Alfabeta - anno IV - n. 36 - maggio 1982

B ErasmeoMazzarino Erasmo da Rotterdam Adagia (a cura di S. Seidel Menchi) Torino, Einaudi, 1980 pp. 386, lire 18.000 Breviario dei politici secondo il cardinale Mazzarino (a cura di G. Macchia) Milano, Rizzoli, 1981 pp. 149, lire 9.000 R. Schnur Individualismo e assolutismo (a cura di E. Castrucci) Milano, Giuffré, 1979 pp. 121, lire 4.000 L. Marin Le portrait du roi Paris, ed. de Minuit, I981 pp. 300,Fr. 60 J.M. Apostolidès Le roi-machine Paris, ed. de Minuit, 198 I pp. 164, Fr. 48 S e mai come oggi l'incontrollata proliferazione di macromodelli, di misure generali, di ricostruzioni a grandi linee, invita ad un maggior scrupolo analitico, al lavoro, e anche al «gusto•, della differenza, ciò non vuol dire che in qualche caso non sia lecito percorrere itinerari apparentemente contrari. Quando cioè sia proprio la differenza, o meglio l'antitesi, il contrasto netto, ad incorporare e a trascinare il peso di tradizioni consolidate, anche a livello di senso comune: e dunque a bloccare la strada della complessità e della fluidificazione delle categorie conoscitive. È un'osservazione suggerita dalla quasi contemporanea pubblicazione di due «classici» di filosofia politica - almeno secondo la vigente (e arcaica) compartimentazione disciplinare- di grande interesse e rilievo. Si tratta dell'edizione einaudiana degli Adagia di Erasmo e del Breviario dei politici del cardinale Mazzarino proposto da Rizzoli. Due testi assolutamente esemplari, archetipici, nella loro esplicita, conclamata, alterità. Come del resto risulta, anche storicamente, dalle date - 1508 Erasmo, I684 Mazzarino - che sembrano serrare dentro una sintomatica forbice cronologica il passaggio e il rovesciamento di un intero <:.iclofilosofico e politico: dall'Umanesimo alla tecnica; o, più precisamente, e secondo le linee di una secolare tradizione storiografica: tecnica contro Umanesimo, tecnica come negazione dell'Umanesimo. E infatti, ad una prima lettura, i due libri, i due autori, i due linguaggi si presentapo assolutamente divaricati, simmetricamente alternativi. Il primo, quello di Erasmo, costituito dal commento di sei famosi proverbi, è il testo dell'Umanesimo, dell'Educazione, della Saggezza. Il secondo, quello di Mazzarino, o comunque, ispirato a suoi «detti e fatti• relativi al conseguimento e alla conservazione del potere politico, è il testo della maniera, della simulazione, della tecnica. Il primo è il testo della verità, della sostanza, della profondità. Il secondo della finzione, della apparenza, della superficie. Quanto l'uno scatta in piena luce, combattivo, contrastivo rispetto al contesto storico che stigmatizza per la corruzione dei costumi, la prepotenza dei principi, l'indegnità del clero; tanto l'altro si avvolge nell'ombra della mimesi rispetto alla qualità non certo eroica dei tempi, che sembra non solo tollerare ma addirittura esaltare. E ~ a.rw~.ra,:_ 9~~~t~ f)~~,mp è ,d~a'!lm~~ia/fabeta 11. 3fi maggio /')82 pagina 8 la camente teso alla ricomposizione, alla reintegrazione, dei valori; tanto Mazzarino appare a suo perfetto agio nella loro totale eclissi: solamente impegnato a simularli, e perciò stesso definitivamente a profanarli. Tutto torna. L'antitesi è perfetta, fin nei timbri stilistici: tragico, «alto•, quello di Erasmo; «comico», «basso», quello di Mazzarino. Eppure è proprio l'assoluta semplicità di quest'antitesi, l'estrema facilità con cui rientra nei nostri più consueti parametri culturali - appunto tecnica versus umanesimo, sapere produttivo versus sapere educativo - a suscitare un primo sospetto che essa stessa non sia che il frutto di una nostra riposante semplificazione. Che i due testi non si Roberto Esposito cui presiede» (p. 13). Precisamente: il dominio della mente-principe è giustificato solo dall'utilità che ne ritrae il popolo-corpo. Ancora una volta: il valore è garantito dalla cosa, l'attributo dal sostantivo, la deontologia dall'ontologia. E se il valore rappresenta il mondo (tiranno è appunto chi spezza il circuito della rappresentanza-rappresentazione, chi ne corrompe l'originaria trasparenza), lo rappresenta anzitutto come luogo d'insieme, necessaria concordia, «armoniosa convivenza» (p. 237). Da qui la polemica con la guerra intesa come artificio, «complicato congegno» (p. 247) che distrugge l'equilibrio naturale, la stabilità dei rapporti analogici, l'unità etica del mondo. si della prospettiva umanista e il suo precoce scivolamento nella scena manierista, è quello, bellissimo, dei Si/eni d'Alcibiade. Qui ogni linearità della rappresentazione, ogni adeguatio tra rappresentante e rappresentato è infranta. La sua legge non è più quella della specularità, ma quella dell'obliquità, della deformazione, del tradimento: «La verità autentica si tiene sempre profondamente nascosta e non si lascia cogliere facilmente nè generalmente. La gente grossa giudica a rovescio ...