Alfabeta - anno IV - n. 40 - settembre 1982

vecchia storiografia, ma valorizzati quali documenti rivelatori delle volontà in lotta all'epoca in cui furono compilati e persino come tentativi di riscrivere la storia. Non meno suggestivo l'esempio del tempo, anzi del diverso senso del tempo che gli ambienti sociali e professionali hanno avuto nel medio evo. Quali i rapporti fra i tipi concorrenti di tempo? E quali i rapporti tra i tipi di tempo e la memoria, che è tempo immagazzinato e interiorizzato? Certo l'apparizione, alla fine del sec. XV, dell'orologio individuale riduce questa varietà e impone un'idea rivoluzionaria, anche se oggi ovvia: quella della divisibilità del tempo in parti uguali. Poi, l'eterno problema dell'oggettività della storia e della capacità che essa può avere di spiegare (o magari prevedere). La storia è sempre ideologica. Lo era quella medievale, dominata dalla Provvidenza e orientata su una linea escatologica; lo era quella positivista, legata alla potenza della borghesia, dominata dal determinismo. Lo è quella marxista, da cui tuttavia Le Goff accetta, come principio di lettura e di esplicazione, il concetto di lotta di classe. Su questo, e sui rapporti col comparatismo (oggi rappresentato al suo meglio da Dumézil), il discorso di Le Goff si fa troppo complesso per sintetizzarlo ulteriormente. Ne resta l'impressione stimolante di grandi regioni di conoscenza ora scoperte, e in attesa di chi le esplori. Pieno di perplessità, il discorso di Zumthor non è meno impegnativo. Egli guarda alla filologia tradizionale con un misto di fastidio e nostalgia. Fastidio per quel cqualcosa di polveroso e di vecchioto» che invece, a suo parere, cè venuto meno da parecchio tempo alla storia sociale o all'analisi delle strutture economiche»; nostalgia 'perché essa perpetua stagioni in cui era chiara cun'idea della finalità del nostro lavoro». Fatto sta che la piena adesione sentimentale al medio evo propria del Romanticismo non si è più ripetuta; e se oggi siamo immensamente più sicuri •nell'interpretazione linguistica, letterale dei testi, avvertiamo anche molto meglio le difficoltà della nostra sintonizzazione, le resistenze del messaggio. Cambia, in ogni epoca, il rapporto tra la letteratura e le altre attività umane: ci è quasi impossibile svestirci del nostro concetto di letteratura e vestirne un altro. Z umthor è stato ed è uno dei più audaci, attivi investigatori di testi medievali, della loro retorica e del loro stile; le sue opere d'assieme, come Lingua e tecnichepoetiche nel/' età romanica e Semiologia e poetica medievale sono tradotte e notissime anche fra noi. Geniale nel combinare e inno,are i più attraenti suggerimenti della critica contemporanea, Zumthor opera in condizioni di estrema sperimentalità: perché nuovi e nuovi suggerimenti possono sopravvenire, perché le risposte date dai testi possono apparire non esaurienti o richiedere strategie nuove, che Zumthor continua a mettere a punto. Cosi, a meno di dieci anni di distanza, Zumthor rinnega idee portanti del suo ultimo grosso volume: come il concetto di cletterarietà», già conPensare l'antico trapposto polemicamente allo storicismo documentario; e come la tesi secondo cui «la poesia medievale, come ogni poesia, lungi dall'imitare il reale, ha se stessa come oggetto». Che erano, a pensarci bene, due modi di annullare i problemi di traducibilità tra i codici di partenza (usati dagli autori dei iesti) e quelli di arrivo, del critico. Ora Zumthor accetta ed estremizza lo scontro: «dilaniato tra il mio presente e questo passato al quale la vita mi ha votato, io attraverso la lunga esperienza di una pratica che è insieme mia e di un altro. Donde l'incertezza; donde le favole in cui tento di esaurire una necessità». Il rapporto tra i codici si stabilisce in due momenti: 6crittura-lettura e lettura-scrittura, perché lo sforzo di comprendere si deposita a sua volta come nuovo testo, narrazione della lettura («racconto discontinuo, linee semantiche spezzate, misto di scienza e di immaginazione»). È un rapporto erotico, uno slancio di desiderio affine a quello che produce poesia (Zumthor è anche originale romanziere). E di questo scontro-violenza con il testo come oggetto di piacere ci sono frequenti espressioni. Ci troviamo dunque tra il Barthes della «nouvelle critique» e quello del «piacere del testo•. Si resta affascinati, ma colpiti dalla finale solitudine di questa critica in cui trovano solo una risposta perplessa i pur frequenti richiami alla razionalità Latec~,i~g~reca La tecnica greca ha questo di singo- innovazione, di conoscenza scientifica lare: che a differenza della lettera- e applicazione tecnologica, di teoria e tura, dell'arte, della filosofia e per- pratica. È la tecnica della grande trasino della scienza non fa parte del pa- sformazione, categoria economica e trimonio che la cultura moderna ha forza produttiva, motore del cambiaereditato e, come nella parabola dei mento e prosecuzione