Alfabeta - anno IV - n. 40 - settembre 1982

quest'ultima trovanq spa·zio le azioni supererogatorie. C'è un dovere naturale a fare il bene, ma non c'è un dovere naturale a rischiare. Quando si supera la linea di confine delle esigenze etiche per così dire elementari, alcuni individui investono le proprie virtù di coraggio e di autocontrollo in prestazioni che presuppongono e richiedono grande disciplina: allora o vanno a coprire posizioni sociali, istituzionali ecc. per le quali si rendono indispensabili queste capacità, oppure cercano scopi superiori che trascendano la soglia delle obbligazioni naturali. Questa moralità non è per persone ordinarie: è infatti quella del santo e dell'eroe, esige sacrificio, umiltà e disinteresse. Non è la logica accaparratrice ed autosoddisfatta del mercante, possiamo dire ricordando la vecchia antitesi (reazionaria) mercante-eroe, a poter soddisfare la «vocazione» supere rogatoria. In entrambi i casi ai quali abbiamo accennato, l'etica individuale è al servizio della tenuta e dell'equilibrio dell'ordinamento sociale (pur potendo. naturalmente, contemplare specificazioni conflittuali). La morale produce legittimità indiretta perché produce ripetitività e indifferenza ai contenuti (si è grati a chiunque abbia compiuto un'azione supererogatoria nei nostri confronti, e si è per così dire atemporalmente predisposti alla gratitudine), e diversifica le funzioni sociali determinando diseguaglianze di comportamento possibili ma non obbligatorie (si può decidere di essere un santo o un eroe, ma si può anche decidere di non esserlo). • È però sottinteso che la morale sia destinata a «divorare• uno spazio sempre maggiore, perché sempre minore (il rapporto è di proporzionalità inversa) è il tasso di coinvolgimento richiesto ualla società alrinuiviuuo a fini di integrazione sistemica. In altri termini, quanto minori sono le azioni ordinarie che vincolano l'individuo alla società, tanto maggiore è la possibilità di prestazioni extra-ordinarie. •Meno problematico e responsabilizzato è il rapporto tra individui e grandi meccanismi istituzionali, la cui capacità autoriproduttiva si è sganciata da motivazioni razionali, più frastagliata è l'area della morale privata e più intensa l'assunzione di responsabilità personali. D'altra parte, la retrodatazione (condivisa da Luhmann) della nascita del problema non solo alla crisi di fine secolo, che produsse grandi moralisti, ma anche ad uno sfondo pre-kantiano di discussione, può favorire un inquadramento sereno delle attuali difficoltà della sinistra ad orientarsi in questo campo. Come scrive Roberts, fu l'oggettività, se non la razionalità, a dominare il dibattito del XVIII secolo. Anche quando è analisi dei sentimenti, la morale ha sempre «presa» su figure oggettive e non sull'espressione puramente soggettiva delle emozioni. La scienza della morale ha sempre cercato di darsi radici trans-soggettive. Molte periodizzazioni un po' scolastiche - capitalismo concorrenziale-utilitario, post-liberalismo, tardo capitalismo ecc. -, riferite alla specificazione morale dell'individuo moderno, saltano, ed è merito di Veca non lasciarsi irretire in scansioni temporali improbabili. Questo ampio respiro storico dovrebbe però suggerire che in alcune esperienze della filosofia morale contemporanea non si nascondono solo i lineamenti di un possibile, e magari praticabile, percorso politico, ai quali si ha l'obbligo di attingere con umiltà conoscitiva, ma anche le tracce inconfondibili di una teoria della legittimità e della stabilità. Sul versante opposto a quello di un marxismo troppo spesso colpevolmente latitante nel campo della morale, c'è una filosofia politica della morale che ha inteso dare grandi contributi ad una teoria dell' «ordinamento legittimo». AutonomidaiAnceschi Luciano Anceschi li caos, il metodo Napoli, Tempi moderni, I981 pp. 235, lire 8.000 Ultima lezione, e programma, Studi di estetica, I, I981 pp. 10, s.i.p. Che cosa è la poesia? Fenomenologia e struttura di una domanda (corso accademico 1980-81) Bologna, CLUEB, I981, 2 voli. pp. 70+ 115, lire 8.500 ► Plotino Del bello e del bello intelligibile tradotti da Luciano Anceschi, Mantova, Arcari, 198I pp. 111 + 55, s.i.p. S u Anceschi i saggi più interessanti, fuori della polemica o della difesa (cui spesso è giustamente sottoposto un personaggio centrale). sono i recenti lavori di Lino Rossi (in Siwazione dell'estetica in Italia, Torino, Paravia 1976) e Carlo Gentili (in Nuova fenomenologia critica, ibid. 198I), in qualche modo complementari per il taglio storico del primo, metodologico e sincronico del secondo. Le differenti angolature consentono di illuminare e sottolineare aspetti diversi dell'opera di Anceschi. Rossi rileva soprattutto il rapporto con il vivente («nel continuo vivificante rapporto col mondo dell'esperienza e della realtà storica dell'arte, e solo in tale rapporto, sembra attingere ÌIsuo livello teorico più alto e produttivo», p. LXXIX), cioè il costante interrogare diverse