Montfaucon, e Antoine Bohier, implicato in quello che fu uno dei maggiori scandali del Rinascimento, decise di lasciare la proprietà come pagamento di una forte ammenda. Ma la prudente Diana voleva che Chenonceaux sembrasse essere stato acquistato da un privato, per timore che il castello le venisse un giorno ripreso come illegalmente acquistato dallo Stato se per caso le fosse venuto a mancare l'appoggio di Enrico Il. Cercò dunque di fare annullare come fraudo[e/1/a la cessione di Chenonceaux alla Corona, già registrata da dodici anni, con il pretesto di una falsificazione nell'inve111ariodella proprietà così da riacquistare poi a basso prezzo il castello che era stato restituito a Antoine Bohier solo per esserepiù facilmente ripreso e posto all'asta. Nuovamente minacciato di dovere risolvere il suo vecchio debito verso lo Stato, di cui aveva già creduto di liberarsi vendendo Chenonceaux, il figlio di Bohier fuggì a Venezia portando con sé i titoli di proprietà del castello troppo bello di cui la favorita si era appena appropriata con poca spesa. Il re sostenne Diana di Poitiers nel corso di una iniqua commedia giudiziaria che durò seue anni; Diana alla fine trionfò e rimase legalmente padrona di uno Chenonceaux che non le era costato niente, dato che Enrico Il le aveva dato il danaro necessario per riacquistarlo a vile prezzo. Vale la pena ricordare questa sordida storia quando si contemplano nei musei i magnifici ritrai/i che di questa dea del Ringscimento ci hanno lasciato Clouet o Jean Goujon. La fredda Diana aveva delle scaltrezze da notaio disonesto e un temperamento d'avara. Diana di Poitiers è una delle poche donne divenute e rimaste celebri solo per la loro bellezza, una bellezza così assoluta, così inalterabile da ricacciarenell'ombra la personalità stessa di colei e/re ne era stata dotata. L'ammirazione popolare ha vanamente cercato di rianimare questo bel marmo: le si è allribuita una melodrammatica storia con Francesco I a cui ella si sarebbe data giovanissima per salvare il padre condannato a morte. li racco1110 è di Brant6me, e Diana vi restaanonima, ma il favolista riporta, o piuuosto inventa, le crude parole del padre ben lieto di essersela cavata così a buon mercato, parole che Vieto, Hugo trasformò- in una lunga tirata indignata e virtuosa a/l'inizio del Roi s'amuse. Ma non si traua che di una leggenda e in questo gesto di devozione filiale c'è una specie di generosità di cui non si direbbe Diana sia stata capace. Ciò che si sa di lei è meno drammatico e più originale. Di grande famiglia, sposata giovane a un vecchio signore, sposa corretta e madre di due bambini, aveva 1re111ase1a1neni ed era vedova quando inco111ròa un ballo il futuro Enrico II allora diciasse/lenne. La singolare passione per una donna di vent'anni più vece/riafu la sola follia di quel principe prudente e tetro che fu tu/lo sommato un monarca morigerato. Non appena re, regalò alla vedova i gioielli della Corona, la nominò due/ressa, prodigò per lei il danaro dello • Stato. Si è già visto fino a quale dispregio della giustizia lo portasse l'amore per Diana nella questione di C/renonceaux. Enrico erasposato a una giovane italiana di diciassel/e anni, dalla pelle olivastra e dai begli occhi, quella Caterina dei Medici che in seguito sarebbe stata una regina madre posseduta dal genio de/l'intrigo, pronta a tutto quando si trai/ava di difendere il patrimonio dei suoi figli. Ma ali'epoca del/'entrata in scena di Diana, Caterina era solo una straniera isolata alla Corte di Francia, e follemente innamo- . rata del giovane marito. Fuprudetlle, non annoiò con le sue recriminazioni Enrico e/re continuava a osservare fede/me/Ile i suoi doveri di marito (o meglio finì per osservar/i, perché sembra e/re i saggi consigli di Diana abbiano avwo un certo peso nelle a11e11zio1d1eil Re per la regina), così che dopo nove lunghi anni di sterilità Caterina ebbe da lui dieci figli. La regina fece in modo di avere là corte più bril/a111el,e dame di compagnia più belle: la raffinatezza del suo gusto e il suo realistico senso degli affari facevano onore a quella Firenze da cui proveniva. Ma accanto alla bianca Diana, Caterina era troppo bruna per la moda, e le numerose gravidanze e la passione per i buoni cibi le avevano appesa111i10la figura. Insieme la regina e la duchessa, presiedevano a tulle le feste, Diana curava Caterina e i suoi figli quando si ammalavano; i loro rapporti erano carauerizzati da quelle o 11oiecag1noo1anco auenzioni e da quella buona grazia superficiale, ma non necessariamente insincera che, più spesso che 1101s1i creda, si affianca all'ostilità e al rancore in due donne costreue a dividersi lo stesso uomo. Si sa che il monogramma di Enrico, ripetuto dovunque a Fontainebleau, al Louvre, a Chenonceaux e in altri luoghi, era formato da una H a/traversata da due C· la Cdi Caterina. Ma queste due C avevano laforma della mezzaluna, il simbolo di Diana Cacciatrice, e intersecandosi alle barre del/' H formavano due D, la prima leuera del nome di Diana. Souile soluzione che doveva piacere a colpo sicuro al re e alla sua amante e segretamente anche dispiacere alla regina. Alcuni storici ben pensanti si sono domandati se questo amore singolare, che durava ancora all'epoca della morte del re, ormai quarantenne mentre la duchessa aveva già superato i sessant'anni, non fosse che un culto platonico reso alla bellezza. Sarebbe