Alfabeta - anno IV - n. 41 - ottobre 1982

- .... Marco Polo: lUl sepale storico. Quando è stato dato l'annuncio ufficiale delle nuove banconote da mille lire (decreto firmato dal ministro del Tesoro Andreana sulla Gazzetta Ufficiale, 20 luglio 1982) è stata subito polemica. Hanno avuto immediato rilievo le dichiarazjoni del direttore della Galleria Doria Pamphili di Roma che dimostrava, senza ombra di dubbio, che il ritratto di gentiluomo scambiato per Marco Polo era stato ormai da tempo riconosciuto come quello di un ignotò gentiluomo veneziano, molto probabilmente un vedovo, come indicavano esplicitamente i simboli presenti nel dipinto: la rosa, il gioiello femminile, oltre alla espressione mesta degli occhi e ali'atteggiamento amaro della bocca. In più, e ancor peggio se è lecito, «il dipinto», spiegava il direttoredella Galleria, «non è del XN secolo, come afferma il decreto ministeriale, ma risale al l 520, ed è attribuibile a Lorenzo Lotto dopo essere stato erroneamente attribuito in passato al Tiziano e a Jacopo Bassano. L'errata identificazione può essere nata da una scritta apocrifa aggiunta successivamente e poi tolta in sede di restauro che portava l'indicazione Mar. Poi. Ven. e cioè Marcus Polus Venetianus». li dipinto fu pubblicatopiù volte ma nessuno mai aveva preso sul serio questa identificazione. Se l'errata attribuzione poteva dunque avere una giustificazione, si fa per dire, di sottocultura scolastica, come spiegare lo sbaglio di alcuni secoli, il salto dal XIV secolo del decreto ministerialeal XV I secolo della realtàstorica e stilistica, che sarebbe balzata evidente anche a un saltuario frequentatoredi musei italiani? Evidentemente sotto il territorio della sottocultura si spalanca un abisso di assenza culturale totale che deve essere abitato non solo daglianalfabeti di ogni specie ma anche daifunzionari del nostro ministero. Ma questanon è ancora una spiegazione, è solo una descrizione. La spiegazione la si troverà nel significato simbolico del- /' errore, strettamente legato alla situazione dell'economia italiana, l'abisso che tutti gli altri abissi inghiotte. Nel frattempo la polemica si spegne come un fuoco di paglia, potenti estintori sono entrati in azione, cosi che il silenzio che precede l'effettiva circolazione della carta moneta da mille lire rischiadi avvallare, coprendola, lascelta ministeriale che - non dimentichiamolo - porta la firma del ministro del Tesoro. Non tutti però scelgono il silenzio e riapre le ostilità, se cosi si può chiamare un doveroso appello alla verità dei fatti, Federico Zeri, con un scritto intitolato « Un granchio che vale mille lire» (La Stampa, 30/uglio 1982). È da notare, prima di tutto, che non è un caso che sia il quotidiano La Stampa a non avere alcun timore in proposito, cosi da creare uno spazio non conditionato per la puntualiuazione del professor Zeri. Poco importa pensare o temere che siano queste le ultime isole di libertà che ci sono rimaste di fronte allo strapotere del Tesoro (e di chiunque abbia in mano, e stringa, i famosi «cordoni della borsa»), prendiamola per quel molto di buono che ha. Solo, quel titolo « Un granchio che vale mille lire» mi suona restrittivo: Osseffazioni su Cases Cari amici, ho letto, con l'interesse e l'ammirazione consueti, l'articolo di Cases dedicato al convegno di Modena su Walter Benjamin. Vorrei fare due osservazioni a margine del suo intervento in cui, per altro, ci sono cose che mi sento di condividere e di sottoscrivere. I. L'irrisione sistematica dei conver an• di Marco Polo quel granchio valemolto più dellemille lire che rappresenta, vale quanto un ritratto fedele di una classe politica che chiamare «infedele» sembra quasi un complimento. Ma andiamo avanti erileggiamo quello che Federico Zeri, la cui competenza è, come tutti sanno, fuori discussione, ha scritto: « li dipinto che ha servito da modello per Marco Polo è una tela della Galleria Dorio Pamphili di Roma, il cui stile è si venetiano, ma tizianesco, posteriore cioè di almeno due secoli al personaggio che si vuole celebrare. Un tempo sull'alto del dipinto si leggeva la scritta Mar. Poi. Ven, sparita poi durante un restauro; era stata aggiunta abusivamente, quando la tela era servita per una di quelle serie di personaggi famosi cosi care al gusto del Seicento prendendo a caso un ritratto che non raffigura né un viaggiatore né uno scrittore». Federico