Alfabeta - anno IV - n. 40 - settembre 1982

.,._ Ohchebelcastello e i sono castelli-Ninfa, indolentemente adagiati sulle rive delle acque correnti; ci sono castelli-Narciso che si raddoppiano nell'acqua piaua degli stagni, prigionieri di quel riflesso che aipiedi di un muro di pietra pone fluide mura tremolanti. Chenonceaux appartiene a tult'e due queste categorie. Più piccolo della maggior parte dei castelli reali della Loira, dolcemente racchiuso nel paesaggio idilliaco di un angolo della Turenna, non evoca come Amboise o Blois, i suoi grandi vicini, il ricordo di momenti decisivi della storia di Francia. E non è nemmeno, come Chambord, un immenso padiglione di caccia nato dal dispendioso capriccio di un re. li suo fascino quasi discreto è quello di una dimora privata, e il caso ha voluto che fosse sopraltul/o una dimora di donne. Un caso più melanconico ha voluto infine che le sue abitami fossero quasi sempre vedove. Una vedova ha presieduto alla sua costruzione, un'altra lo ha impregnato della sua leggenda; questo gioiello di pietra ha suscitato o inasprito gelosie di vedove. Castello d'amore, dice certa letteratura turistica: piultosto castello del calcolo mondano e della macchinazione finanziaria, e delle loro sconfiue, alloggio di ansioso dolore o di isolata vecchiaia, esposto ai litigi che seguono il fallimento o la fine dei regni, gravato di tasse almeno quanto arricchito di ricordi, illuminato tuttavia per sempre dallo splendore di alcune feste svoltesi tra l'incerteua della vigilia e quella del domani. Da questo punto di vista almeno Chenonceaux è un caso tipico: è sempre stata la malasorte delle belle dimore di essere, nello stesso tempo e quasi per definizione, anche delle dimore di lusso, e in quanto tali soggelte alla instabile potenza del danaro, che non sempre ritroviamo ne/l'aspetto più nobile o più piltoresco che ebbero una volta. Profiuiamo del pretesto della loro giustapposizione in uno stesso luogo per esaminare quei quattro o cinque padroni, o meglio padrone di casa, di cui ognuna rappresenta il momento più bello di una società o di un gruppo, o la sua ultima tappa prima del declino, cerchiamo di meltere insieme ciò che intorno a loro sappiamo di vero. È stato detto tutto: non arricchiremo di alcun fatto nuovo la storia del loro castello né la loro. Abbiamo tuttavia il coraggio di ripetere fatti noti: spesso lo sono meno di quel che si creda. «Diana di Marguerite Yourcenar Poitiers», esclamava alcuni giorni fa un giovane romanziere francese di talento, e anche di una certa cultura, «sì, quell'amante di Francesco I che si immergeva nuda nello Cher, in pubblico, alla luce . delle fiaccole ... » Lasciamo da parte queste voluttà da tecnicolor, non cadiamo né nell'errore dell'ingenuo che incupito dai massacri e dalle torture giudiziarie si rallegra di vivere nel X X secolo, né cadiamo nell'errore dell'amatore di romanzi storici che senza rischio gode dei bei crimini e dei begli scandali di un tempo; non invidiamo soprattutto la stabilità del passato. Spegniamo anche la luce dei proiettori che depone sui muri e sui tetti delle vecchie dimore una poesia che, pur 1101p1riva di bellezza, è solo il riflesso dell'oggi posato sull'ieri, e dà alle cose una lucentezza che esse non ebbero. Durante questa passeggiata senza effetti di suoni e senza giochi di luci, riusciremo forse a conoscere meglio questi esseri collocati in altri frammellli di tempo e forse quel luogo stesso che, così spesso oggetto di passioni e posta di sapie111ili/righi, altro oggi non è per il turista che un nobile testimone dei passati splendori, una tappa, una meta di escursioni, un andito dove si va a sgranchirsi le gambe e a sognare. Dopo un susseguirsi inglorioso di spartizioni familiari, di a1111ate magre e di espedienti finanziari che si ripeterà in una cupa 111011010nia durante tutta la storia di questa bella proprietà, un gentiluomo in rovina nel 1512 vendé Chenonceaux, terra dei suoi avi, a un creditore, il ricco borghese Thomas Bohier che, servendosi di contratti abilmeme preparati o di pignoramenti legali, da molto tempo si preparava a impossessarsi di quel bel frutto maturo. A quell'epoca la proprietà consisteva di una considerevole distesa di campi e di boschi, di una torre di guardia, unico resto di un castello caduto i11 rovina, e di un mulino sulla riva dell'acqua. Thomas Bohier e sua moglie Catherine, che proveniva anche lei da una famiglia di ricchi banchieri di Tours, appartenevano a quel piccolo compatto gruppo di generali delle finanze che furono i ge11eraliappaltatori del XVI secolo e i cui membri si spartivano la torta della tesoreria del regno. Catherine era nipote, alla lontana, del gra11deSemb/ançay che fini impiccato per malversazioni a Montfaucon, e il cui nome è ancora conosciuto dagli amatori di poesia grazie a un epigramma di Maro/ che celebra la sua risolutezza al momento della forca. Questo poteme personaggio spalleggiò Thomas nei suoi tenta/ivi di impadronirsi di Chenonceaux. Da parte sua Thomas aveva l'appalto