David Hume cOf the Originai Contrae!>, in Moral and Politica! Essays trad. it. in Opere, 1 voli. Bari, Laterza, 197 I John Rawls A lbeory or justice Havard University Press, Cambridge. Mass. 1971 N. Daniels (ed.) Reading Rawls Basi! Blackwell, Oxford, 1975 ( 1978) «Le ragioni della giustizia•, n. 65/66 di Biblioteca della libertà, XIV, I 977 Salvatore Veca La società giusta Milano, Il Saggiatore, I 982 pp. 116, lire 6.000 Remo Bodei «Remota Justitia, premessa per una discussione su etica e politica•, in Problemi della transizione n. IO, I 982 Il (... )ifilosofi( ...)affermanonon '' solo che il governo, nella sua prima infanzia, nacque dal consenso, o piuttosto dalla volontaria acquiescenza del popolo, ma altresi che esso, perfino oggi, raggiunta la sua piena maturità, non posa su altro fondamento( ...). Ma, se quei pensatori si guardassero intorno, nel mondo, non troverebbero nulla che corrisponda meno alle loro idee o che possa giustificare un sistema cosi sottilmente logico ( ...). Quasi tutti i governi attualmente esistenti, o di cui rimanga una qualsiasi documentazione storica. ori-·- ginariamente sono stati fondati o sull'usurpazione o sulla conquista, oppure su entrambe, senza alcuna pretesa al leale consenso o di volontaria soggezione da parte del popolo. Molti governi sono stati fondati con mezzi di questo genere, e questo è il solo contralto originale di cui possono vantarsi». Non è Giambattista Vico che parla. remoto capostipite di una critica al giusnaturalismo contrattualistico destinata a toccare l'apice nel tagliente, e fin sprezzante, giudizio di Hegel. E neanche siamo in area di certo radicalismo francese, pregiudizialmente sospettoso, se non ostile, nei confronti dell'aurea tradizione filosofica anglosassone. Ma nel cuore stesso di questa tradizione. David Hume, I 748, Ofthe Originai Contract, incluso nei suoi Mora/ and Politica/ Essays. Senza poterci soffermare quanto converrebbe su questo stupendo frammento che cade come fulmine a ciel sereno in un quadro filosofico-poIitico ancora percorso e unificato dalle confortanti geometrie del contrattualismo lockiano (i Traltati sul Governo Civile sono pubblicati nel I690), stringiamo al nocciolo della questione. Dopo una prima, potente, pennellata sul carattere necessariamente ideologico-funzionale di qualsiasi «sistema filosofico• («Come non vi è partito, nell'età presente, che non sappia mantenersi in vita senza un sistema filosofico speculativo i cui principi siano connessi con il suo sistema pratico e politico, cosi noi troviamo che ognuna delle fazioni in cui la nazione è divisa ha costruito un edificio del primo tipo al fine di proteggere e coprire quello schema di azione che persegue•), Hume individua la complementarità bipolare, curiosamente simmetrica, delle posizioni teoriche assunte dai due grandi partiti inglesi, whig e tory. Op sl'nell icosy i ne ~ HumeeRawls ca della fonte del potere - diritto divino per i Tories, contratto consensuale per i Whigs; speculari nell'uso comune di legittimazione della propria linea politica che essi ne fanno. Ma se il primo tipo di legittimazione - quello teologico - si confuta necessariamente da sé. a meno clinon voler accettare la tesi (di derivazione agostiniano-gregoriana) ad esso conseguente dell'equivalenza tra re giusto e tiranno; il secondo, ed ampiamente laicizzato, del contratto originario si presta ad una nutrita serie di obiezioni. Intanto quella, tuttosommato poco convincente - dal momento che all'interno del filone contrattualista, forse il solo Locke, certamente né Hobbes né Rousseau, allude al patto come ad un evento storicamente avvenuto - della assoluta mancanza di tracce, di memorie, dell'atto fondativo. Ma soprattutto due sono i livelli, abbinati e convergenti, sui quali Hume concentra il proprio attacco critico-scettico. Per un verso l'eccessiva generalità, non genericità, l'astrattezza di un Roberto Esposito criterio ideale che perde ogni filo cli contiguità, ogni riferimento rappresentativo, nei confronti di un universo politico in cui e l'obbedienza, la soggezione, divengono cosi abituali che la maggior parte degli uomini non indaga mai sull'origine o sulla causa di esse più di quanlo non faccia per il principio <.lgi ravità, 4uello di allrito o per le altre leggi universali della natura•: «tanto poco i fatti e la realtà corrispondono a quelle nozioni filosofiche». Non solo neanche il momento dell'origine del corpo politico si so11rae alle fortissime tensioni che rendono ineffettuale qualsiasi presupposto normativo, qualsiasi fonclabilità etica: ma è proprio quello-e qui Hume rivisita una formidabile intuizione machiavelliana - in cui cii consenso del popolo è stato meno considerato nei pubblici rapporti•, in cui più sfumati e confusi risultano i confini fra legalità e arbitrio, dirillo e violenza. Non era stato, del resto, proprio Machiavelli a demitizzare il concetto umanistico di libertà come infinira autodeterminazione del sogge110; e a rovesciarlo come un guanto nella dura effettualità ciel suo opposto: necessità, clererminazione, oggettivilà dei rapporti di forza?