Alfabeta - anno IV - n. 40 - settembre 1982

che la morte crudele di un leone e i suoi occhi cavati in una gabbia d'oro. Quando la morte del re non fu che questione di poche ore, Caterina intimò a Diana di renderle i gioielli della Corona e la proprietà di Chenonceaux. La duchessa rifiutò: finché il re era vivo non avrebbe rinunciato a nulla senza suo espresso ordine. Ma undici giorni dopo Enrico mori e Diana fu costretta a restituire i gioielli. La ebbe vinta per quanto riguardava Chenonceaux che era legalmente libera di tenere avendolo riacquistato dal vecchio proprietario con i mezzi che sappiamo, ma Caterina non si accanl meno contro di lei di quanto lei stessa si era accanita contro Antoine Bohier. La regina non dimenticava i sentimenti che aveva provato rendendo alla favorita una visita forse forzata, in ogni caso umiliante, nella proprietà di Chenonceaux; si ricordava anche della bellezza della casa e dei giardini. Mentre alcuni cortigiani proponevano seriamente di «fare tagliare il naso alla bella duchessa», Caterina si contentò abilmente di fare decidere dal Parlamento che Diana restituisse le somme avute dal re. Toccata sul vivo in ciò che aveva di più caro, la sua fortuna, Diana comprese che bisognava venire a patti con la Regina. Ma era pur sempre una donna scaltra. Puntando sul desiderio appassionato di Caterina per Chenonceaux, glielo offrì in cambio della proprietà di Chaumont, che da un punto di vista strettamente finanziario valeva a/tre/tanto. Caterina accettò. Fino all'ultimo Chenonceaux fu per Diana un buon affare. Diana di Poitiers si ritirò finalmente nel suo palazzo di A net, sulla cui soglia Jean Goujon l'aveva rappresentata sdraiata nella sua agile nudità di Dea dalle lunghe gambe, così stranamente prossima al canone plastico delle indossatrici dei grandi sarti del X X secolo, il braccio attorno al collo di un grosso cervo quasi altrettanto divino di lei, in una strana mescolanza dell'ideale classico e della poesia medievale delle lande e dei boschi. Si sogna in una delle sale del Louvre davanti a questo gruppo che traspone la realtà in poesia; il cervo della foresta non ha mai rappresentato per Madame de Valentinois che, prima di tutto, la bestia ancora anelante del cui piede sanguinante si faceva omaggio al prevosto, e poi l'arrosto fumante indispensabile a/l'ottima disposizione dei suoi banchetti. È solamente nel mondo dell'arte che per la bella esso diviene un amichevole compagno, è solamente nel mondo dell'arte che quella nudità, celata a quasi tutti gli occhi da velluii e ornamenti, si rivela innocentemente alla luce del sole; è solamente nel mondo dell'arte che una cinquantenne amante del re diventa un'immortale. La vera Diana continuò a fare gran figura nel suo ritiro quasi reale. I suoi amici di un tempo, è vero, abbando11arono la favorita ormai fuori moda, ma lei restava ricca, era a11corabella, i suoi sentimenti religiosi la rendevano rispettabile e il suo odio per i protestanti la rese cara fino all'ultimo al partito dell'ordine. Morì settantenne in seguito a una caduta da cavallo. « Ho visto Madame la duchessa di Valentinois all'età di settant'anni, scrive Brantòme, cosl, bella, cosi fresca e così amabile come all'età di trenta... La sua bellezza, la sua grazia, la sua maestà, il suo beli' aspetto erano rimasti inalterati, e soprattutto era di un'estrema biancore ... Credo che se questa signora fosse vissuta cent'anni non sarebbe mai invecchiata ... È un peccato che la terra ricopra corpi così belli!». Caterina aveva preso immediatamente possesso di Chenonceaux. Come quelle di Diana le sue sistemazioni furono di volta in volta decorative e pratiche, accrebbe la redditizia piantagione di gelsi, e installò nel villaggio una bachicoltura e una filatura, 11egi iardini fece costruire voliere di uccelli rari e vi acclimatò gli olivi della sua Toscana che vi prosperarono; organizzò