Zeri condivide l'interpretazione del vedovo indicata da Edward Safarik, direttore della Galleria Dorio Pamphili, e prende lo spunto per allargare il discorso alle scelte più recenti in materia di iconografia monetaria in Italia. Dopo aver sottolineato una serie di inesplicabili strane1.f.e,Zeri cosi commenta: « C è da credere che si tratti di scelte casuali, prive cioè di quei calcoli simbolici che, abitualmente, costituiscono la gestazione delle banconote, cioè di uno dei veicoli più diffusi e più efficaci della propaganda del Potere, estremamente indicative per decifrare la sua base culturale, i suoi programmi, le sue ideologie (dichiarate o tenute in penombra)». Ma non sempre le scelte si sono rivelate casuali (il che naturalmente non significa «senza sig11ificato»). Ci fa dunque notare Zeri che «anni fa, una serie di banconote italiane (ora progressivamente sostituita) recava le effigi di italiani celebri di varie epoche: era proprio casuale la presenza di Alessandro Manzoni (lo scrillore, direi il nume della Restaurazione ca110/icain Italia) in uno dei valori più alti mentre Galileo. una delle ve/le somme del genio italiano, fece la sua comparsa soltanto più tardi, e in un valoremolto basso, quello da 2000 lire? O piuttosto non era da leggere, in questo episodio, una posizione privilegiata del cattolicesimo integralista nei confronti del laicismo? E come mai in quella serie non è mai comparso Giacomo Leopardi? Un caso? Non direi.» Lo scritto di Federico Zeri contiene altri temi degni di nota, ma qui si sono citati i passi più inerenti al significato simbolico del granchio ministeriale italiano. Ora, il lettore avrà già tratto da sé molte delle naturali conseguenze di questo granchio storico e del modo di agire usuale in un campo di assoluta delicatéua. Si tratta di conseguenze culturali, certamente, ma non per questo meno importanti. Per prima cosa non è difficile rilevare che il nostro Potere non è in grado di curarsi di quei messaggi iconografici che invece sono tenuti in alta considerazione in molti altri paesi del mondo; o almeno, quando entra nel merito esprime un solo tipo di cultura: quella che ·ancora oggi poggia, o crede, sulla Restaurazione cattolica. Come a dire che tutto il resto conta ben poco, una semplice questione di moda, mentre la vera cultura è quella gni, seminari, co11ferenze,ecc. Considero i convegni, allo stesso titolo delle riviste e delle collane editoria/i, un canale di diffusione culturale, e non una sorta di circo per esibizionisti un po' ebbri e un po' narcisi. Rispello ai canali editoria/i, il convegno ha lo svantaggio di una maggiore precarietà. D'altronde ha il vantaggio di permettere replica e discussione anche a chi difficilmente può interloquire con quanto viene stampato: anche a chi, cioè, non dispone di una rubrica su qualche settimanale o quotidiano. Per questo considero un dovere, talvolta molto faticoso, parAntonio Porta sola, unica, indivisibile, che un vero cattolico esprime, qualunque cosa faccia. Fede e cultura coincidono in toto. Si può supporre che lo stesso Galileo sia stato «ammesso» alla carta moneta solo perché la Chiesa cattolica ha ritenuto opportuno degnarlo di una assoluzione comunque dovuta, anche a distanza di qualche secolo. Secondo punto, non meno rilevante del primo. Deve essere cosi scarsa, per non dire inesistente, la fiducia nella carta moneta italiana che l'emissione delle nuove mille lire (meno di un litro di benzina, in data odierna) non è stata considerata degna di una ricerca iconografica accurata. Marco Polo è di moda, è già cominciata la pubblicità al film colossale che la Rai-tv manderà in onda a dicembre /982, ecc. ecc. E va bene, me11iamoci il ritratto di Marco Polo, l'unico, credevano, esistente, mentre era ed è l'unico inesistente. Devono averlo preso, riprodotto, in qualche polverosissimo libro conservato in chissà quale casa di chissà quale ignorantissimo funzionario che però di arte fa mostra di intendersi. È una mia supposizione, naturalmente, ma se ne vale un'ahra, il risultato 1101c1ambia: il Marco Polo ora è un falso 11azionale, esattamente come la cartamoneta che si stampa è in larga misura u11i11ga11110. L'errore. anche in questo caso. è parl!lnte. dic(' la ,·,·ritàcontro la ,·o/nnrà dt'I ·"'" t'lllllft'llft'. Anche 11('/ più huio 111ferno del 1101s1apere /I inconscio agisce. Terza osservazione. Non sembra un