improprie e giunture impreviste. Dalla sua posizione intermedia tra eco simbolica ed efficacia produttiva tenta avventurosamente di controllarle entrambe. V i sono quattro aspetti di questo lavorio che merita vedere un po' più da vicino. Il primo è l'azione selettiva esercitata sulle pratiche tecniche: alcune vengono ammesse, altre escluse. Ovvero; alcune assumono una posizione preminente, altre subordinata. Ma il risultato finale è qualcosa di più profondo di una semplice gerarchia o classificazione delle tecniche; la subordinata viene letta alla luce della dominante, viene interpretata in termini estranei. Mantiene la sua specificità operativa, ma perde ogni identità culturale. Il caso esemplare è la prevalenza delle arti della costruzione su quelle del metallo, di un punto di vista strutturale su uno trasformativo. È una vittoria molto antica: nei poemi omerici la tecnica è già ordinamento dello spazio terrestre e dei materiali terrestri, la pietra e il legno. I suoi gesti sono squadrare, rettificare, congiungere mediante «armonie», cioè mediante incastri e•giunzioni. L'artificiale è l'oggetto costruito, che si può comprendere ripercorrendo i passi del suo montaggio; non vi sono misteri, ma semmai pericoli, quando il costruttore azzarda montaggi incongrui. Cos'altro sono Icaro e il Minotauro? Scompaiono invece i piccoli dei delle caverne, Dattili e Telchini, i maghi ammaestrati dalla Gran Madre che conoscevano il segreto della trasformazione delle pietre in metalli lucenti; li riscopriranno, secoli dopo, i curiosi antiquari d'Alessandria. Rimane, è vero, Efesto, ma condannato ormai ad eseguire repliche metalliche di costruzioni terrestri: case, mura, arredi. Tra cielo, terra e inferi vi è diversità di materiali costruttivi (metalli preziosi, pietra e legno, metalli vili), ma non di tecnica. Questa sorta di imprinting costruttivo è carico di conseguenze e di storia: la metallurgia greca, che pure è ricca e raffinata non entra a far parte della cultura tecnica. Pausania descrive la saldatura del ferro in termini di incollaggio del legno; Diodoro Siculo guarda all'affinazione dell'oro con occhio culinario; la modestia delle conoscenze scientifiche sulla trasformazione della materia è documentata dal quarto libro dei Metereologi di Aristotele. Al contrario il quadro costruttivo rafforza la sua posizione di dominio: cattura le esperienze dei tecnici greci al servizio dei grandi imperi e crea l'edilizia monumentale come suprema forma di rappresentazione della città arcaica e classica; in età ellenistica dà il suo frutto più elaborato, le macchine da lancio, precise e delicate come strumenti musicali. Tutto questo attorno a un nucleo di sapere centrato sulla nozione di misura e su quella derivata di «simmetria», cioè di commisurazione. Ogni cosa ha una sua «misura interna», un modulo, un elemento primario da cui tutti gli altri dipendono; è compito del tecnico individuarlo e fissare la tavola delle simmetrie che lo pone in corrispondenza con tutti gli altri elementi. In questo consiste, come dice nel lii secolo a.C. Filone di Bisanzio, il «progresso» tecnico antico. Il secondo aspetto è l'interscambio con altre forme di cultura. Le tecniche subordinate, i mestieri non dignificati, esportano conoscenze brute, «dati» che verranno poi riorganizzati nei trattati scientifici. Le tecniche dominanti esportano la loro immagine persuasiva, che può diventare semplice metafora, come quando Gorgia parla della «figura stellata del cielo, capolavoro del Tempo, costruttore sapiente»; oppure analogia euristica, come quando Aristotele analizza le «cose per natura» come se fossero oggetti artificiali; oppure ancora modelli esplicativi globali, come quando Platone nel Timeo descrive passo dopo passo il· montaggio di quel grande effetto speB b 10ecag1nob1anco ciale che è il mondo. Ma più interessante è il processo inverso, l'importazione in ambito tecnico di prodotti filosofici e scientifici. Il caso della meccanica è il più clamoroso: dalla fisica aristotelica e dalla sua nozione di evento naturale deriva l'idea di evento o effetto tecnico e cioè una prospettiva radicalmente nuova, che non identifica più l'artificiale in un oggetto, ma in un comportamento, in la trasm1ss1one del sapere è orale e gelosa, di padre in