• (p. 77). Da questo lato siamo assai vicini al testo barocco di Mazzarino. Alla semplicità della rappresentazione subentra la complicazione dell'ermeneutica. Non solo la superficie MarioSantagostini 3 Sogno le mie i11numerevoli, lontane educazioni e Dio abolisce me e il falso, Ma vedi, le cose visibili han110 una pazienza al cui confronto noi 1101e1sistiamo. Ce lo provano le nostre devozioni fantastiche, irraggiungibili e non solo mai più ripetuto essere dei giardini legiuimi, solari che non hanno in sé la forza di tornare visibili: la necessaria volontà che tranquillamente specchia un più alto ordine sognante, rosa: Dio stesso. gli alberi, la siepe incompleta, le vasche autu1111aliL.a farfalla non significa, da ora, più niente. 2 4 Nella chiara, completa assenza dei miei simboli privilegiati e nel mondo ... la chiusa separava, ordinatissima, il fiume dall'apertura al mare Benché priva di essere, sarebbe stata accolta dagli occhi, e dunque né c'è solo la vivace, diseguale aura di ruuigli orologi: nuovi esercizi che con la spontanea lomananza di Zenone m'avreste dato un'anima! vera né falsa. Perché lo spirito, educato a stare quasi contrappongano linearmente come teologia e politica, pieno e vuoto, sostanza e apparenza, ma che tra essi passi invece un rapporto assai più articolato e significativo. Partiamo dai «proverbi» erasmiani. Essi effettivamente si presentano con i caratteri di un discorso affermativo, costitutivo, sostanziale. Letteralmente: la ricerca è di sostanza, non di superficie. Il valore in tanto vale, in quanto esiste, è positivamente enunciabile, concretamente rappresentabile. E la sua rappresentabilità è a sua volta garantita dal rapporto reale, non immaginario nè simulato, con la cosa che esso stesso rappresenta. Per valere deve esistere, e per esistere deve rappresentare. La stessa funzione dello spirito, dell'anima, della mente è quella di rap• presentare, di dare espressione, alle esigenze del corpo. È esattamente lo stesso rapporto che passa, che deve passare, tra principe e popolo: «Come la mente sta all'uomo, cosi il principe sta alla comunità civile. La mente intende e giudica. Il corpo obbedisce. La mente domina il corpo- chi lo nega? - ma per il bene del corpo: non esercita il regno nel proprio interesse, da tiranno. ma nell'interesse dell'organismo Cu fuori del tempo, è freddo, abilissimo nel ricordarsi solo le sue idee da genio! Eppure - ecco il momento decisivo della svolta nel ragionamento di Erasmo - è proprio questa la situazione che gli si presenta dinnanzi agli occhi: guerra, conflitto, scissione. Le giunture si spezzano, le corrispondenze traballano, le rappresentanze s'inceppano. Il mondo si manifesta autonomo dal valore, altro dal valore, negazione del valore. Ma se il mondo nega il valore, al valore, per resistere, per sussistere, non rimane che rinnegare il mondo. Qui il rovesciamento del reale (le «monde renversé», anch'esso «representè par plusieuts Proverbes et Moralitès», ironicamente espresso da Brue• gel ne i Proverbi fiamminghi, costituisce il più geniale contrappunto iconologico del discorso di Erasmo) produce un altrettanto netto rovesciamento di prospettiva. La mancata integrazione tra valori e mondo, il rifiuto del mondo alla propria valorizzazione, provoca la condanna del mondo. È il punto in cui la linea dell'Umanesimo s'innesta su quella del nichilismo. La sostanzializzazione del valore si costruisce come necessità dell'annullamento del mondo, derealizzazione mondana. L' «adagio» che più d'ogni altro segna questa inversione, e dunque la critradisce il profondo, ma il profondo, l'idea che esso racchiude, trascende ogni possibilità di essere espresso sensibilmente in superficie. I sensi sono anzi del tutto inadeguati alla conoscenza di ciò che può essere al massimo simbolicamente .intuito, mai pienamente