caso (e solo in apparenza lo è) il fallo che l'errore abbia scambiato un vedovo addolorato per un grande personaggio medioevale. Vedovo di che se non della propria funzione di custode del Tesoro che il ministero ·dovrebbe custodire? Beniamino Andrea/la credo sappia ormai, volente o 11olente,di essere anch'egli il simbolo di u11adisfalla. A parte la storica frase di Giovanni Spadolini, che ho già avuto modo di citare, e che vale ricordare ancora: « Lo Stato non controlla la spesa pubblica», pronunciata in Senato, van110 ricordate anche le cristalline dichiarazioni del vicedirellore generale della Banca d' /. talia, Antonio Fazio (Corriere della Sera, 17 luglio /982): «Non abbiamo il controllo della massa monetaria» (e i motivi li ha elencati con rigore e si possono, mi pare, riassumere in uno principale, che il disavanzo del Tesoro «in certi giorni tocca i duemila miliardi»). È uma110che chi ha commesso un tecipare a certe occasioni di confronto. 2. Nell'articolo di Casessi intravvede una certa, e ben nota, reazione aristocratica. Benjamin, il «suo» Be11jamin, moltiplicato in una serie di lellure co11trastanti, contrapposte, «disordinate». A11che questa è, a mio giudizio, una reazione curiosa, paragonabile a quella di chi si lamentava del «Nietzsche di tutti», o ai servizi de/l'Espresso sulla «strana» diffusione della cultura tedesca dei primi del Novecento. No11 è forse il destino di un autore importante, significativo per le vie che ha aperto al pensiero, produrre degli effetti, e pre- ' simile errore abbia cercato di minimizzare, e di far minimizzare, anche aggiungendo assurdità culturali a quelle già messe i11luce (tentando, per esempio, di accreditare una fantomatica «tradizione» a favore del riconoscimento del personaggio Marco Polo nel ritratto pienamente ri11ascimentale, mentre si sa che la tradizio11edice il contrario, un capriccio secentesco, appunto, e che i ritratti ali'epoca di Marco Polo non esistevano, come ha fallo 1101areZeri). Quest'opera di minimi1.1.azioneha avuto i suoi efletti, tanto che Panorama (n. 852, I 6 agosto /982), in un servizio dedicato a tre grandi personaggi trastoria e leggenda, occupandosi di Marco Polo pubblica la famosa carta mo11etacon questa didascalia: «L'autore del Milione Marco Polo in·un ritrattosenile, ora sulle nuove banconote da mille lire». U11granchio tiral'altro. Ma è divertente rilevare che per questo servizio Panorama ha interpellato lo studioso Craig Clunas che sostiene, con fo11damento, sulla base dei lavori di Herbert Fra11kll,a tesi di un Marco Polo puramente immaginario, u11personaggio, in altre parole, che ha raccontato un capolavoro cuce11doinsieme i racconti di molti viaggiatori. Un grande bugiardo, cui mi pare giusto dedicare questo an110I 982 densissimo di inganni ma anche rivelatore, visto che il Potere nella carta moneta si specchia, lo sappia o no11lo sappia. The sting. Un celebre film si intitolava cosi, e la traduzione italiana fu La stangata Sting significa nel contesto del film «scherzo maligno» e anche, più bla11damente, «frizzo, frecciata». li verbo to sting. oltre al significato di «pungere» (di insello) e di «colpire, ferire», ha in slang quello di «truffare, imbrogliare». Dunque uno scherzo be11earchitellato che ferisce 1101m1 ortalmente ma punge, piu11os10c, ome I' aculeo di una vespa. Ma unendo il significato slang del verbo a quello più tecnico del sostantivo si produce l'italiano «sta11gata»,«iml;roglio che ferisce», il nome che tulli gli italiani danno ormai a quelli che eufemisticamente i vari governi chiamano «provvedimellli straordi11ariper il rilancio de/l'economia». Infatti, a un esame 1ec11icoc, he 1101m1 a11camai (e a proposito dell'ultima stangata ricordo lo scrillo di Luigi Spave11tasu La Repubblica del 4 agosto I 982), i provvedimenti si segnalano per la loro incompiutezza e parzialità (altro eufemismo) che fonda il sospetto, e ormai molto più che un sospetto, di u11asempre be11orchestrata copertura di buchi gravi o gravissimi nel tessuto economico del paese. Dunque: impossibilità o fallimento, anche sul piano gestionale, dello Stato assistenziale e contemporaneo bi!ogno urge11te di qua11ri11pier saziare quelli che da tempo immemorabile sono chiamati i • «clientes» (i portatori di voti, si può tradurre). Puntura dolorosa, dunque, o ferita dapercussione, che rimane, come risultato sicuro di un imbroglio nazionale che