Alfabeta - anno IV - n. 38/39 - lug.-ago. 1982

che generò Hurtaly, che fu un bel mangiatore di minestrone, e regnò ai tempi del Diluvio, che generò Nembroth, che generò Atlante, il quale impedì al cielo di cascare reggendo/o con le spalle ...». Nella genealogia c'è Golia: «Golia generò Erice, il quale fu inventore del gioco dei bussolotti... » «Arantas generò Gabbara, cheper primo inventò il bere agara... » Anche Rabelais fu un audace gigante, che umiliò la vecchia scienza e la vecchia fede. Se si rosicchia l'osso del carnevale che egli ha creato, si scoprirà che è il carnevale degli illuministi, degli umanisti. Qualcosa di simile tentò di crearlo Caterina li. Il metropolita Evgenij scrive del libro di Fonvizin Epistola ai miei servi Sumilov, Van'ka e Petru~ka: «Essa è stata scriua ed è apparsa alla luce per la prima volta nel 1763 a Mosca, durante la mascherata pubblica offerta al popolo dalla corte nella sellimana successiva alla Pasqua, quando per tre giorni fu accordata a tulle le tipografie moscovite la libertà di stampa». Questa epistola contiene un dialogo fra il signore e i suoi servi sull'insensatezza dell'esistenza umana. Tichonravov, in contrasto col metropolita Evgenij, afferma che l' EpisÌola ai servi fu pubblicata nel mensile Pustomel del I 770, nel mese di luglio, in una nota alla pagina 17. D'altra parte, dopo la pubblicazione di quest'opera, la rivista Pustomel fu chiusa. Nella mia biblioteca avevo una edizione separata di quest'epistola, e non so dove si trovi ora, ma l'indicazione del metropolita Evgenij è giusta. Molti in seguito si pentirono di avere approfiuato di questa libertà. Rabelais fu più fortunato e riuscì a confondere i suoi persecutori. La profusione di particolari di vita quotidiana, la loro realtà plebea, servirono da colori mimetici per tu/lo il libro; sembrava che esso parlasse di inezie. Il carnevale c'è veramente in Rabelais, ma ha un obiellivo preciso. Dietro il libro di Rabelais c'è la Bibbia, come nitido secondo piano e bersaglio degli a/lacchi; su un pia110più vicino, ci sono i romanzi cavallereschi. Ma in questo romanzo i personaggi 110nso110semplicemente cavalieri, be11sì cavalieri-giganti, che sconfiggono tuui. Anche questi giganti possono essere collegati co11la narrazio11e biblica. Nel capitolo 6 della Genesi,a/ verse/lo 4, è scritro: «C'erano sulla terra i giganti a quei tempi -e anche dopo -quando i figli di Dio si univano alle figlie degli uumi11ie queste partorivano loro dei figli: so110questi gli eroi dell'a11tichità,uomini famosi». A11cheRabelais fu un audac.egigante. Fragli antenati di Pantagruele, e quindi a11che di suo padre, ve11gonoricordati i giga111if,ra i quali Atlante, Golia, e i titani Briareo e Anteo. Abbiamo davanti a 11oiuna catena di allusioni eparodie, la parodia della Bibbia, che viene messa sullo stesso piano della r.1itologiagreca e di deliberate assurdità. Ecco perché mi sono soffermato sulla nascita dell'eroe e sui suoi antenati. Rabelais, modificando la leueratura popolare delle fiere, fa de~'eroe parodistico un nuovo messia, e anche un discendente degli eroi della Bibbia e dei giganti dell'antichità. Nasce u11nuovo spellacolo, che distrugge non il potere del diavolo né il peccato origina/e, ma la fede nel diavolo e nei miracoli, la menzogna di una mitologia obsoleta. Nasce un gigante simile a Dio. Ciò che M. Bachtin dice sul libro di Rabelais è interessante e rilevante. Egli ha separato il libro dal resto della leueratura, 11eha mostrato il rapporto col carnevale, con le parodie popolari, ma mi sembra che non abbia mostrato con precisione contro chi è diretta la parodia. Il carnevale era il luogo in cui tu/li ricevevano il dirillo dei buffoni e degli sciocchi: quello di dire la verità. Ciò che viene dello nel carnevale è come se non significasse nulla, come se fosse inoffensivo. Ma il carnevale di Rabelais ha un bersaglio ed è parodistico in maniera offensiva: esso non parodia singoli casi avvenuti a quell'epoca in Francia, ma la Chiesa, il tribunale, le guerre e il fi1tiziodiriuo di alcuni a opprimere gli altri. li metodo delle descrizio11idi Rabelais, il modo di vivere dei suoi personaggi, il loro modo di dialogare, vengono da M. Bachtin collegati col carnevale e chiamati carnevalizzazione, ma il carnevale di per sé, come osserva anche Bachtin, non era a/fallo innocuo; esso è il ritorno all'età dell'oro, a una vita senza costrizione, è