MarsilioEditori COLLANA 900 G. A. Cibotto Stramalora finalista Premio Napoli I 982 finalista Premio Comisso 1982 Giovanni Russo L'Italia dei poveri Ugo Dettore Quartiere Vittoria SAGGI MARSILIO • Giampaolo BorgheUo Linea rossa intelle11ua/i,/eueratura e lotta di classe, 1965-1975 Anthony Tapiés Autobiografia a cura di Carmine Benincasa Gian Franco Venè L'ideologia piccolo borghese riformismo e tentazioni conservatrici di una non classe nell'Italia repubblicana, /945-1980 Premio Regium Julii /982 Gian Franco Venè Pirandello fascista La coscienza borghese tra ribellione e rivoluzione settori sociali meno favoriti dalla «lotteria naturale» e perciò giustamente destinatari di una relativa «riparazione sociale». aturalmente ciò che separa il neocontraltualismo rawlsiano dal contrattualismo classico non è solo una nozione di contratto inteso, anziché come evento realizzato nel passato o realizzabile nel futuro, come puro parametro valutativo di un dato assetto sociale; ma anche l'idea di necessaria ripetibilità e revisione dell'accordo. li potere, cioè, non è legittimato una volta per tutte, al momento del passaggio dallo stato di natura a quello di società, ma richiede di essere rilegittimato ad ogni decisione che impegni l'intera comunità. Non solo: ma se il punto di vista del contra11ualismo sei e sellecentesco era quello dell'ingresso in società, adesso è quello, più modesto e funzionale, della stabilizzazione, del non-recesso dall'ordine statuale ad una situazione di ingovernabilità conflittuale. Ciò che invece permane del programma contra11ualista «moderno» all'interno dell'impostazione etica di Rawls-Veca è il concelto di società giusta (o meglio giustificabile) come risultato di una scelta, di una procedura, di una negoziazione tra soggetti «egoisti e razionali» interessati ad un livello possibile e necessario di cooperazione reciproca. li cosidde110 «velo d'ignoranza» - e cioè la sollrazione di visibilità di ogni contingenza sociotemporale riguardante i contraenti al momento della «posizione originaria» - garantisce l'imparzialità delle norme palluite: non conoscendo in anticipo il proprio posto all'interno del modello sociale conseguito, ognuno sarà costrello ad assicurarsi il «massimo dei minimi possibili» (il famoso maximi11 contestato da Harsanyi), e cioè ad optare per le condizioni generali più equilibrate. li puzzle è finalmente risolto. Laragione trionfa sull'istinto, la giustizia sul privilegio, l'ordine sul caos. La contraddizione si ritira, si asso1tiglia, svanisce. Hobbes senza il Leviatano: Rousseau senza il legislatore; Kant senza il noumeno. Le antiche angoscic di Machiavelli e Hume non erano del tulio fuori luogo, ma sicuramente esagerate. Certo il confli110; ma ci si può sempre meltere d'accordo, sedarlo. quietarlo, «giocarlo». La teologia politica è finita, risolta, «distesa» in un'ottimistica dimensione dialogico-discorsiva. Si apre il tempo umano della laicizzazione integrale. M a ne siamo poi tanto sicuri' Funziona davvero questa originale, intelligente, mediazione di tradizione liberale e di tradizione socialista? Questo innesto di hobbesismo e kantismo, di razionalità e valore, di politica ed etica? È pensabile. possibile, effelluabile una fondazione etica della politica in una fase di accelerazione del conflillo interno e di esasperazione dei rapporti internazionali? La definizione di un ethos che cala dall'alto e dall'esterno- come è d'altra parte tipico di un'idea di giustizia verificata sul solo versante distributivo, e non anche su quello produltivo e riprodultivo - a «valorizzare» lo spazio dello scontro politico? O non si tratta piuttosto di una semplice addizione, di una pura giustapposizione di ambiti, istanze, linguaggi irreparabilmente divergenti? Una sapiente combinazione- e qui torna con forza l'argomento di Hume - di accettaz-ionedell'esistente (intrasformabilità strutturale del quadro, pura governabilità) e di astra11ezza regolativa (neutralità delle regole, trasparenza sociale). L'intenso diballito che si è acceso in area anglosassone intorno al volume di Rawls, documentato, tra l'altro innumerevole materiale, dalle due opportune raccolte colle1tanee Reading Raw/s e Le ragioni della giustizia, testimonia, oltre che dell'insolito e meritato interesse nei confronti del neocontraltualismo rawlsiano, anche della • • • • liceità di simili interrogativi. Se buona Mars1I10Ed1ton parte degli attacchi sono tanto simme- 8 LO11 o ce ca g Ino o Ia dc erte contrapposti da neutrahzzarsi reciprocamente - M. Fisk accusa Rawls di conservatorismo, D. Beli e A. Martino di egualitarismo, K.J. Arrow di organicismo - altre e non meno significative obiezioni restano decisamente fondate: sul piano della coerenza interna come su quello dell'esito politico. In un saggio assai fine (apparso sull'ultimo numero di Problemi della transizione) che tematizza il rapporto di etica e politica lungo un ampio arco cronologico, Remo Bodei ne isola due in particolare: da un lato l'impossibilità di cancellare la storia effe11iva,con i suoi contrasti, i suoi strappi, i suoi punti di opacità che occludono ogni ipotesi di socializzazione integrale delle informazioni (la società trasparente) quale sarebbe richiesta dalla razionalità dispiegata della scelta originaria; con la conseguenza di un distacco radicale dalla· contingenza sempre nuova, eppure sempre storicamente riconoscibile, dello scenario sociale. Dall'altro la contraddi1torietà di vincolare un'ipotesi di negoziazione integrale, intenzionalmente libera da ogni presupposto, al dogma della nonscambiabilità, della