situazioni nel loro immediato evolversi, mentre Gentili orienta il proprio intervento a documentare lo scatto fondamentale dell'operare estetico di Anceschi: lo spostamento della domanda estetica dal problema «ontologico» del che cosa a quello fenomenologico del come. Queste sono probabilmente le qualità peculiari ed emergenti di ogni testo di Anceschi che ora Il caos, il metodo sembra ulteriormente puntualizzare. essendo un'opera che si offre come sintesi delle coordinate di pensiero dell'autore, quasi una «auto-introduzione• (raccogliendo tra l'altro una sorta di «contributo alla critica di me stesso» nel lucido schizzo autobiografico Difficoltà della memoria). Il caos, il metodo è un volume nato per stratificazione e accumulo di saggi diversi e vari, collegati tra loro dalla valenza teorica, e si colloca quindi in una ideale prosecuzione delle Istituzioni della poesia (1968) e come risultante degli altri libri 'teorici' di Anceschi, da Autonomia ed eteronomia dell'arte ( 1936) a Progeuo di una sistematica dell'arte ( 1962). Nell'arco di quasi cinquant'anni di ricc;rca, all'interno delle costanti del progetto sopra ricordate, varie sono state le prospettive e le posizioni: dalla verifica storica e teorica dell'idea della «poesia pura» (Autonomia ...) all'ipotesi - dopo un trentennio di appassionata interrogazione militante sui «lavori in corso» e di ricerca e recupero di coordinate a latere del pensiero esteti- -IU ..., _vag.. 1vu1a 1CO Stefano Verdino co italiano (la tradizione anglosassone da Bacone a Eliot, un 'diverso' Kant)- di una es!etica non più fondata nella sterile perfezione del sistema, ma nella più aperta e flessibile idea di sistematicità (Progeuo ), fino alla rilevazionetramite le nozioni di poetica e di sistema immaginativo (come il correlativo oggettivo o l'analogia)-di una nuova ars costitutiva dei testi (Istituzioni ...). Nell'odierno volume Anceschi sembra riassumere tutto ciò ma anche toccare un altro livello della ricerca. un livello più elementare e costitutivo, interrogandosi sul senso e sui modi e l'identità della ricerca stessa attraverso l'esame della sua prospettiva metodologica. In questa prospettiva l'eterogeneità dei saggi raccolti mantiene una precisa funzione: quella di rilevare la coerenza di un'unica impostazione in diverse posizioni e in diverse forme critiche di intervento: dal saggio organico («Della poetica, del metodo», che riprende in modi nuovi il discorso delle Istituzioni) alla conferenza trascritta («Conversazione tenuta a Roma») alla lettera polemica (con Zagarrio). 11 metodo ovviamente non è nuovo, giacché è una concretizzazione del principio fenomenologico che da sempre anima il discorso anceschiano; si tratta tuttavia della prima volta che diventa oggetto di indagine. Due sono le sue caratteristiche: il rigore e la flessibilità. Il rigore riguarda propriamente la struttura costitutiva del metodo, ovvero le sue qualità analitiche sia linguistiche che concettuali (sono particolarmente istruttive, per la loro rilevanza 'socratica', le pagine più 'orali' del libro, ovvero le pagine della «Conversazione» dove Anceschi parte da una rigorosa scomposizione linguistico-concettuale delle domande postegli uagli studenti) proprio per garantire nella nettezza dell'indagine (a uno scopo di massima chiarezza e concretezza vanno intese le frequenti schematizzazioni, ideali 'piattaforme' dell'articolazione del pensiero nei suoi nodi) la sicura prensilità e operatività al metodo, ovvero la sua flessibilità nel seguire le cose, piuttosto che anticiparle: «i problemi, essi stessi, suggeriscono dal loro interno gli accorgimenti per procedere» (p. 73). Vale a dire che il metodo esclude in qualche modo la teoria, che spesso ha voluto significare pregiudiziale e incomprensione del vivente (si pensi a Croce), come all'opposto, la sua nitida rilevazione deve impedire il poco produttivo irenismo eclettico. A distanza di quasi vent'anni dal Proge110, che è senz'altro il libro più affine, per spirito e impostazione, a Il caos, il metodo, mi sembra che Anceschi, anziché procedere sulle proprie collaudate costruzioni, voglia rimanere (in ogni suo libro, ma particolarmente ig questo) a un grado zero circa le prospettive della ricerca: il puntare ora sul metodo, piuttosto che sulla sistematicità, come allora, indica la volontà di angolare in modi parzialmente diversi il proprio discorso, quasi che negli anni '70 egli trovi necessario in una situazione cosi diversa dal decennio precedente sottolineare I'«elementarità» della ricerca, e quindi il metodo, verificandone con più forza anche la forza destrutturante (in questo senso vanno intesi i fitti recuperi da Nietzsche che costituiscono in qualche modo una novità) ovvero il compito precipuo che ha il metodo di rimuovere gli idola, con un'indiscutibile conflittualità con le più recenti costruzioni del sapere. C'è un passo piuttosto acceso nelle dispense universitarie che vale la pena ,::

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