Alfabeta - anno IV - n. 40 - settembre 1982

moneta, operando una stretta creditizia in piena regola. La base monetaria, che nel 1978 era arrivata a crescere del 15 per cento, negli ultimi due anni è cresciuta appena del 13 per cento. Uno strumento rigoroso utilizzato in questa direzione nel 1981 è stato il deposito infruttifero a fronte di pagamenti esteri, che da solo ha operato una distruzione di base monetaria di 3.800 miliardi. Gli imprenditori italiani si sono trovati dunque stretti in una tenaglia. Da un lato, l'aumento dei prezzi diventava sempre più difficile perché le autorità monetarie non erano più disposte a finanziarlo mediante aumenti della liquidità; dall'altro, nella misura in cui era ancora possibile accrescere i prezzi, l'operazione si traduceva in una perdita netta di competitività nei mercati esteri. Per gli imprenditori italiani è quindi diventato urgente comprimere il costo monetario del lavoro. Il voltafaccia degli imprenditori sul terreno del salario monetario non si è lasciato attendere. Come tutti sanno, il I O giugno la Confindustria ha denunciato l'accordo sulla scala mobile del 1975 (lo stesso accordo che era stato raggiunto dopo una trattativa distesa. condotta dall'allora presidente Gianni Agnelli); alla fine dello stesso mese. con una procedura un tantino più travagliata, anche le imprese a partecipazione statale, attraverso l'Intersind. prendevano la stessa decisione. Sul terreno della politica salariale. Andreatta, nel giro di pochi mesi, ha convertito gli imprenditori italiani da avversari in alleati. L'auspicio da lui espresso nel febbraio di quest'anno a Bruxelles, all'indomani della sospensione della scala mobile in Belgio, di poter presto celebrare il requiem anche per la scala mobile italiana, l'ultimo meccanismo di indicizzazione europeo, acquista ora maggiori probabilità di realizzazione concreta. L a politica monetaria restrittiva del ministro del Tesoro ha creato vincoli non indifferenti sul terreno del debito pubblico. Qui la linea di Andreatta si ispira a due esigenze diverse, ma nel concreto convergenti. La prima, già ricordata, è quella di ridurre la liquidità del sistema economico; in omaggio a questa esigenza, le autorità hanno tentato di ridurre la quota del disavanzo pubblico finanziato attraverso ricorso all'istituto di emissione. cercando invece di accrescere la quota del disavanzo coperta dal gettito fiscale o da emissione di titoli collocati regolarmente sul mercato. Questo cosi detto divorzio fra Banca d'Italia e Tesoro è stato accompagnato, sempre nell'intento di ridurre la creazione di liquidità ad opera del Tesoro, dalla pratica di emettere titoli anche per finanziare i pagamenti per interessi, il che, nei limiti in cui riesce. equivale a pagare gli interessi sul debito pubblico in titoli anziché in moneta. Ne sono scaturiti due effetti inevitabili, e per ciò stesso previsti: che le emissioni lorde di titoli del debito pubblico sono rapidamente cresciute, ma che al tempo stesso la creazione di liquidità ad opera del Tesoro si è ridotta. Mentre l'indebitamento del settore statale fra il 1978 ed il 1981 è passato dal 62 per cento al 65 per cento del prodotto interno lordo, il ricorso netto al mercato mediante emissione di titoli e di buoni ordinari del Tesoro è sceso dal 9,1 per cento al 7,9 per cento. Il castello di debito pubblico che, per le sue dimensioni crescenti, fa inarcare il sopracciglio dei puristi della finanza pubblica, una volta analizzato nelle sue dimensioni effettive si rivela per un castello di carta e le sue conseguenze sulla creazione di liquidità appaiono del tutto inconsistenti. • La seconda esigenza che spinge il ministro del Tesoro a vedere con favore una riduzione della spesa pubblica riveste contenuto assai diverso e si connette ad obiettivi di carattere politico. Andreana appartiene a coloro che apprezzano le virtù del mercato più di quelle dell'intervento pubblico, e che considerano la spesa pub ~~oloso, veicolo di couu I~,' 1 @è i':.~,:i::.:•:c', reno politico ai tenta1ivi di rifondazione della Dc lo conducono, sul terreno economico, ad una politica di severo controllo delle uscite pubbliche. Può darsi che questa posizione sia assunta in piena buona fede; il suo realismo, come diremo fra breve, non può non destare seri dubbi. G li interrogativi suscitati da una linea tecnicamente e politicamente cosi complessa sono numerosi. Proviamo ad enumerarli: I) Primo quesito: la manovra stabilizzatrice di Andreana, che esige una stabiliuazione del cambio prima di avere stabilizzato i prezzi, implica come ingrediente tecnico necessario un gravoso indebitamento estero. Ammesso che la manovra riesca e che la stabilizzazione monetaria venga raggiunta davvero, come verrà ripagato il debito contratto? La via classica sarebbe, una