una biblioteca formata, si dice, di bei libri che aveva acquistato dal suo compatriota il maresciallo Strozzi, il Pierre Strozzi del Lorenzaccio di Musset. Vi condusse soprattutto la turbolenta ba11dadei suoi figli che voleva allo stesso tempo educare e distrarre; il maggiore, il piccolo re Francesco II, destinato a morire a diciassette anni di una otite acuia; Carlo, il secondogenito, morto a ventitrè anni di tisi galoppante sputando per sempre nella storia il sangue di San Bartolomeo; il terzo, Enrico, duca di Anjouil, il solo a ereditare l'intelligenza e la raffinatezza materna; il cadetto, duca di Alençon, giovane litigioso e sornione che sarebbe diventato in seguito un insopportabile principe; le due nuore, adolescenti infagottate in abiti di broccate egorgiere a cannoncino: Maria Stuard, moglie bambina del re bambino Francesco li, destinata alla sciagura, al crimine, e a una prigionia di venticinque anni che si sarebbe conclusa sul patibolo di Fotheringay, e Elisabetta d'Austria, moglie di Carlo IX, che attendevano i11 breve tempo i crespi vedovili e la morte dopo pochi anni di pie consuetudini in un convento di Vienna; e infine la figlia Margot, sposata presto al protestante Enrico di Navarra e la cui festa nuziale si sarebbe conclusa in un massacro, e tuttavia galante, allegra, poco toccata dal tragico della sua famiglia, e che dalla leggenda e dalla storia ci è tramandata come fanciulla di facili costumi. A rigore Chenonceaux sarebbe stata grande abbastanza per alloggiare quella numerosa famiglia, ma bisognava ospitare la Corte. La regina decise di annettere al castello il ponte coperto previsto anche dall'architetto di Catherine Bohier e da quello di Diana, e destinato" servire da salone delle feste, ma soprattutto a unire l'edificio esistente a uno da erigere simmetricamente sull'altra riva del fiume e che soltanto la mancanza di fondi impetfl di costruire. Il piano superiore fu spezzettato in stanzette destinate ai domestici, e senza dubbio, in ; mancanza di meglio, i cortigiani gliele disputarono. mento che questa donna spossata dagli affari creava intorno a lei scalpore, gaiezza, splendidi e facili divertimenti. Tutte quelle feste, ad eccezione dell'ultima che merita un discorso a parte, rientrano nel genere allegorico e mitologico allora di moda, ci furono balletti e serenate sull'erba e sull'acqua, co11scenari dipinti dal Primaticcio; cacce al cinghiale, regolate come intermezzi teatrali, si concludevano comodamente nei giardini stessi del castello, in modo che il giovane re sceso dalla sua camera potesse facilmente finire una femmina di cinghiale già azzannata dai cani epugnalata dai suoi gentiluomini. Si videro belle fanciulle abbigliate da divinità classiche interminabilmente arringare la famiglia reale e, divertimento assolutamente nuovo che giungeva dall'Italia, dei fuochi d'artificio infocare le acque e i boschi. La prima festa si svolse pochi giorni dopo le esecuzioni sommarie che seguirono al colpo di mano protesta/Ile noto come tumulto di Amboise. Le numerose messe a morte avevano dapprima divertito la corte come una specie di sanguinosa pagliacciata. Ma ci si stanca di tutto: voltando le spalle ai cadaveri degli insorti appesi come 'tordi agli eleganti balconi di Amboise, Caterina si recò a Chenonceaux per fare riposare il seguito e i figli. Caterina dei Medici, o meglio suo figlio Enrico IIl, nel maggio del I 577, diede nei giardini di Chenonceaux una di quelle feste di cui di colpo si impadronisce la leggenda per farne il fantastico e quasi scandaloso simbolo di un'epoca, di u11mondo, di un certo modo di godere e di sognare. Il I 5 maggio, a P/essis-lez-Tours, Enrico aveva magnificamente trattato il fratello cadetto, lo sgradevole duca d'Alençon, e quei signori che con lui avevano riporcato la vittoria di La Charité sugli ugonotti e che, alcuni giorni dopo, avrebbero riportato quella di