umana-progettalenti, si è poi ingegnata di mettere a tataecontrollatadall'uomo-dell'evofrutto. Su questo vi è pieno accordo tra luzione biologica. il manualetto e il grandescholar (vedi Quanto alla tecnica greca si tratta Koyré, vedi Vernant): la tecnica è pre- solo di sapere se ha preceduto il gigancisamente quel che i Greci non hanno te, e dunque si era già avviata sulla fatto, la soglia che non hanno mai var- buona strada, o se invece ha poco a che calo. spartire con la storia di duemila ann, Bambini invecchiati, hanno conti- dopo; nel qual caso però verrà ammonuato a trastullarsi col meraviglioso, nita con il dito alzato per le sue varit· hanno sprecato future macchine a manchevolezze. vapore in ordigni da ciarlatani, hanno Incapace di pensare che la creaziont· scialacquato ingenti conoscenze scien- e il rapporto con l'artificiale possan<> tifiche senza mai applicarsi a utilizzar- assumere forme diverse da quelle inie. Sul colpevole le opinioni divergono valse da duecento anni a queste parte: e ognuno accarezza una sua ipotesi. Di incapace anche di vedere la straordivolta in volta sarà l'ideologia aristocra- naria eccezionalità dell'avvento dell:i tico-signorile (Schuhl); la vittoriosa tecnica industriale (che invece appare congiura dei re e dei preti (Farring- come un logico compimento, la ragion); la mancata emersione di nuovi giunta maturità di un organismo), 111 ceti (de Magalhaes-Vilhena); la man- storico capovolge tranquillamente il cata quantificazione della natura problema. (Koyré); l'eteronomia della mentalità Non restituisce il passato e la su:i tecnica greca (Vernant). ricchezza perduta, ma si interrog:i Il celebrato blocage ha fatto dunque pensoso sul come mai non sia uguale al giustizia del classicisino guglielmino, presente. cPerché l'antichità classica quando Hermann Diels sognava di non ha conosciuto il macchinismo?». mostrare che mondo antico e moderno chiede Schuhl; e prosegue in buon sono accomunati dalla medesima ten- gergo aziendale: «Credo che la civiltil sione tecnica e di ricongiungere - antica disponesse di possibilità che come amava esprimersi - Dedalo al non furono sfruttate ... ho la netta imconte Zeppelin. Tempi belli, in cui filo- pressione che vi sia stato un momento logi e generali di artiglieria collabora- in cui avrebbe potuto avviarsi nella vano alle edizioni dei meccanici anti- stessa direzione nella quale siamo in- " chi e il Kaiser in persona assisteva alla seriti noi oggi». prova pratica dei modelli di baliste e Più seducente l'immagine della teecatapulte a ripetizione, compiacendosi nica non tanto greca, quanto antica, per la precisione del tiro. tradizionale, fornita dalla critica della ~ Ma del resto non era ufficiale di ca- cultura, cioè dalla critica del mondo e valleria, e anche assai reazionario, della società industriale. Qui il «prit quel Lefebvre del Noèttes progenitore ma» ha corpo e statura, non è un nano -!:! delle Anna/es e in certo modo quindi deforme o un ricordo infantile. Ma è la ~ del blocage? A ben vedere classicisti consistenza fallace di un'immagine .;: refrattari e teorici del blocco non sono speculare, un ricalco punto a punto del .,. poi cosi lontani. Per entrambi «la» volto moderno con polarità invertita; - tecnica, l'unica pensabile, è la tecnica all'asservimento della natura si oppoindustriale, più precisamente della ne l'ascolto, la simpatia; alla disponibiseconda rivoluzione industriale, con il lità universale si oppone l'emergere suo cerchio magico di invenzione e delle co_sealla loro verità. 81bl1otecag1nob1anco Nel maestoso teatro della metafisica vi è posto per un solo protagonista, la smisurata tecnica moderna, per devastante o benefallrice che sia; la tecnica antica, modesto Doppelgiinger, vien posta anch'essa sui coturni, ma per esigenze di equilibrio scenico. Deve fornire lo sfondo su cui comparirà il primo attore: più la sua fisionomia viene accentuata, più il trucco è pesante. più drammatico sarà lo stacco alJ'111!.!1c,,,, dd prnt:n!i,11i,1;1 I.: hl.·11l'.omprl.'lh1h1k. qua:-.1 11a1urale, che la tecnica contemporanea, brulicante e metastatica, domini i pensieri degli storici. Essi se ne sentono avviluppati e prigionieri, specie dopo che le esili metafore con cui si era sperato di regolarla e prevederla (le buone idee biologiche di crescita, sviluppo e simili) si sono svelate pie frodi, illusioni dell'Io grandioso, come avrebbe detto Freud. Meno comprensibile che proprio attraverso gli storici l'immagine di questa tecnica venga imprigionando ogni passato, lo spolpi e lo dissecchi, lo risucchi in una gigantesca reductio ad unum. Non è solo questione di datare correttamente un meccanico ellenistico o di indagare il valore semantico di daidalon; non si tratta solo di sistemare qualche mattone nella casa della conoscenza. Qui c'è ben altro in ballo. A oche se di malavoglia, sarà bene rassegnarsi a pensare alla tecnica antica in termini non evolutivi e non metafisici; sia perché, come