conti11ua,per forza propria, a costruire le sue trame, i11finitecome la fame dei «clientes». La lobby scoperta in ritardo. Titolo starsi dunque alla sperimentazio11e criticadi quelle vie e di altreche si possono scorgere al di là di queste? La cosa non riguarda Cases, ma sono stato spesso colpito, e anche a Modena, da un a11eggiamentocurioso. C'è chi lamenta congiure del «potere» co11troalcuni autori, contro i quali sarebbe stato decretato (da chi?) il si/e11• zio. Salvo poi, quando questi autori entrano nell'orizzonte di pensiero e di discussio11eallargati, /amemarsi della astuzia supplementare del «potere», che non ha sapwo reggere il silenzio e ora opera con la popolari1.1.azione, (L'unità, 8 agosto /982) che incuriosisce subito perché rammenta, co11polemica, la piccola frase di Craxi che ha aperto la crisi del primo governo Spadolini: «Il paese è ingovernabile perché dominato da /obbies che impediscono l'attività legislativa». I fatti sono relativamente noti: franchi tiratori Dc, approfi11ando di un largo assenteismo socialista, hanno bocciato i11 Parlamento un decreto legge che «metteva ordine nella complessa materia delle imposte di fabbricazione dei prodotti petroliferi, ecc. onde evitare il ripetersi delle clamorose evasioni fiscali che sono già costate allo Stato migliaia di miliardi, ecc.». La scena è cosi descritta: da una parte il Buon Ministro Formica con il suo Buon Decreto contro i petrolieri, dall'altra un nugolo di deputati cattivi, «c/ientes» dei petrolieri, che ostacola il compimento di una delle prime buone azioni di un governo finalme11telaico. Sullo sfondo i ritratti di Mazzini, Croce, Ugo La Ma/fa e Garibaldi. A sostegno del palco la mole adeguata di Spadolini che sorride sempre quando è sotto sforzo. Indignazione nazionale e trionfo, meritato, di Craxi. Ma chi è rimasto, per quanto è possibile, fedele al faticosissimo principio di cercare di capire che cosa davvero stia succedendo dietro lo scenario del potere -senza preco11cetti,si capisce! - scopre, per caso, il titolo dell'Unità e legge che: I) il decreto, come il precedente disegno di legge, ha un rigoreparziale e solo appare/Ile; 2) il decreto·sconvolge l'assetto di lavorazione e commercializzazione dei prodotti petroliferi («li commissario straordinario del/' Eni Enrico Gandolfi, in U/IQ lei/era di qui11dicipagine i11viataalla Commissione Finanze del Senato, avvertiva i pericoli di questo sconvolgimento, ricorda11doche le raf fi11erieitaliane 1101s1ono state progettate e costruite per assolvere questi compiti»). L'articolista Giuseppe F. Me11ne/la spiega poi che è possibile, perfi110 facile, fare una vera legge, che funzioni anche contro ogni ipotizzabile evasione fiscale, seguendo criteri semplici, gli stessi che so110stati suggeriti dai magistrati che i11daga11s0ul famoso scandalo petrolifero e che co11osconoa fondo i meccanismi dell'evasione. Ma «la maggioranza e il governo fecero quadrato e respinsero queste proposte». Ci siamo, questo è un autentico strappo, una lacerazione nello scenario. A poco apoco il pubblico comincia a guardare e a giudicare lo spellaco/o dietro lo spettacolo. Ma entrano subito in scena tu/li gli attori disponibili per recitare, per l'ennesima volta, la scena della crisi, e qua/cu110sostiene, per accattivarsi gli spettatori avidi di moralismo, che il decreto governicida sarà riproposto e che questa volta passerà. Tenuto opportunamente distante dal pa/cosce11icoil «servitore dello Stato» Enrico Gandolfi, definito «fedele» da Spadolini i11 perso11aquando si trattava di convincere il rilullante «servitore» a sollevare tulli i pesi che gravano sul/' Eni, ma subito accantonato qua11dofa sentire la sua voce di funzionario competente. Se Spadolini tenesse u11diario politico, credo che in data 8 agosto /982 vi si potrebbe leggere questo celebre inizio: «Gandolfi? Chi era costui?». consegnando gli autori in questione all'inferno della moda. L'atteggiamento mi ricorda quello che già mi aveva stupito 11ell'adolescenza, quando erano apparse le prime collane economiche moderne (Oscar, ecc.). Ricordo gli in1elle11ua/iche avvelenava110 la mia gioia di potermi finalmente comperare più libri, avvertendomi, sulle pagine dei quotidiani agrande diffusione nazionale, che questa sarebbe stata la fine della cultura. Molto cordialmente Franco Rclla Rovereto, 22 luglio I 982

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