volta raggiunto l'obiettivo della stabilizzazione, di proseguire nella deflazione, in modo da tenere le importazioni al di sotto delle esportazioni per un periodo sufficiente a ripagare il debito estero. Non si direhhe però che il ministro del Tc!)oru. uomo di h:rtik lanta~ia economica e finanziaria, voglia battere una strada cosi scolastica e culturalmente piatta, addossandosi per di più, lui che si è sovente dichiarato keynesiano, un marchio di monetarista infame. Una seconda strada potrebbe essere quella di portare la manovra di stabilizzazione al di là dell'obiettivo dichiarato, riducendo il tasso di inflazione italiano addirittura al di sotto di quello europeo, in modo da arrivare ad una rivalutazione della lira che riduca in misura consistente l'onere del debito estero. Sarebbe una via elegante, ma rischiosa quanto una puntata alla roulette. Sembra più probabile che il ministro pensi ad una terzia via, che egli stesso ha già cominciato a coltivare, che è quella di convertire gradualmente il debito esterno in debito a lungo termine e in partecipazioni azionarie, favorendo l'ingresso di capitale straniero nell'industria italiana. In tal modo, 1·· dustria italiana, dopo essersi indeta per ragioni urgenti ma transito- """·::r.::.-rebbe i propri debiti vendendo nel mercato internazionale brandelli del proprio patrimonio. Quale modo migliore per riconfermare la propria fede nell'integrazione internazionale? 1) Secondo quesito: supponendo che i problemi monetari trovino soluzione, che dire delle trasformazioni strutturali impresse all'apparato produttivo? Qui il giudizio è davvero fosco. L'ortodossia europea non solo trasforma l'industria italiana in un apparato privo di ambizioni tecnologi-· che, ma la rende anche legata alle vicende economiche e valutarie della Cee. La politica valu1ari2 italiana ha dato i suoi frutti quando la lira è riuscita a muoversi tra marco e dollaro lungo il sentiero più favorevole; ma nessuno garantisce che questa situazione possa riprodursi in avvenire. Oggi, ad esempio, ci troviamo a navigare in acque tutte diverse: rispetto al marco la lira tende a restare stabile, mentre l'ascesa irresistibile del dollaro la costringe a svalutarsi verso la moneta statunitense. Qui vengono inesorabilmente al pettine i nodi di una politica industriak a c.;cnsnunico. Se le csporta1ioni italiane fos!)cro~tate consapcvolml.!ntc orientale verso tu lii i mercati mondiali, se l'area del dollaro fosse stata coltivata con adeguata penetrazione commerciale, se, alla stregua della Germania o del Giappone, anche gli esportatori italiani fossero presenti in lulli i mercati, la rivalutazione del dollaro verrebbe oggi come un 'occasione d'oro offertaci spontaneamente dagli Stati Uniti, per espandere le esportazioni italiane nell'area del dollaro, e potrebbe quindi rappresentare un evento favorevole. Viceversa, dopo anni ed anni di passione europea, l'industria italiana si trova nell'impo sibilità di sfruttare l'occasione favorevole, e la rivalutazione del dollaro si abbatte sul paese come una tempesta, che accresce spaventosamente il costo delle importazioni, senza darci nulla o quasi nulla in cambio. Ecco quindi che, di fronte a un dollaro che punta senza sosta verso l'alto, le autorità economiche sono.costrette a correre ai ripari, senza sapere più quali strumenti escogitare per comprimere le importazioni, e con esse la produzione e l'occupazione. 3) Terzo quesito: se sul fronte internazionale l'industria italiana è davvero collocata male, sul fronte interno la situazione rischia di essere ancora peggiore, sul piano degli squilibri territoriali. Le regioni del Centro-Nord sono avviate a raggiungere un loro equilibrio, basato sulla diffusione territoriale della media industria, su di una utilizzazione intensa della forza lavoro attraverso il decentramento produttivo e J'a diffusione del doppio lavoro, e senza più fare ricorso come in passato a mano d'opera di importazione (l'immigrazione nelle regioni del Centro Nord è ormai limitata a quella forma di occupazione che la mano d'opera locale tende a rifiutare). D el tutto opposta la situazione del Mezzogiorno. Qui il venir meno della grande industria ha ulteriormente ridotto quelle poche isole di occupazione stabile che l'industrializzazione degli anni sessanta aveva creato; al tempo stesso, l'arresto dell'emigrazione, sia verso le regioni del Nord che verso gli altri paesi europei, aggrava ulteriormente la situazione del mercato del lavoro. Le prospettive del Mezzogiorno non ,ono mai state cosl tetre, e a giudicare dalle linee di azione che sembrano ~mergere si direbbe che la classe responsabile non si sia ancora resa conto della gravità del problema. Una prima linea è quella di conservare il Mezzogiorno nel suo stato di ~norme riserva di