impertinente. Il carnevale di Rabelais 110nripete il carnevale popolare, ma gli dà un diverso orie11tamento,ri11novando l'asprezza dei primi a/lacchi rivolti dalla cultura popo/are"alla cultura domina111e.La questione viene ora'nuovamente proposta nel libro di M. Bachtin, libro ispirato per l'estremismo della sua co11cezione. Carnevale e lavoro stagionale Si è già dello che Gargantua 11acquedopo la grande fienagio11e.li lavoro agricolo, i11 particolare la raccolta delle messi, so110collegati col cibo: la gente si rallegradel/'abbo11da11zae bisog11amangiare una parte del raccolto. Il carnevale 110nè solo u11afesta in ge11erale,ma quella festa 11ellaquale, in origine, si disti11gueV1JIIcOoloro che lavoravano. Gargantua non lavorava, ma la mensa e i brindisi che veniva110pro11u11ciatai tavola erano brindisi contadi11i. Il libro di Rabelais è seri/lo da u11uma11istadi cultura elevata, ma utilizza 11el modo più vario gli usi carnevaleschi. Durante il lavoro, sopra11u11i0l lavoro della semina, vengono aboliti i co11suetidivieti sessuali e si i11troduconoaltre leggi. Ecco come B. Malinowski descrive il periodo dei lavori agricoli i11La vita sessuale dei selvaggi nella Melanesia nord-occidentale: «A sud dell'isola di Kiriwi11ae sull'isola di Vakuta, le don11ee/re si occupavano della sarchiatura colle11ivaavevano B1b11oiecag1noo1anco (seco11do il racco11to degli indige11i) un dirillo molto curioso: il dirillo consisteva nel/' a/laccare qualsiasi uomo vedessero, purché non apparte11esseal loro villaggio. Questo dirillo veniva esercitato dalle do11ne,come racco11tavanogli informatori locali di Malinowski, con zelo ed energia». Le donne delle isole Trobriand, come gli se/riavi romani durante i saturnali, erano come liberate dai 11ormalidivieti. Questa modificazione dei costumi si riscontrava ancora cent'anni fa presso quasi tutti i popoli, e si verificava anche entro confini del nostro paese. Durante la semina, a11che i costumi cambiavano, la vita sessuale veniva come acce11tuata,messa in evidenza; si rite11evache la fertilità della terra fosse collegata co11la vita sessuale dell'uomo. Anche sacerdoti cristiani si trovavano a partecipare a queste feste. «ili varie parti d'Europa sono state in vigore a primavera e al tempo della mietitura delle usanze chiaramente basate sulla stessa rude nozione che i rapporti dei sessi umani posso110servire a stimolare lo sviluppo delle piante. Per esempio in Ucraina il giorno di S. Giorgio (23 aprile) il prete coi suoi paramenti, seguito dagli accoliti, va ai campi del villaggio, dove il raccolto comincia a mostrare le prime foglioline verdi e lo benedice. Dopo di che i giovani sposi si me110110a giacere in coppie sul seminato, e si rotolano parecchie volte sopra di esso, crede11doche questo promuoverà la crescita delle messi. In certe parti della Russia, è lo stesso prete che vien fatto ruzzolare dalle do11nesopra le messi che appe11aspuntano, se11za riguardo del fa11go e per le buche che possa i11contrarenella sua benefica corsa. Se il pastore resiste o protesta il gregge mormora: 'Piccolo padre, tu no11 ci vuoi bene sul serio: non vuoi farci avere gra110,sebbe11evoglia vivere sul nostro grano'. ili certe parti della Germania, alla mietitura, gli uomini e le do11nee/re hanno mietuto, ruzzolano insieme sul campo. A11che 'questo è probabilmellle la mitigazione di una più antica e più rude usanza intesa a impartire ai campi la fertilità con metodi sùnili a quelli usati dai Pipi/li del/' America centrale, e a11clreoggi dai coltivatori di riso di Giava». L'alto sessuale, collegato co11una stagione determi11ata,compiuto come a u11seg11a/e,si co11servò anche nelle usanze roma11e del carnevale. P. V. An11enkov, 11e/suo articolo N. V. Gogol' a Roma nell'estate del 1841, descrive un pranzo di Gogol' e di A. A. lvanov: i due amici mangiano spagheui. «Dopo aver ripulito il suo piallo, Gogol' si geuò all'indietro, si fece allegro, loquace e comi11ciò a scherzare col cameriere, che fino a poco prima aveva ricoperto di severi rimproveri e di biasimo. Allude11do all'antica usanza diannu11ciareil primo di maggio e l'inizio della primavera col ca111101d1ie Castel S. Angelo, e alle usa11zefamiliari e/re vi era110collegate, egli doma11davase l'egregio servitore i111e11desse piantar il Maggio o 110. Il servitore rispose e/re avrebbe a/leso l'esempio del signor Nicolò, ecc.». Nella trauoria si