auto-fondabilità, del bene della libertà; e cioè alla «tabuizzazione», alla non-discutibilità, di un valore quale ce lo consegna l'ideo- • logia liberale in una fase specifica della società a capitalismo maturo. (Sulle contraddizioni del concetto di libertà in Rawls, cfr. almeno B. Barry, The Liberal Theory of Justice, Clarendon Press, Oxford 1973). Ancora una volta: il valore lontano dal mondo e insieme il mondo come il valore. Ma è proprio questa doppia valenza, descrittivo-prescrittiva, a mostrare i limiti di anacronismo del neo-contrattualismo come paradigma di mercato politico in una società che sconta lo squilibrio sempre crescente tra legalità e legittimità e la progressiva espansione di potere incontrollato, già indotti dallo Stato sociale e dalla sua riconversione critica. Se l'idea di fondazione etica della politica risale al revisionismo neo-kantiano, anche l'immagine dello Stato come arbitro neutrale, puro garante, «cassa di risonanza» delle pretese corporative tra gruppi di pressione sembra piuttosto una realtà fenomenica da lasciare alle spalle che un modello positivo da raggiungere. E come può, d'altra parte, uno Stato certamente in crisi - come lo stesso neocontrattualismo riconosce - essere poi tanto forte da rilegittimare con una semplice contrattazione l'intero asse di costituzione della società politica: quando è ormai in discussione la stessa nozione di «legi1timazione>, oltre che quella di «società politica»? In altre parole: basta la volontà etica del soggetto a «curare> la malattia del sistema, o è necessario elaborare un lessico politico più raffinato che oltrepassi i termini classici di soggetto, bene comune, persona morale e il paradigma «medico-restaurativo> che li sollende? U n ultimo punto, brevemente. Nel saggio che insieme a quello di Giuliano Pontara (inteso a rilevare l'inapplicabilità del programma rawlsiano al quadro delle relazioni internazionali, a meno di non invertire l'ordine lessicografico di priorità tra libertà, uguaglianza e stabilità) mi sembra il più penetrante tra quelli raccolti, Raymond Boudon (di cui è ora pubblicato in italiano il volume Effeui «perversi» de~azione sociale, Feltrinelli, Milano 1981) osserva che Rawls non tiene conto delle interdipendenze funzionali delle coppie eguaglianza/ineguaglianza e libertà/coercizione, e cioè degli effetti «perversi> generati dalle stesse scelte «eque> all'interno di ,istemi complessi come le nostre società. Interdipendenze e contraddizioni che invece, a loro modo, erano soggettiva.mente colte, o comunque oggettivamente registrate, nelle filosofie politiche classiche di Hobbes e di Rousseau. Lasciamo per un momento Boudon e passiamo al capitolo più denso e stimolante del volume di Veca, Con1ra11osocialeeidentità. Oui il passaggio da Hobbes a Locke a Rousseau e Kant è letto nei termini progressivi di uno sviluppo logico-storico: dalla ricerca di condizioni minime per l'identità sociale e la sopravvivenza in Hobbes, alla richiesta di un padroneggiamento significativo dei piani di vita in Locke, fino all'istanza di uguaglianza e cioè di pari dignità tra le diverse persone morali in Rousseau e Kant, «il problema del contratto sociàle [slitta] dalla scelta razionale dei principi di una ,ocietà libera a quella dei principi di una società giusta> (p. 115). L'idea retrostante a simile ricostruzione - che qui sono costretto a schematizzare e a semplificare -mi sembra quella di una secolarizzazione dell'autorità compiuta senza residui, senza resti teologico-politici. Del concetto, strutturalmente ambivalente, di secolarizzazione è assunto il solo versante di laicizzazione. Secolarizzazione non è altro che compiuta laicizzazione, integrale mondanizzazione. Il polo teologico-verticale sarebbe in questo caso integralmente «disciolto>, volatizzato in quello mondano-orizzontale. La libertà alla base della giustizia e la giustizia al culmine della libertà. È un modello assai suggestivo, come si è detto, e assai più ricco e articolato di quanto non possa qui presentarlo. Ma con l'inelimibabile difetto di restare un modello. Difficilmente pronosticabile per il futuro, certamente irrealizzato per il passato. La storia della filosofia politica moderna non mi pare percorrere un «cammino verso l'alto>; e neanche un itinerario di «soluzione di precedenti soluzioni>. Se Hobbes non riesce in nessun modo a sfuggire alla contraddizione di costruire l'unione di sovrano e sudditi attraverso la rinuncia di questi ultimi alla propria autodeterminazione, Rousseau arriva a concettualizzarla con tanta forza da identificare individuo e società, parte e tutto, libertà e alienazione: per essere libero l'uomo deve esserecostreuo alla libertà. Tale conclusione non esprime, come dice T. Magri, in un volume (Saggio su Thomas Hobbes, Il Saggiatore, Milano 1982) peraltro assai serio, una semplice «confusione> (p. 225) di Rousseau. Esprime l'inadeguatezza dello schema contrattualista a penetrare il «segreto> del politico moderno, la sua tensione costitutiva. E infatti Rousseau, più che «compiere>, rovescia, irrealizza, la tradizione contrattualista. La trascina fuori da se stessa. La prospettiva di oggettiva spoliticizzazione, cui inesorabilmente conduce l'elegante e intelligente riproposizione che ne fornisce Rawls (ciò che conta è il cristallo formale delle regole, non la forza di imporre la prima mossa), può essere rimozione, non vera risoluzione, del problema del politico: e perciò destinata a ritrovarselo di fronte in tutta la sua irreducibile asprezza. :::
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