T re grandi avvenimenti hanno monopolizzato i titoli di testa dei • quotidiani italiani in questo mese di giugno. Ne vedremo, tra poco, la radiografia quantitativa. Nel complesso, domina lo scenario internazionale e-in esso-gli scenari di guerra: Falkland e Libano, innanzitutto. Nello scenario italiano - che pure appare assai teso e aggrovigliato - campeggia su tutto la vicenda Calvi. Tutto il resto appare come sbiadito e schiacciato. Se si vuole, è anche una situazione adatta per osservare il comportamento-della stampa in presenza di molti poli di tensione e di attenzione. Ma c'è qualcosa di più. La guerra, quella dell'Atlantico meridionale e quella del Medio Oriente, e il giallo che avvolge la fine del banchiere Calvi sono tre novità a sensazione, di quelle che sembrano fatte apposta per fare titoli di testa. Eppure, a guardare un po' meglio, si tratta di tre novità molto relative. Beninteso, nessun giornalista, nessun osservatore esterno poteva predire con esattezza nessuno di questi avvenimenti, nei loro termini fattuali. E, sidirà, i giornali si occupano di «fatti», quando accadono e dove accadono. Ma il punto è un altro: è l'atmosfera di inspiegabilità, quindi di misteriosa ineluttabilità che sembra circondare - nell'opinione pubblica e nelle reazioni dei media - i grandi avvenimenti di questo periodo. Si «gioca alla guerra•, si è detto, si prende parte ai combattimenti fra Harrier e Mirage comne se fosse un gioco di simulazione, quasi fosse perduta ogni altra speranza di contatto con la natura non-simulata, non-spettacolare degli eventi. Si finisce per appassionarsi al dilemma omicidio o suicidio del banchiere in rovina, quasi che si fosse di fronte allo scioglimento di una inchiesta di Ercole Poirot. Ma sono k cattive consolazioni di una ignoranza per la quale non bisogna avere indulgenza. Chi coltiva atmosfere di sbigottimento è male informato o male intenzionato: cattive virtù per chi fa dell'informazione una professione. Ogni spiegazione è un'ipotesi rischiosa, ma tre eventi di cui parliamo si collocano tutti in contesti ben conosciuti da tempo. Da questo punto di vista, la «novità» non c'è e la sorpresa è artefatta. Vediamo perché. biamo ricevuto, con nostro stupore, fu che l'Inghilterra aveva preso possesso delle isole Falkland e che la bandiera vi sventolava. Queste isole sono rimaste deserte, per qualche tempo, fino a che il governo di Buenos Aires, qualche anno fa, le rivendicò e vi mandò qualche colono. Il nostro governo ha Giornale dei Giornali posito. A giudicare dal linguaggio orribile di Buenos Aires, si potrebbe credere che questa grande Repubblica ha intenzione di dichiarare guerra all'Inghilterra!». Il primo passo reca la data del I 0 marzo I 833, il secondo la data del 30 marzo 1833. Entrambi provengono Tav. 1 La guerra delle Falkland in prima pagina presenza in I a pagina ··••coRRIERE -I-GIORNO 1111111111 REPUBBLICA -STAMPA 71. IO Il Tav. 2 L'invasione del Libano in prima pagina \ . ~---·· ..~ !. \ \ \ \ \ 12 giugno 13 141. guerra nell'Atlantico del Sud. Sono dovute anch'esse ad Andrea Rivas e sono già apparse nel numero di aprile (n. 4, anno III) della Rassegna Internazionale del Cespi. Le spiegazioni puramente economiche non sono sufficienti, com'è ovvio, ma spiegano 'qualcosa' della gue"a 15 16 17 I18 21L 22 ··••coRRIERE -■-GIORNO IIIIIIIUI REPUBBLICA -STAMPA Cominciamo dalle Falkland e dall'aspetto più superficiale. I titoli di scatola esplodono dopo l'annuncio dell'occupazione argentina, annuncio dato nella tarda notte del 2 aprile scorso. \ \ -\ I .. - \ presenza in la pagina \ \ .. •• \ \ .... Apriamo ora il Financial Times del 29 marzo; in prima pagina si legge questo titolo Falkland dispute al «criticai point» (La disputa delle Falkland a un «punto critico»). assenza 1-..;■,■=c-=-=<■=;=i'--~-~~-~--~--~-~--~--~-~----.---~-~----.--'-# Dal testo dell'articolo si apprende che il 28 marzo la crisi era virtualmente precipitata, al punto da indurre un 6 71. giornale come il Financial Times a fatto obiezione e il mese scorso la mettere un titolo in prima pagina: rin- «'Clio' è arrivata qui con l'ordine di forzi di marines inglesivenivano invia- impossessarsi della piazza. Una nave ti in fretta, lavoratori argentini issava- da guerra di Buenos Aires era lì in quel no la bandiera nazionale a San Pedro, momento con alcuni nuovi coloni. La un incontro fra l'ambasciatore britan- nave e i suoi passeggeri sono tornati a ~ nico e il ministro degli esteri argentino Rio de la Plata. La popolazione è non aveva potuto che constatare «th_e composta ora di un inglese, che abita diplomatic deadlock» fra i due paesi. qui da alcuni anni, e adesso sta di D'altra parte è facile obiettare che il guardia alla bandiera britannica, venti «fatto» (lo sbarco delle truppe argen- spagnoli e tre donne, di cui due nere». tine) non era ancora avvenuto. Ma i E ancora scrive il nostro autorevole «fatti» conducono lontano. C'è un te- testimone: «Abbiamo scoperto con stimone insospettabile della crisi an- nostra grande sorpresa che la bandiera glo-argentina per le Falkland o Malvi- inglese sventolava. Suppongo che l'ocne che