parla e si scherza su u11'usa11zamolto antica. L'antico rito, che collega la vita sesrnale dell'uomo co11l'inizio della primavera, è so1101i11eatdoa un colpo di ca1111011ceh,e si può udire i11 tutto il mo11do. Il ca111101s1pearava dal/'a11ticomausoleo sul Tevere; a questo segnale aveva luogo u11'azione di massa. L'immagi11e del can11011e è forse, i11 questo caso, un ri1111ovel/amentodel simbolo fallico. ili ge11erale,sulle usa11zedel carnevale è stato scriuo così ta1110e in tante maniere che, certo, Baclrti11no11poteva citare 11eppure u11decimo dei libri che 11arra110 i medesimi motivi delle diverse forme assume dagli antichi riti, gli scherzi che diventano arte. Mi dispiace, però, che nel libro di Baclrtin si parli dimostrativamente così poco delle feste che ha11no creato la commedia greca, e di Aristofane. Carnevale e carnevalizzazione Il drammaturgo, traduuore di Aristofane e teorico del cillema sovietico, Adrian Piotrovskij 11el/aprefazio11ealle commedie di Aristofa11escriveva sulla loro origi11e:«La festa della primavera dei comadini, dei viticu/tori e degli aratori greci, le feste agrarie 1urbo/e11te ed ebbre (il 'komos' fallico): ecco di dove ha avuto origi11ela 'commedia', seco11dola testimo11ia11zadel padre dell'antica scie11za, Aristotele'. 'La commedia, egli dice, 11acquedai ca11tifallici, tuttora intonati in molte città'». Nella stessa pagi11alo studioso prematurame111escomparso scriveva: <<.. l'idea del superamento della mo11oto11aquotidia11ità,una sorta di fa11tasticorovesciame11todei rapporti sociali e 11aturali,u11 rovesciamento grazie al quale i poveri pre11do110il posto dei ricchi, gli 'uccelli' e gli 'animali' quello degli 'uomini', i giova11iquello dei vecchi e le do,111equello degli uomini, co11cezio11di i questo tipo erano alla base sia delle festività in ge11erales, ia della recita teatrale i11 maschera che le co11c/udeva;esse determina110 ugualmente il gioco primaverile, àmatissimo 11el/I'nghilterra feudale, del 're di maggio', i giochi amico-s/avi, i misteri egizia11idi Mut e, i11fine,anche questi 'giochi di Dioniso' greci». «Non a caso il 'komos' è la festa della libertà, la festa della vittoria sulla quotidia11ità,sulla legalità di tu/li i giorni. Tutto va qui a gambe per aria, gli ultimi dive111a110 i primi, le donne padrone e gli uomini servi (Le donne a parlamento - Ekklesiazousai),gli uccelli dei e le divinità nulla (Gli uccelli), i vecchi ragazzi e i bambi11imaestri (Le· vespe e Le nuvole). Appu1110questo rivolgimento, questo spostamento dei co11suetirapporti sono ciò e/re più di tutto conferisce • a/l'ingenuo carnevale una grande forza di gioiosità, il pathos della vittoria sulla quotidianità, leggerezza e brio. Questo spos1ame1110si ma11ifestacon la massima evidenza fin dal camuffamento fantastico e fiabesco del coro, che trasforma gli uomini in 'uccelli', 'vespe' e 'nuvole', ma permea anche tutti i canti e le azioni del coro. La partt! della commedia in cui esso è più dt!ciso t!denergico fu·detta già dalla critica antica 'parabasi'. La parabasi è parte ineliminabile di ogni commedia di Aristofane. Essa appanient! interametnte allt! figure camuffate, al coro. Qui il coro si esibisce in canti e 'discorsi' che celebrano una natura favolosa: qui si fanno variazioni in una gamma amplissima sul motivo fondamentale dello 'spostamento', dello 'scambio di'posti '». Il carnevale subisce dei mutamenti; accoglie in sé anche la storia. Tutto questo è formulato in modo diverso nel Dostoevskij di M. Bachtin. Il romanziere viene quasi spiegato col carnevale. Nel capitolo vi sono alcune precisazioni, delle quali vale la pena di par/art!, dal momento che spiegano in modo più approfondito il termine. <Il carnevale in sé (intendendo, ripetiamo, l'insieme di tutte le variefeste di tipo carnevalesco), non è naturalmente un fenomeno lei/erario. t una forma di spettacolo sincretistica di carattere rituale. t una forma molto complessa, polimorfa, che ha, pur nella comune base carnevalesca, diverse variazioni e sfumature a seconda delle diverse epoche, dei diversi popoli e delle singole feste. Il carnevale ha elaborato tutto un linguaggio di forme simboliche concretamente sensibili -dalle grandi e complesse azioni di massa ai singoli gesti carnevaleschi. Questo linguaggio esprimeva in modo differenziato, si può dire articolato (come qualsiasi li11guaggio) un unico (ma complesso) senso carnevalesco del