l'unico esempio di una passione platonica costata così cara allo Stato. I cronachisti del tempo non hanno immaginato nulla di simile e questa non era certo l'opinione della regina. Le splendide immagini della sua nudità che Diana ha fallo, o lasciato fare, agli scultori e ai piuori del suo tempo non danno certameme l'idea di una donna pudica. Sembra piullosto che abbiamo a che fare con una donna come ce·ne sono molte, più vana che ardente, senza scrupoli, ma fortemente legata alle convenzioni del suo ambiente e del suo tempo e, persino nell'amore, con un temperamento di avara. Per quanto appassionatame;ue Enrico Ì'abbia amata, Diana si amava ancora di più, questo fervore escludeva gli altri. Si impose la più dura disciplina per mantenere intaua la sua bellezza perfeua; si costrinse a bagni freddi quotidiani; distillava con perizia lozioni e unguenti; sarebbe stata l'imprenditore ideale della cosmetica moderna. Realizzò la sua duplice ambizione: un corpo, un viso sempre giovani; e una solida fortuna e/re le consentiva di mantenere e di ornare quel capolavoro. li più bello dei suoi presunti ritraiti, auribuito al C/ouet, e adesso al museo di Worcester negli Stati u;,i,i, ce la mostra nuda, nel trasparente leggero deshabillé del tempo, il busto driuo, i capelli ben intrecciati legati con perle, mentre contempla con occhi freddi e chiari la sua collezione di gioielli sparsa sul tavolo. Un prezioso specchio, posto accanto a lei, rifteue il profilo di questo Narciso femmina. Nel fondo una domestica estrae un abito da un cassone. I suoi contemporanei avevano notato e/re durante tu/la la sua vita Diana indossò l'abito vedovile, 11011certo per deferenza verso il defunto marito, la cui morte aveva peraltro precedwo la sua gloria di amante del re, ma forse per una sorta di tipico conformismo nei confronti delle buone usanze, e sopra11u11p0erché i colori del luuo le si addicevano. Quel nero e quel bianco aiwando comunque il freddo splendore della sua lunare bellezza. Non amò mai particolarmente il castello di C/renonceaux, gli preferiva la proprietà di famiglia di Anet che Enrico li l'aveva aiutata a trasformare in una residenzqprincipesca. Ma visitò sovente la bella abitazione della Turenna; vi ricevei/e una volta la regina e la Corte, il re vi si recava sovente. Enrico e la sua amante sessantenne avevano in comune la passione per la caccia e l'odio per l'eresia, il viso perfeuo di Madame de Valentinois non deve essersi alterato al racconto della morte, in piazza de Grève, di quell'altra bella vedova, Philippe de Luns, che, la lingua mozzata, fu bruciata nel 1557 assieme ad altre persone della stessa fede; è attraverso tali misure che si difende la vera fede e l'ordine dello Stato. Ma le necessità politiche la interessavano meno della buona gestione della sua fortuna. Questa incomparabile padrona di casa a Chenonceaux seppe unire il dilettevole all'utile; ingrandì le sue terre e riuscì a triplicare i geuiti delle proprietà; piantò dei gelsi dato che la seta era diventata di gran moda e dunque la nuova grande industria del XVII secolo. Si appassionò all'arte dei giardini, progettò terrazze e parterres, installò una pallacorda e un gioco di anelli in cui eccelleva; e fece costruire uno di quei labirinti i cui percorsi segreti e complicati ricordano in termini di bossi e di quinconce i complessi poemi a formula fissa del Rinascimento; progettò una fontana. I suoi giardinieri trapiantarono a C/renonceaux novemila cespi di fragole selvagge e di violetteprese nelle foreste ancora inesauste del/'epoca, e i cui grandi alberi avevano visto passare gli uomini del Medio Evo. L'elenco dei rosai e dei bulbi di giglio che fece piantare eguaglia per grazia floreale un sonetto di Ronsard o di Remy Belleau. Nel 1559 Enrico Il firmò il triste trattato di Cateau-Cambrésis che confermava in Europa la supremazia degli Asburgo. Filippo Il vi oueneva il Piemonte, il Milanese, il Monferrato, la Corsica, la Bresse e numerose piazzeforti del nord-est francese. Di recente vedovo di Maria Tudor, otteneva altresì una moglil la giovane Elisabetta di Francia che pochi anni dopo sarebbe morta in Spagna, vittima, si dice, della gelosia del suo cupo marito. Tra le fesre dareper celebrare quel brillame matrimonio, il re fece organizzare al faubourg SaintAntoine uno di quei tornei che già nel Rinascimento erano un modo di far rivivere un Medio Evo leggendario, duelli fittizi esalraridallo splendore dei costumi, delle bardature, delle armature, e ingenti/ili dalla presenza di colorati gruppi di donne. Eccelleme cavaliere, abile giostratore, Enrico annunciò come d'abitudine la sua intenzione di scendere in campo. Alla fine del secondo giorno, il 30 giugno l 5:i9, insistetteper spezzare un'ultima lancia con il capitano della sua guardia scozzese, un certo conte di Montgomery. Un bagliore di lancia spezzata passò a11raversola griglia d'oro del casco e penetrò ne/l'occhio del re. Fu ricondouosvenuto al Louvre. Disperata Caterina si ricordò allora che gli asrrologhi avevano predetto che il re sarebbe morto in duello, cosa che erasembrata ridicola, dato che le teste coronate non usavano esporsi di persona in combauimemi mortali, né misurarsi con i loro inferiori. Si ricordò anche che tre anni prima un medico provenzale, l'ebreo battezzato Miche/ de Notre Dame aveva descriuo in misteriose quartine profeti-
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