generale delle imposte della Normandia; aveva accompagnalo due re di Francia nelle loro spedizioni in Italia come responsabile dell'amminislrazione e tesoriere generale della guerra; sca/1ro banchiere era ben piazzato a Cone quale uomo di molte risorse in /empi difficili. Catherine condivideva il gus10 del marito per il lusso e l'arte moderna che, nel XVI secolo, era l'ane italia11a.Divenuti padroni del luogo i Bohier cominciarono IU/tavia col rinnovare la piccola torre di guardia in quello stile quasi medievale di finestre a viticci, camminamellli fittizi e caditoie decorative che in qualche modo costituisce il delicato pseudo-gotico del Rinascimento. Fu tra il 1515 e il 1522 che Catherine Bohier, durante le lunghe assenze del marito che i suoi doveri trattenevano presso il re, a Parigi o con l'esercito, diresse la costruzione del castello vero e proprio. Non si conosce il nome del capomastro, probabilmente della Turenna, ingaggiato per questa impresa, ma possiamo senz'altro immaginare la donna, che era stata giovane al tempo di Anna di Bretagna e portava forse ancora le rigide pettinature della vecchia Corte, percorrere sulla mula o sulla giumenta ingualdrappata le buone sei leghe che separavano Tours da Chenonceaux per sorvegliare i terrazzamenti e l'avanzare dei lavori. Nel 1521 Thomas parti per la quarta volta per raggiungere l'esercito del re in Italia. Se ebbe il tempo di andare a dare uno sguardo al suo castello ancora mascherato dalle impalcature, ciò che vide non differiva sostanzialme111eda ciò che noi stessi vediamo: 1111 edificio quadrato con torrette d'angolo e fossati ancora medievali, lambito dal fiume al quale si addossava la facciata meridionale. La nuova costruzione era stata ingeg11osame111aeppoggiata sui piloni del vecchio mulino che, scavati de111ro,furono attrezzati come cucine, ca111inem, acellerie, imbarcaderi, tutto ciò che era necessario infine a quella realtà allo stato bruto che è propria dei domestici e nei cui dettagli ributtanti il padrone 1101s1i immischia. I piani, con le crociere generosamente aperte al sole e all'aria; le stanze una di seguito all'altra su cui restavano da posare i pavimenti di legno o di ceramica; le scale dritte, invenzione italiana, che sostituivano le scale a chiocciola del Medio Evo, testimoniavano la piacevolezza che il Rinascime1110aveva illlrodotto negli usi. Provavano inoltre che 11011 per niente Thomas aveva visto le belle ville della pianura lombarda. li generale delle finanze si proponeva certamente di portare questa volta dall'Italia mobili e tappezzerie. Thomas non rivide mai Chenonceaux. Morì meno di tre anni dopo nel villaggio piemontese di Vegelli, alla retroguardia delle truppe francesi in rotta. li museo napoletano di Capodimo/1/e possiede una serie di tavpezzerie commissionate dagli Asburgo per celebrare la vittoria di Pavia che l'anno dopo venne a porre fine al susseguirsi di disas1rose spedizioni che avevano e111usiasma10ed esaltato tregenerazioni di francesi. Vi si 1rovaun'immagine realistica dei disastri della guerra in mezzo a cui Thomas Bohier chiuse gli occhi: contadini indiffere111ialle sorti della guerra ma in pena per il loro bestiame, soldatacci ·che fanno man bassa del bottino o depredano gli abitanti, servi e prostilule in fuga verso il nemico, nobili • signori disarcionali che trascinano nel fango i loro cappelli piuma1i, le brache s1ravaganti o le cinghie ricamale. Ca1heri11eorganizzò la propria vedovanza nel castello infine lerminato; sopravvisse al mari10poco più di due anni. «Bisogna avere 1rent'a111p1eir fantasticare sulla propria sorte, dice La Bruyér, e non è ancora compiula a cinquant'anni; si costruisce nella vecchiaia e si muore quando si è giun1i alle pitture e ai vetri». È più o meno la storia dei Bohier. Per la grande borghese, che per almeno due anni 1rasci11òla propria esis1e11zadi vedova tra i nuovi muri, quella proprie1à mal acquisi1afu certamente un sogno mancalo. È 11111avaiaques1a moglie di un finanziere che il castello, dove hanno vissuto o abi1atosei regine, deve /'aspe/lo che nwntiene ancora oggi. li ponte che lei aveva proge11ato1101f1u cos1rui10che da Ca1erinadei Medici, la decorazione interna fu in gran parte rinnovata da Enrico II, poi più o meno guas/ata e rifalla dai restaura/ori del XIX secolo, ma nell'insieme Che11011ceauxrimane quale l'ha fa110 Ca1heri11eBohier. Diana di Poi1iers aveva quaran10110anni quando, nel 1547, lo stesso anno del suo avve1110al 1ro110, il re Enrico Il le regalò Cheno11ceaux. /11 questo modo donava ciò che apparteneva 1101a1lui ma alla Corona, perché nel fra11empo Che11011ceauxera diventato proprielà dello Staio. lnfalli il figlio di Thomas e di Ca1herine, A111oi11Be ohier e sua moglie, Anna Poncher, furo110 costreui a rinunciare presto alla dimora in cui 1101a1biwrono, se pure lo fecero, che nello smarrimen10 e nel timore. Fin dal 1527 il padre di Anna, il tesoriere' Pn11chn11x.i era inerpicmn con Semh/ançay per le scale di

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