mondo, che penetrava tutte le sue forme. Questo linguaggio non può essere mai tradotto completamente e adeguatamente nella lingua comune, tanto meno nel linguaggio dei concetti astratti, ma permette una certa sua trasposizione nel linguaggio, ad esso affine per il carauere concretamente sensibile, delle immagini artistiche, cioè nel linguaggio della letteratura. Questa trasposizione del carnevale nel linguaggio della letteratura, è ciò che noi e/riamiamo appunto carnevalizzazione di essa. Dal punto di vista di questa trasposizione distingueremo e considereremo singoli momenti e particolarità del carnevale. Il carnevale è uno spettacolo senza ribalta e senza divisione in esecutori e speuatori. Nel carnevale tu/li sono attori partecipanti, tu/li prendono parte ali'azione carnevalesca. li carnevale non si contempla e non si recita: si vive in esso, si vive seco11dole sue leggi, finché queste leggi sono in vigore, cioè si vive la vita carnevalesca». Quest'ampia cara11erizzazione è interessante, ma diventa un po' discutibile quando viene senza riserve trasferita a un libro. Lo spettatore teatrale ancora oggi è inserito nella rappresentazione in modo diverso e più profondo di quanto non lo sia il lettore nel processo della lettura. U11'altraprecisazione riguarda il fatto che l'inserimento di elementi del carnevale in uno speuacolo e in un'opera d'arte si basa purtuttavia sulla «somiglianza del dissimile», sulla percezione di un rovesciamento. L'imperatore o re del carnevale presuppone l'esistenza di un re non carnevalesco, esiste nella sua negazione così come il re dellecartenon negava l'esistenzadei re europei. L'esistenza di statue caricaturali nelle chiese medievali non negava la religione, ma esisteva accanto alla religione; si tra/lava della coesistenza di due aueggiamenti verso la vita, che si esprimevano in due linee artistiche. Come conseguenza si determinavano quelle sensazioni contrastanti che sono proprie de~'arte. L'utopia e la satira sono storiche. Alcune singole strutture, che hanno già dato espressione ai confliui della società, ora vengono dimenticate, ora riaffiorano. t un fenomeno simile al ricordo di qualcosa che si era ricordato inconsciamente. Così fu al tempo di Aristofane, quando nella cultura cittadina penetrò la festa rurale. Aristofane, che a modo suo fu consapevole del suo tempo, fu ospite del simposio di Platone, ma questo non fece del Simposio un carnevale. L'epoca di Rabelais fu un'epoca in cui si fece ricorso ai ricordi per la canonizzazione di/forme nuove: il vecchio risorgeva per parodiare ilpresente, e questa duplicità rendeva reale ilpresentt! vis/o in modo ironico. Anche Baclrtin ritiene che la lelleratura antica sia entrata nella coscienza del Rinascimento nella sua forma classica, e aggiunge in una nota: «Commediografi come Aristofane, Plauto e Terenzio non /ranno avuto grande influenza. t diventato luogo comune il voler paragonare Rabelais ad Aristofane. Una certa comunanza si rileva nei procedimenti comici. Ma ciò non può trovare spiegazione soltanto a livello di influenza. t chiaro che Rabelais conosceva Aristofane: fra gli undici volumi della biblioteca di Rabelais, arrivati fino a noi e recanti degli ex libris, c'era anche una traduzione latina di Aristofane, ma nel romanza molto poche sono/e tracce di una sua influenza. La leggera somiglianza dei procedimenti comici (che non è il caso di sopravvalutare) si spit!ga con l'affinità delle fonti folcloriche e carnavalesche. Rabelais conosceva alla pt!rfezione l'unico dramma satirico di Euripide che si è conservato (Il Ciclope);lo cita due volte nel romanzo ed è certamente questo libro che esercita una notevole influenza su di lui». La nota è lunga, ma non articolata. Non si dice quale fosse la «somiglianza dei proudimenti comici». Rabelais, ovviarne/I/e, conosceva bene il folclore francese della sua epoca, ma lo integrava con parodie della scolastica, e tramite Aristofane, inteso in modo nuovo, attaccava l'estetica dellalettuatura alta. A ristofan e non è la fome di Rabelais, ma forse, la sua guida. Forse sarebbe meglio mostrare come a grande distanza, in situazioni diverse e in modo variamente diverso vengano utilizzate le strutture estetiche. Bisogna mostrare anche la somiglianza del dissimile. Anche in Russia c'erano delle feste di carnevale. Nella cosiddetta «azio-

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