«( ...) potremmo asserire - conrinua Hume - che un uomo, per il fat10 di rc~tarc "li una nave. accella liberamente raulorità <.leicapitano, sebbene sia stato portato a bordo addormentato e, per lasciarla, debba gettarsi in mare e perire?> Altro che volontarietà del patto: «L'ordinamento originale fu creato con la violenza e subito per necessità>. Ma è proprio l'occultamento del carattere necessario, storicamente determinato, del riconoscimento dell'obbligo politico, a costituire l'altra, e ben più rischiosa, opzione ideologica del contrattualismo. Non solo - e lo si è visto - la trasposizione del diritto in fallo, dell'ideale in reale, del cielo in terra: ma anche, al contrario, e con I'effe110conservativostabilizzante che ne deriva, la trasformazione del fatto in diritto, del reale in ideale, della !erra in ciclo. L'ordine subilo di fallo diventa l'ordine scelto di dirillo; l'obbedienza volonlà; la necessità liberlà. L'affondo critico di Hume non si arresta qui, ma fin d'adesso si richiude a cerchio sul proprio ogge110 polemico: massimo idealismo e massima mimesi. Come dire: tendenza all'ulopia + rendenza all'apologia. · u n'obiezione che non mi pare ancora convincenremente confutata, neanche dalla rccenle ripresa neo-contrattualisra originala dall'importante opera di J. Rawls sulla teoria della giustizia e in1erpreta1a, diffusa, approfondita in llalia dagli interessanti lavori di Salvatore Veca ora raccolti nel volume La società giusta. Subilo una precisazione: ogni valulazione critica di merito deve partire dal presupposto del grande rilievo analitico, filosofico, polirico di un filone teorico che rompe vecchie incrosrazioni, apre nuovi orizzonti di ricerca, ritorna in maniera problematica su alcuni grandi remi - l'aurorità, la legi11imità, l'ordine - incastonati all'origine del mondo moderno e ancora lull'altro che esauriti. Uno sforzo di complessirà, d'altra parte, presente ed operanre già nel rifiuto preliminare, da parte di Rawls, della semplificazione utili1aris1a, sia nella sua versione classica, benrhamiana - la massimizzazione del bene per il maggior numero d'individui -, sia in quella, più sofisticata, ma sostanzialmente altrettanto ridulliva, oggi rilanciala sopra11u110da J. Harsanyi. Mentre per quest'ultimo (di cui, in relazione a Rawls, si veda in particolare «Can the Maximin Principle Serve as a Basic for Morality? A Critique of J. Rawl's Theory» in Essays on Ethics, Socia/ Behaviour and Socia/ Exp/a11ario11, D. Reidel Pubi. Company, 1976) è necessario conferire lo stesso peso agli interessi legi11imidi ogni persona qualsiasi sia la sua condizione di parlenza naturale e sociale, per Rawls un • modello istituzionale di società è accellabile quando distribuisce costi e benefici in base ad un criterio non solo di efficienza, ma anche di equità. Ma su quale metro è possibile misurare tale criterio? Questo è il problema <.li«giustizia distributiva• - chi deve ricevere e quanto dei beni prodotti in una data società? Come ridistribuire i frutti del bilancio pubblico tra individui e gruppi che cominciano a mettere in discussione il concetto liberale classico di uguaglianza come semplice parità di opportunità Ìniziali? - a cui • Rawls dedica le seicento pagine del proprio libro (oltre ad articoli successivi, tra cui va almeno visto « Kantian Constructivism in Moral Theory., in The Journal of Phi/osophy, LXXVII, 1980, ~- 9). La risposta va nel senso della riformulazione di un contratto sociale che consenta di salvaguardare, e anzi potenziare, i diritti degli individui senza sacrificare o mortificare quelli del collettivo entro cui vivono e viceversa. Se siamo lontani dall'individualismo «selvaggio• alla Nozick che sollrae • alla negoziazione politica ogni livello di esistenza individuale, lo siamo altrettanto dal modello teleologico del marxismo e dell'utilitarismo che, secondo Rawls, pur a partire da premesse contrapposte, finiscono entrambi per annegare le legillime differenze individuali nel fiume dell'interesse generale. E infatti, sempre per Rawls, le disuguaglianze non vanno abolite ma-fatta salva la priorità del principi<' di libertà - riconvertite a vantaggio<
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