conosciuto: se non, appunto, aldilà di essi, della loro costitutiva fallacia.. e Voglio solo dimostrare che la moltitudine valuta molto di più i fenomeni percepibili con la vista di quelli impercepibili: eppure, quanto più scema l'evidenza, tanto più aumenta la sostanza» (p. 93). La «sostanza» è inversamente proporzionale all'«evidenza». L'unico possibile rapporto con ilvalore implica la purificazione dai sensi, la fuga dal mondo, l'assoluta spiritualizzazione. L'immanentismo umanistico si capovolge·adesso in compiuta trascendenza. Il sostanzialismo in nichilismo: «È come se in questo nostro mondo coesistessero due mondi in radicale conflit• to fra loro: l'uno è materiale e corposo, l'altro appartiene al cielo e tende a realizzare fin d'ora, nella misura del possibile, il suo stato futuro. Nel mondo materiale tiene il primo posto colui che è più lontano dai beni veri e più aggravato di beni falsi... Viceversa nel mondo celeste tiene il primo posto chi meno è contaminato da quei volgari beni corporei ed è corrispondentemente ricolmo delle autentiche ricchezze dello spirito• (p. 103). Un'inversione di ciclo o un destino intrinseco nelle stesse radici categoriali dell'Umanesimo? Fatto sta che l'impennata agostiniana (su questo cfr. C. Bènè, Erasme et Saint Augustin, Genève, Droz, 1969), di quello che è comunemente letto come il più «solare• degli umanisti offre, contro le sue stesse premesse, un decisivo ponte concettuale al «ritorno in grande» di teologia politica con cui si annuncia in Occidente la nuova ondata di cultura assolutistica. E veniamo a Mazzarino. Egli parte precisamente dal punto in cui Erasmo arriva: l'assoluta separazione di valore e mondo, lo scollamento irreversibile di essenza e apparenza, l'inconciliabilità del conflitto in «pace reale• e dunque la sua riconduzione nei limiti artificiali della «pace apparente»: come emerge anche dalla ricostruzione a maglie larghe del manierismo politico condotta da R. Schnur in lndividualismus und Absolutismus, ora tradotto in italiano con una suggestiva introduzione di E. Castrucci. Ma - ecco la fondamentale differenza - il suo punto di vista non è più, come per Erasmo, quello del valore-sostanza, ma quello, opposto, del mondo-apparenza. Resta lo sdoppiamento, e quindi il nichilismo, ma assunto in positivo, in maniera apparentemente vincente, gloriosa, quasi trionfale. Dominio è felicità e felicità dominio. Qui appaiono finalmente evidenti i tramiti categoriali che - secondo le note intuizioni di Heidegger e LOwith - stringono umanesimo e tecnica: dal dominio-oggettivazione della natura al dominio-oggettivazione degli altri soggetti. La libertà del soggetto è tanto più piena, integrale, senza residui, quanto più si scioglie da ogni legittimità sostanziale, da ogni vincolo di rappresentanza. Sul tema politico della rappresentanza e sul suo rapporto con quello, simbolico, della rappresentazione, si assiste ora ad uno slittamento logicosemantico di grande portata. Anche Mazzarino assume la formula erasmiana del potere-rappresentante, ma la capovolge e la svuota. Non più il potere come rappresentazione ma la rappresentazione come potere. Ciò che importa non è più il rapporto all'oggetto della rappresentazione (il popolo-corpo), ma l'atto medesimo, la pura potenza rappresentativa. È come un reimpossessamento, un risucchio all'involucro, al vertice, che il potere attua nei confronti di ciò che prima si limitava a rappresentare, e che ora assume, addirittura incarna. Cosi come emerge - secondo la decifrazione simbolica che Louis Marin compie sul repertorio iconologico del «ritratto del re• - dall'incrocio di tre espressioni teologico-politiche per cosi dire ufficiali della liturgia regale del!' Assolutismo francese: «ccci est mon corp», dove la formula eucaristica traduce nell'assenza di ogni analogia tra pane e corpo di Cristo l'integra• le disimpegno del rappresentante nei confronti del rappresentato; «l'Etat c'est moi», che concentra e focalizza nel pro-nome del sovrano l'intera entità del corpo politico, superando cosi la distinzione già sottolineata da Kantorowicz (The King's Two Bodies, Princeton U.P., 1957) tra corpo pubblico e corpo privato; e «le portrait de Cèsar, c'est Cèsar», proposizione presente nella Logique di Pon-Royal, che indica nel ritratto del re non più ciò che si

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