disoccupati, utilizzando le forme già in atto di sussidi palesi e larvati che la spesa pubblica fornisce, per tenere il reddito ad un livello accettabile, e utilizzando al tempo .stesso il collaudato sistema clientelare democristiano per controllare l'equilibrio politico. Una linea tranquilla, questa, che vanta ripetuti successi nel passato, e ,che non può che riscuotere il consenso dei ceti dominanti del Sud. È però una linea che si pone in conflitto totale con gli ideali di restaurazione del mercato e di riduzione della spesa pubblica clientelare che, stando alle dichiarazioni ufficiali, ispirerebbero gli attuali ministri responsabili. Una seconda linea è quella di trasformare gradualmente il Mezzogiorno sussidiato in Mezzogiorno produttivo, utilizzando la forza lavoro del Sud come riserva di lavoro nero. Sarebbe questa una linea di sviluppo industriale che ripeterebbe il tentativo di industrializzazione accelerata degli anni sessanta, con la differenza sostanziale che, mentre allora si puntò sui grandi impianti e sull'azione dell'industria pubblica, oggi si punterebbe sul lavoro disperso e sull'iniziativa privala. Questa seconda linea conta appoggi concreti fuori del Mezzogiorno: le regioni del Centro-Nord vi scorgono un modo per proseguire nel proprio sviluppo senza ulteriori importazioni di mano d'opera, utilizzando il lavoro del Sud come prolungamento decentrato ùell'industria settentrionale. È chiaro d'altro canto che una soluzione simile, per tradursi in realtà, dovrebbe ottenere consensi non soltanto dall'esterno ma anche all'interno del Mezzogiorno, il che richiede una molto più sottile opera di mediazione fra industria del Nord e notabilato locale. on si può escludere che i vertici del potere economico e politico, rappresentati dalla Confindustria e dalla Dc nelle persone di Merloni e di De Mila puntino proprio ad un compromesso di questa natura. Nell'uno come nell'altro caso, la classe lavoratrice del Mezzogiorno, ridotta al rango di popolazione sussidiata o a quello di mano d'opera disgregata, verrebbe cancellata dalla scena politica del paese, mentre le ormai tradizionali e sempre risorgenti figure della borghesia di stato troverebbero ancora una volta sostegno e conferma. È proprio qui, in questa posizione di antimeridionalismo convinto, che la politica monetaria di Andreatta e la politica industriale di Merloni trovano il loro punto di più solida saldatura. belfast appunti sulla r■alt• nord lrtand■H fotografie di Giovanni Giovannetti La solidarietà agli Hunger-Strlkers e al BlanketMen, le case fatiscenti dei quartieri cattollcl, I bambini che giocano alla guerra e la guerra vera e propria. In appendice una Intervista a Auairi O'Bradaigh, leader del Sinn Féin e al di• rettlvo dell'IRA. DIARIO POLACCO Immagini su un anno di sindacato libero In Polonl1 Gdaflsk, dentro il cantiere Lenin I protagonisti. l'organizzazione dello sciopero: la milizia operaia. L'Informazione. I ventuno punti della piattaforma del Mks di Gdatlsk. Momenti di vita nel cantiere. Fuori dal cantiere, ascoltando la trattativa. Sabato 30 agosto 1980: cronaca di una giornata Importante. Da polacco a polacco I cinquecento giorni di Sol/darno!;(; L'accordo del minatori. La protesta degli studenti. 3 ottobre 1980: il primo sciopero generale In Polonia. La Corte suprema registra lo Statuto di Solldarno!6. Nuovi motivi di lotta: I 'sabati liberi' e Solidarnoée contadina. Jaruzelskl è eletto primo ministro. La crisi di Sydgoszcz. Nasce Solidarnott contadina. Muore Il primate Wyszyr'lski.L'estate della fame. Continuano gli scioperi. Il Congresso di Solldarno!6 a Gdar'lsk. Jaruze1sklè eletto segretario del partito. Comincia Il golpe strisciante. 13 dicembre 1981: l'ordine regna a Varsavia. Lo Stato del mllltarl Fotografie Achtner, Jean-Louls Altan, Awakumowskl Bernard Blsson, Fabian Cevallos, Patrlck Cha~vel, Patrick Oamlen, Alaln Dejean, Foreslier Gianni Glansantl, Giovanni Giovannetti, Jean~Pierre Guillaume, Jacques Hallot, Alaln Keler, P. Khayatte, Roberto Koch, P. Manoukian, Falco Mercurio, Alain.Nouges, Mlchel Phlllppot, Gerard Ranclnan, Ferdinando Rossi, Jean-Regls Rostan Christine Spengler, Atelier Presse Utustratlon ' Parls, Camera press London, agenzia Conlrasto Roma, L'Express, lmapress Parls. agenzia Grazia Neri Milano, Parls Match, Photoreport Wlen, Sygma press Parls, agenzia Team Roma, Visions Parls-New York Testi Adriano Sotri, Giovanni Giovannetti, lndex - Archivio Crilico dell'Informazione. Paoto Brera, Paolo Flores D'Arcais, Lisa Foa Nelle migliori librerie oppure con vaglia postale (Belfast: L. 5.000 + 1.500 per spese postali; Diario Polacco: L. 18.000 + 1.500) intestato a: formicona editrice, via Fasolo 23, 27100 Pavia formicona editrice collana bianco è nero

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