenze (attraverso la memoBernard Zamagna, La macchina volante di Francesco Lana ria e la causalità) e alla sovrapposizione di queste localizzazioni (in ordine e durata), si mette in moto un processo estremamente articolato, e chiamare in causa il solo tempo diventa tutto sommato la via più semplice per spiegare il tutto. (E poi, un testo in cui non sia definito lo spazio mi sembra un'assurdità tale da non dovervi spendere ulteriore inchiostro). Di questo si sono resi conto gli ultimi lavori rispettivamente di Eco, Greimas e Chatman. Ma se i primi due· sono riusciti a non lasciarsi coinvolgere in nessuna rissa sullo spaziotempo (Eco implicitaménte, Greimas con una teoria semiotica incentrata direttamente sui «programmi narrativi», vedi il Dictionnaire), Chatman sembra ancora risentire dello «squilibrio» provocato dal volersi a tutti i costi pronunciare: «A differenza della sequenza temporale, la collocazione o disposizione fisica del luogo non ha una logica naturale nel mondo della realtà. Il tempo passa per tutti noi nello stesso senso dell'orologio (se non alla stessa velocità psicologica) ma la disposizione spaziale di un oggetto è relativa ad altri oggetti e alla posizione dello spettatore nello spazio» (S. Chatman, Storia e discorso, p. 101). A parte le dubbie considerazioni su un tempo percettivo orientato, spiace vedere come ci si perda ancora dietro a queste distinzioni, piuttosto di cercare un loro superamento, che è lì a portata di mano, in quella sua teoria dei «nuclei/satelliti» (Chatman, op. cit., p. 52), tra l'altro straordinariamente parallela a quella sui «programmi narrativi» di Greimas. 2. Ma la semiotica non sguazza da sola in questa palude. Negli studi sulle arti figurative la situazione è meno grave ma identica, e ancora una volta rovesciata: «Una volta ammesso che l'arte è il porre-in-verità, il lasciar-essere-nell'opera la verità, e che verità significa non-ascosità dell'Essere, non ne consegue allora che nell'opera d'arte figurativa è per l'appunto lo spazio vero ad assegnare la misura, quello che disvela il suo più proprio esser-proprio?» (M. Heidegger, L'arte e lo spazio, p. 17). «La struttura del quadro è legata completamente alla costituzione metafisica del suo spazio» (J.-L. Schefer, Scenografia di un quadro, p. 136). «In pittura la percezione verte essenzialmente sullo spazio e non necessariamente sul tempo ( ... ) il tempo è un elemento non essenziale della struttura delle forme pittoriche» (Uspensky, op.cii., p. 21). Ancora un banalizzare uno dei due parametri (e personalmente ritengo che la temporalità. abbia da qualche parte uno stretto rapporto con i colori, ad esempio, ma questo è un altro discorso), ancora un triste panorama di lotte intestine. L'unica consolazione rimane nel constatare che tutti i più «autorevoli» studiosi in materia (da Panofsky a Marin, per dirne due) se ne sono tenuti «alla larga». Ma questo non è ancora sufficiente. 3. Come sempre, la teoria musicale è quella che si spinge più avanti (come d'altronde tutta la musica rispetto alle al!re forme espressive), e in un certo senso si è già sbarazzata di quell'ovvietà che vuole la musica «arte del tempo» (come d'altronde i musicisti si sono da sempre preoccupati di dare una dimensione «spaziale» all'orchestra attraverso uno studio sulla collocazione in scena dei vari strumenti). Sciarrino si preoccupa di raccontarci dove sta andando la musica: «Vanitas gravita nel vuoto, non tanto per la rarefazione della sua musica, quanto perché il concetto di vuoto vi è, per così dire, reso fin nella realizzazione dei particolari. (... ) Ancora, l'uso del secondo scappamento, da solo, sottrae il suono protagonista e lo allontana, suscitando in primo piano un vuoto psicologico, come se 'un altro' suonasse 'di là'. Nel silenzio, poi, emerge la risonanza di fondo; e si intuisce la dimensione dei grandi spazi, inabitati; un vuoto infinitamente echeggiante, dove fluttuano la voce e il suo doppio vibrante, il violoncello» (S. Sciarrino, «Vanitas», p. 2). E eco, trovare un musicista che evoca così prepotentemente lo spazio mi spinge ad avanzare. un'ipotesi: la ricerca di una modellizzazione epistemica nelle scienze sociali deve partire da un ambito spazio/temporale ma per superarlo quasi immediatamente. Un'indicazione in questo senso mi viene da lontano, è già stata preparata dal filosofo tedesco che per primo si era opposto alla spazializzazione del tempo: il Leibniz del calcolo infinitesimale. L'indicazione è nella topologia come «science du qualitatif, la topologie, préparée par Leibniz entrevue par Euler et fondée par Riemann et d'autres, s'installe peu à peu comme science du qualitatif, esthétique rigoureuse, donc globale» (M. Serres, Espace et temps, p. 19). Si vuole cosi considerare gli eventi (quindi gli oggetti di studio) nel loro unico· valore posizionale, sia spaziale che temporale, e prendere questo come scala canonica per ricomporre un nuovo ordine, al di là della dicotomia spazio/tempo. Questo significa anche unificare risultati di analisi in àmbiti di ricerca tra.loro finora distanti: dalla fisica (e con l'intercessione della matematica) siamo approdati insomma a una «matematizzazione» delle scienze sociali, fondando così, a partire da una «geometria dei continui qualitativi» (la definizione è di ,!_.Petitot), una sintassi formale di riferimento. S'impone un salto di qualità, anche per sfuggire alla successione cronologica «che è ancora spazializzare secondo un formalismo che tende a ridurre il discorso a un allineamento di segni» (J. Lacan, Scritti, p. 191), per cogliere la modulazione di un evento, la sua ritmicità, attraverso parametri dotati di un rinnovato valore epistemico, finalmente dotato di senso.
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