Alfabeta - anno IV - n. 40 - settembre 1982

LuigiDiRuscio 1. per quaranta anni non ho fatto che guardare anche quando dormivo in compenso ho preferito non essere guardato neppure da sveglio e se li incontravo cominuavo a camminare come se non esistessero o io 11011 esistessi quello che guardo non viene affatto cambiato dalla mia guardata in compenso sono io a cambiare per cambiare liii p11111d0i vista se fossi in parte simile a quello che guardo 1101s1arebbe un guardare ma un riconoscere infatti guardo anche i miei sogni senza riconoscermi non potendo 111a1ltro mettere i piedi dove li ho messi posso considerarmi un punto di vista unico e mi scontro con altri punti di vista unici quando la vidi nuda non mi riconobbi ma cercai di ingravidarla ed è avvenuto che si lasciasse ingravidare e 11011 ci riconoscemmo in compenso ci siamo incontrati e poi lavati prendere 1111paarola non soggetta volta ad altro sospesa fino a che rimarrà 111p1umo di non possibile arrivo dove tendono ad arrivare un tiro a segno che fa colpire wuo meno quel segno per colpire il tasto giusto toccare la maggior parte dei tasti meuere i versi in liii ordine che mi è ancora ignoto versi che devono aprirmi altri versi sino alla consumazione di tuua la carta esce dalla vagina a testa in giù in 111p1recipitare ad immagine del primo precipitato e riscattato per mezzo della croce magnifica la rivoluzione perché estremamente felici con la speranza in astratta fede produrre instancabilmente oggeui non mi interessa affatto sapere a che serviranno il chiarore è sulle carte entra da una finestra posta perfeuameme ad oriente mentre la macchina da scrivere è rivolta al polo ai puri freddi (e travolto mi alzo da questo zero e da questo zero scrivo) 2. cane molto pericoloso perché aveva un padrone molto pericoloso canino un cane che abbaia contro tu//0 il mondo perché aveva un padrone che ;;usciva ad amare solo il mondo che riusciva a mangiarsi il cane che odiava il mondo intero e del mondo intero che odiava riusciva a vedere poca cosa ma ne sentiva la puzza il cane doveva proprio essere un assassino una macchina disperata pensavo decisi di arrampicarmi sul muro per vedere quella macchina disperata canina dei padroni conosciamo alla perfezione tulli i loro cani una forconata in gola ti meriti tu che vedi il mondo attraverso gli occhi del tuo padrone stronzo canino un cane pieno di peli perdeva i peli molti erano i peli del cane il cane morì perché era fuggito di casa era andato nel mondo che odiava così canino come era è inutile fuggire nel mondo nemico costruito dai padroni il mondo era una tristezza in quei giorni murati canini vedeva il mondo con gli occhi dei padroni del mondo e non è strano a/fallo che il mondo fosse così canino e disperato e dei padroni conoscevamo alla perfezione solo i loro cani dei padroni conosciamo alla perfezione solo i denti dei loro cani dei peccati del mio cane io sono innocente disse il padrone il cane potrebbe·dire che è innocente dei peccati dei padroni il colpevole sarà quello che si farà mordere dal cane non sarà facile per i morsi da tutti i cani diventare innocemi .3. (In tristitia hilaris, in hiliritate tristis) essendo abituato a vedere il nascere e perire delle cose insomma essendo abituato al poetare io spedisco e volo verso le americhe latine da poco papalmeme benedeue con la santità di umi i principi agrari dove hanno bene imparato ad assetare gli assetati ad affamare sempre di più gli affamati sotterrare i vivi e sfossare i morti scatenare i fascisti ammazzare i giusti incoronare gli assassini e se in queste cose dovesse cercarsi una razionalità è che i giusti devono scendere nel più profondo inferno benedeuo perché i giusti per essere tali devono resistere al più profondo degli infemi e sarà possibile credere anche alla bontà del santissimo piccolo-grande padre basta che ci spieghi perché va in giro con vestiti così stronzi e perché si mette cappelli così stronzi faticosamente costruiti dai cappellai papali è necessario capire le piccolissime cose perché si chiarisca un piccolo lembo del mondo grande atroce e quanto ti amerei (mi dice) se ti facessi la barba umi i giorni e se tu riuscissi a meuerti la cravatta (in questi dolcissimi misteri perdendomi) B10•1otecag1noo1anco 4. (Jordani Bruni Nolani) Lo schok che si subisce venendo al mondo, (diciouo secoli di rapine mi battez• zaj, l'aria freddissima rispetto al calore del ventre materno, la luce vivissima ferisce i due occhi abituati ad una calda rosea oscurità, i rumori assordanti l'udito abituato al silenzio roseo delle acque carnali, la poesia retrocede verso la prima angoscia, forse è l'angoscia di rimanere schiusi in un ve111re per sempre e chi lo ama se lo tenga e ne goda. E tuui svegli e invece chi era sveglio si addormenta e chi era addormentato si sveglia e tutto andrà bene se riesci ad essere in quello che prima non era avvenuto ed è possibile che man• chino le parole, oppure è possibile che è rimasta la parola me111rela cosa è sparita. Sembra si assaggino e si spiino, devono dimostrarsi a vicenda di essere in armonia con gli ordinamenti sociali, ogni uno sonda l'altro e si spia. La poesia dovrebbe sondare il blocco sociale, l'organismo sociale in cui viviamo, bisognerà sapere in che mondo viviamo mondo che ci è stato dato di vivere e spiegavo ad un cieco dalla nascita questo atroce mondo che vedevo (mondo atroce ilare felice) io riuscivo a vedere ancora meglio un mondo atroce ilare felice riuscivo a vedere ancora meglio lunghi eterni triremi diciouo secoli di rapine e sarà sbranato per i limiti della mia condizione corporale il cieco co111i11uavarimanere cieco e trasformato in cervo sarà sbranato e cadde anche l'angelo custode pesava come il piombo il suo velo caduto non potevamo nascondere più niente era tuuo accaduto altre volte (ed e111randoin questa camera per scrivere riguarda attentamente tuue e quattro le pareti che mi chiudono riguardo queste superfici che mi nascondono sbalordito di queste cose che mi chiudono e nascondono ecco la mia identità penso e se mi spello stacco la pelle scoprirò che dentro c'è una cosa tutta diversa da quella che immaginavo) (quì non devo accomodarmici in ogni caso) in tuue le cose c'è un grande silenzio che urla questo grande silenzio ad un trauo si meue ad urlare e dopo dieci anni di processi il «in tristitia hilaris, in hiliritate trisris» fu sbranato dalle fiamme canine dovendo sapere in quale degli infiniti mondi ci è capitato di vivere (quelle fiamme canine ci aspeuano volendo sapere anche quelli che controllano le fiamme canine chi siamo (i processi saranno lunghissimi mentre preparano le fiamme cani111•)

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