diceva Aristotele, si è costretti dalla verità, sia perché si potrà cosl forse giungere a quella salutare meraviglia «perché le cose sono come sono» che, sempre secondo Aristotele, è l'ingresso alla conoscenza. E per cominciare anziché alla tecnica sarà bene pensare al/e tecniche antiche. Quando le incontriamo, le civiltà protostoriche e storiche del Mediterraneo hanno già alle loro spalle milknni in cui il patrimonio tecnico legato alla rivoluzione agricola, all'urbanesimo, all'uso dei metalli, al conseguente mutamento dei quadri mentali, è ,iato assimilato ed elaborato, fino a esprimersi in una grande varietà di forme. Si attinge a un patrimonio comune, ma secondo modalità e configurazioni differenziate; la tecnica non si trova mai tutta insieme e in un solo luogo, ma è frammentata e localmente distribuita. Di conseguenza le culture tecniche antiche (ma forse si potrebbe dire preindustriali) ci appaiono ognuna ,on una fisionomia individuale fortemente caratterizzata, con un volto. Come nelle arti figurative, cosi nella tecnica vi sono profili fissati, stili inconfondibili. Su questo sfondo, che è uno sfondo di molteplici e diverse identità, compare la tecnica greca. Misurata con i nostri metri, essa si distingue per la quasi assoluta mancanza di «invenzioni»: basta leggere con il dovuto scrupolo gli undici volumi degli Studies in A11cientTechnology di Eric Forbes per sincerarsi del fatto che il contributo greco è stato irrisorio. La cosa si spiega: i Greci erano non solo geograficamente periferici, ma volutamente eccentrici. Inoltre erano gli ultimi arrivati: «Voi Elleni sempre giovani», dice a Solone il· venerando sacerdote del e all'intelligibilità. Messi tra parentesi molti risultati di un secolo di lavoro filologico, tenuta a distanza, come fastidioso artigianato, quella critica testuale da cui non può non dipendere la prima valutazione dei testi sui quali il critico lavora, poco utilizzati i collegamenti socio-storici proposti e motivati da studiosi recenti, resta la continua, emozionante sorpresa dell'incontro col corpo adorato del testo. È un incontro-d'amore, al di là delle argomentazioni e delle razionalizzazioni che l'hanno preparato. Altre correnti hanno maggior fiducia nella comunicabilità dei codici letterari; e per casi come il nostro, di codici cronologicamente molto lontani, pensano che i molteplici strumenti dell'intèrpretazione storica siano passibili si di continui perfezionamenti, ma meritino di restare al riparo dalle ondate successive della sensibilità letteraria. Amano anzi pensare, come chi sci ive qui, che il lavoro dell'interpretazione sia impresa collettiva, a cui si collabora a distanza di luogo e anche di tempo, utilizzando l'inventività e la modernità del critico non solo alla formulazione di ipotesi di lavoro, ma a un sapiente riutilizzo del lavoro gi~ compiuto. Posizioni estreme che po nella pratica si avvicinano e forse s affiancano, ma che sono motivate di atteggiamenti iniziali che è utile sottolineare. tempio egiziano. Di questa loro condizione per così dire più leggera, approfittarono largamente: un recente e poderoso studio di Benedello Bravo porta il titolo Sy- /an, 'Razziare', e spiega come questa categoria economica fosse dai Greci la prediletta. Altrellanto si può dire sul piano della cultura tecnica, con l'aggiunta che nell'impiego del bottino essi davano il meglio di sé: i lacerti di cui si erano appropriati li rimontavano secondo geometrie nuove e impreviste. D'altra parte questo non deve essere accaduto solo per la tecnica, se Georges Dumézil dopo reiterati tentativi ha dovuto rinunciare a inserire i Greci nel suo schema trifunzionale e a preferire «popoli più conservatori, specialmente gli Italioti e i Germani». Sempre consultando Forbes si può fare una seconda scoperta, apparentemente in contrasto con la prima: la maggior parte delle informazioni che possediamo sulle altre tecniche antiche deriva da autori greci. Il che autorizza l'ipotesi che l'unica vera invenzione dei Greci sia stata quella di una cultura della tecnica. Inventare una cultura della tecnica non equivale a praticare alcune tecniche e neppure a possedere sistemi analogici o simbolici che pongano in corrispondenza gesti e strumenti con altri ordini di manifestazioni: parole, riti, tassonomie vegetali e animali, narrazioni delle origini, eventi della vita individuale e sociale. Ogni frequentatore di testi antropologici conosce benissimo la complessità dei rinvii simbolici e la rigidezza rituale che di norma circondano e fissano la produzione dell'artificiale e il suo uso. Ma una cultura della tecnica come quella cinese o quella araba o, nel nostro caso, quella greca è tutt'altra cosa. Nasce proprio quando il fitto reticolato delle corrispondenze si smaglia e deve essere ristabilito, ricreato. La cultura della tecnica si insinua nella lacerazione e riconnelle i fili spezzati, ma secondo associazioni

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