dir si voglia. Ascoltiamolo. cupazione del luogo sia stato appena «Siamo arrivati di buon mattino a segnalato dalla stampa inglese, ma Port-Louis, il punto più a est delle iso- veniamo a sapere che tutta l'America ~ i bialtJndèt~~g Vziutfta r4t;6 è in ebollizione a questo proIO Il 12 13 141 giugoo dal diario di Charles Darwin a bordo della leggendaria Beagle; dobbiamo queste citazioni, tratte da Beagle Records (Cambridge University Press, 1980) alla attenzione di Andrea Rivas, direttore del Cespi (Centro Studi Problemi Internazionali). Leggendo molti articoli apparsi sulla crisi delle Falkland si potrebbe dire che 150 anni non sono bastati a rendere i nostri giornali edotti sulla natura della crisi. La «novità» è piuttosto stantia. Non vorremmo però che i nostri lettori pensassero che tutto si ridu• • ca a una battuta di spirito. Nella «finestra» portiamo due schede, rispettivamente dedicate alle condizioni dell'economia argentina e di quella della City londinese, nella prospettiva della 15 16 17 18 211 22 inspiegabile. È forse desiderabile che, accanto alle «novità», titoli ed energie dei nostri media vadano a cadere non solo sugli elementi di sorpresa e di inspiegabilità, ma anche su quelli - facilmente reperibili da tempo- che potrebbero produrre una opinione meno smarrita e passiva. Non crediamo che ciò impedirebbe l'esercizio della libertà di stampa e il prendere posizione di ogni giornale nel senso che ritiene più opportuno. Assumendo come campione cinque grandi quotidiani «indipendenti» (Corriere della Sera, Il Giornale, Il Giorno, La Repubblica, La Stampa), dal 5 giugno, giorno in cui compaiono le prime notizie dell'attacco israeliano in Libano, la guerra delle Falkland ha totalizzato 101 colonne di titoli di testa, mentre la crisi libanese ha raggiunto ben 207 colonne. La vicenda CalviCo"iere della Sera-Tassan Din si è poi inserita, a quota 133. Per avere qualche termine di confronto, si tenga presente che il Vertice atlantico di Versailles ha conseguito una cinquantina di colonne, la situazione monetaria internazionale (con la svalutazione del franco e della lira) ha racimolato 25 colonne, la crisi economico-politica italiana (scala mobile, contratti, deficit statale, etc) appena 26 colonne. Si potrebbe ancora dire che, in questo stesso periodo, si sono registrati eventi come la sentenza della Cassazione su Piazza Fontana, la strage mafiosa a Palermo, i risultati dell'inchiesta giudiziaria sulla P2 - tutti avvenimenti abbondantemente schiacciati dalle tre grandi novità del mese. Per non parlare dei mondiali di calcio (34 colonne di titoli di testa nel periodo, centinaia di ore di diretta radiotelevisiva). Per inciso, può essere curioso rileggere la titolazione a nove colonne di Stampa Sera di lunedl 14giugno: Stanley brucia, tregua violata in Ubano / Dalla Spagna arrivano gli urrà al gol; l'occhiello, egualmente a nove colonne, dice: e Due guerre turbano il mondo e offuscano una grande festa di sport». Può darsi che, nel leggere, si possa avere una prima reazione dettata da un sorriso di sarcasmo; ma c'è una certa «verità» in questo titolo che avvince, fa riflettere. La lasciamo alla meditazione. E veniamo alla seconda grande novità dello scenario internazionale, l'invasione israeliana in Libano. Apriamo Le Monde Diplomatique del mese di maggio, uscito diverse settimane prima dell'attacco israeliano. La prima pagina reca in testa un articolo dal titolo Proche-Orient:le nonvean dlamp de bataille (Medio Oriente: il nuovo campo di battaglia). Ormai i mensili si possono permettere il lusso di precedere i quotidiani, in questo mondo «imprevedibile»... Leggiamo nella presentazione dell'articolo: «Uno sguardo di insieme pennette di comprendere a qual punto sia giunta l'evoluzione dei dati concreti in Medio Oriente. Defezione della potenza militare egiziana, attuazione di una strategia americana nella regione, che associa il Cairo, Gerusalemme e Ryad in una stessa concezione della difesa contro l'espansione del comunismo; fragilità e rivalità dei regimi arabi; guerra dell'lrak contro l'Iran: tutto ciò ha considerevolmente ristretto le dimensioni del campo di battaglia potenziale. A tal punto che, nei suoi piani non dissimulati, il ministro israeliano della difesa può prevedere di concentrare gli attacchi sulla resistenza palestinese, dalla vallata del Giordano alla piana della Bekaa, fino a Beirut e forse anche Damasco. «L'esercito israeliano si sente in posizione di forza e, da alcune settimane, i cittadini dello stato ebraico (si vedano i nostri articoli da pagina I 2 a pagina 19) si attendono una nuova guerra». Un criterio di analisi che consente buone previsioni è verosimilmente un buon criterio anche per tracciare buone spiegazioni. La Polonia ha messo in crisi molti cattivi criteri di spiegazione della sinistra; in compenso, ha rimesso in moto gli ideologismi e i riflessi da guerra fredda nei media occidentali, nel loro insieme. Gli avvenimenti del Libano, come quelli dell'Atlantico del Sud, vanno a scuotere lo scenario ideologico che tendeva a consolidarsi.
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