Issoire, seguita dagli abituali massacri. Nella vecchia residenza reale di Plessis-lez-Tours, questa festa, data su un tipico sfondo di guerra civile, sembra sia stata un tipico Maggio nella tradizio11edelle feste primaverili del Medio Evo, rivisitate e abbellite da un discepolo del Primaticcio: era costato sessantamila franchi il tessuto di seta verde che trasformava le dame e i cortigia11in driadi e silvani. Subito dopo Cateri11aricevette tutta quella ~ente a Che11011ceaux. " Le feste che Caterina diede a Chenonceaux avevano certamente un ~ .,_.,te,;n;...e~p~o/Fl=,it,..;ic;,..oc,";_"'P""~=les'-Cl"'e:;,,o~~=e~gJ~re'"t°'o,..., Uf"m l,a°"'e=rl. a~s l_ ::a:p,.,ra,.t,,,tu-fl~esto._,.U,=p:,.e_r_il_s_u_o_t_e,_n_p_e_ra_- __ _ Nello scenario più t!picameme Rinascimento, la festa data dalla vecchia regina italiana pare che fosse ancora più sbrigliata e sontuosa, più consona forse allo sfondo delle vigne romane o delle ville fiorentine che a quello di un parco francese. Il re, che aveva ventisei an11i,vi assistette abbigliato e truccato come di solito; non è peraltro assoluiamente provato che quella sera abbia indossato, come si dice, l'abito a metà femminile, dalla scollatura a tregiri di perle, che aveva già portato durante le mascherate del carnevale di quello siesso anno. Le dame e le damigelle d'onore, incaricate di servire la tavola, sfoggiavano il costume aderente e variegato dei paggi oppure, abbigliate da ninfe della scuola di Fontainebleau, esibivano il se110e le gambe nude e i capelli sciolti. Ma se la voluttà regnava alla festa, certo non vi regnava lafiducia; il redetestava il fratello. A dire il vero si han110pochi dettagli su questa festa che ha eccitato l'immaginazione degli storici moderni; si sa tuttavia che costò tanto cara che la regina madre, già fi11anziariamente in cattive acque, dovette una volta di più servirsi degli uomi11i d'affari italiani che si rifecero immediatamente sul popolo. Ma è facile immaginare tra i boschi ancora giova11il'allestimento abituale delle delizie del XVI secolo: il vasellame d'oro, le tovaglie di seta, il suono delicato delle ribecche e delle viole d'amore, ed è facile anche immaginare le coppie che si smarriscono sotto gfj alberi e si rico11giungo11011ellemansarde del nuovo ponte coperto le cui gallerie illuminate si riflettono sull'acqua. A questa orgia, se fu tale, Caterina, enorme nei suoi ornamenti vedovili, assistette al fianco di Luisa di Lorena, la giovane e pia sposa di Enrico IIl. Alcuni storici moderni ritengono che la regina madre contasse sulle belle ninfe e sugli affascinanti falsi paggi per incli11are verso le donne u11giovane re relativamente misogino: sarebbe stato usare mezzi molto dubbi, più adatti a lusi11garlonelle sue passio11iche a i11vogliarloa un quarto d'ora di intimità con la regina. Più che di Caterina, quella folle serata porta il segno di Enrico stesso, delle sue predilezioni, delle sue chimere. Enrico era di coloro per i quali un abito, l'apertura di un balletto, le invenzioni straordinarie di una notte senza ieri e senza domani costituivano dei poemi animati e meritano cure e fatiche quanto i più duraturi capolavori. Durante questa festa imprudente, o comunque poco politica, il giovane re non invemò 11ie11ter:ealizzava al contrario le segrete • , aspirazioni del Rinascimento ormai prossimo alla fine, il suo gusto de/l'equivoco, il senso voluttuoso della metamorfosi e del travestimento. Egli si offrì quella sera l'equivalente avanti lettera delle commedie di Shakespeare o degli spettacoli di incanto mitologico quali il Gaveston di Marlowe offrì al suo Edoardo Il. (Traduzione di Maria Caronia) Il testo qui presentato si trova in Sous bénélice d'inventaire, Paris, Gallimard 1962. L'edizione italiana di quest'opera di Marguerite Yourcenar è in via di pubblicazione presso l'editore Einaudi. ,..

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