figlio, l'accesso alla scrittura è davvero un evento rivoluzionario. Non abbiamo più se non per echi in Vitruvio, i trattati che gli architetti cominciarono a scrivere nel VI secolo a.C.: forse descrizioni delle opere eseguite, forse tavole di misure. E abbiamo solo un paio di frammenti, anche se straordinari, di un testo che fu proba- ----------------. bilmente capitale per fissare il parauna modalità d'azione. Per spiegarla si serve di un misto di matematica (cioè di geometria piana) e di fisica (cioè di teoria del moto aristotelica). L'esito tecnico sono le macchine, che non hanno però funzione produttiva, ma estensiva, dimostrativa: isolano e portano in luce l'effetto artificiale celato. Il terzo aspetto è la nascita di una letteratura tecnica scritta. In un mondo di mestieri chiusi e ripetitivi, in c'-!i digma costruttivo, cioè il Canone di Policleto. Ma resta invece molto della grande trattatistica di età alessandrina e imperiale: sulle armi da lancio, sull"architettura militare, sulla meccanica, sugli automi, sulla pneumatica. Sono libri pratici, che vanno diritti allo scopo, perché, come dice Ateneo il Meccanico, bisogna risparmiare il tempo ed essere chiari, anche a scapito del bello stile. E gli scopi sono due: insegnare ai futuri meccanici, ed ecco i manuali che seguono le tappe del loro curriculum formativo; ma soprattutto presentare se stessi e quel che si sa fare ai maggiorenti delle ciJtà (cui Erone ricorda che l'atarassia dei filosofi è una bella cosa, ma in pratica la si consegue con un buon armamento difensivo) e ai principi, sollecitati a rispettare la precisione delle misure e a curare l'esecuzione dei modellini, visto che molti di loro non disdegnano di occuparsi personalmente di tecniche militari. Il quarto e ultimo aspetto è proprio il disegno della figura del tecnico. Fin dagli inizi la costruzione è elevata: la praticano correntemente i grandi signori, non solo l'ingegnoso Odisseo, ma anche il fatuo Paride, che ha contribuito di persona ad edificare la sua casa. Ma la prima figura imponente di tecnico, l'architetto, nasce quando la paternità dell'opera, in assenza di un despota, viene assunta da chi l'ha progettata ed eseguita: la piramide è di Cheope, ma il tempio di Era a Samo (alla metà del VI secolo a.C.) è di Teodoro e Reco, quello di Artemide ad Efeso di Chersifrone e Metagene. L'alta posizione dei grandi architetti in età classica è all'origine, credo, di quella che, fraintendendo, è stata vista come una svalutazione del lavoro manuale e dell'attività tecnica in generale. In effetti sono proprio i tecnici elevati, quelli che, come Fidia, sono esecutori di una manovra economica e politica di portata non solo cittadina, ma internazionale, i quali promuovono una complicata ideologia della distinzione tra funzioni tecniche direttrici e subordinate, tra chi, in scala discendente, usa, progetta, sovraintende. In questo senso credo vada intesa la polemica sull'origine delle tecniche, che conclude per una loro origine alta e colta, per «primi inventori» divini, regali o sapienti; e allo stesso modo penso si debba leggere il Prometeo incatenato di Eschilo, in cui Prometeo non esalta tanto il progresso delle technai, quanto piuttosto vuol stabilire la loro derivazione da una precedente sapienza, dall'astronomia, dalla matematica, dalla scrittura. Ma la figura finale del tecnico greco è quella del meccanico ellenistico. Attorno alla metà del III secolo a.e. essa si fissa, mentre in corrispondenza si cristallizza l'enciclopedia dei suoi saperi. La «meccanica allargata» comprende tutte le sue abilità e tutte le sue specialità, tutto quello che ha da offrire. È ben ordinata, dagli strumenti matematici fino alle applicazioni particolari, e quindi apparentemente sistematica. In verità al suo interno convivono senza sopraffarsi e senza elidersi le due tradizioni eterogenee, quella costruttiva e quella in senso proprio meccanica. Un simile affiancamento, qi:esta mancanza di lotta, può forse stupire l'epistemologo moderno, avvezzo alle successioni lineari, ai superamenti, alla rapida morte delle teorie, alla totalità dei paradigmi. Ma chi ha mai detto che l'epistemologia contemporanea si può tranquillamente applicare al mondo antico?
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