Alfabeta - anno IV - n. 36 - maggio 1982

-' . l , durata. Quanto ai colpevoli (o imputati) di reati gravi (o ritenuti tali), l'abbandono di questo scambio avviene seguendo altre vie, ma non è per questo meno evidente. Esemplificando sul caso italiano si può dire che le carceri di massima sicurezza, le lunghissime detenzioni preventive, le proposte di legge sui «pentiti» ecc. rappresentano, ognuna nel suo ambito, la più ampia sottrazione di condotte criminali allo scambio delitto-pena che si sia mai in concreto verificata. Cominciamo dal carcere speciale. lndubbiamente esso, se si allontana dal modeilo normale di carcere, sotto il profilo della gestione, dei diritti riconosciuti ai detenuti ecc, sembra non distinguersi da questo per ciò che concerne lo scambio tradizionale delittodetenzione. Dopo tutto, anche nel care.ere speciale i condannati restano per un tempo determinato, «proporzionato» al delitto commesso e determinato in misura «esatta» dalla condanna del tribunale. Ma è il modo di «passare» di questo tempo all'interno di questo carcere che fa sorgere dubbi sulla possibilità di ricomprenderlo all'interno dello scambio tradizionale. Si ha l'impressione che queste carceri più che a «retribuire» con la perdita della libertà i colpevoli di determinati reati, abbiano il fine di realizzare una sorta di «deportazione interna» dei colpevoli (o degli imputati) di reati considerati gravi o di coloro che turbano la «vita ordinata» degli stabilimenti carcerari penali. A costoro, una volta tolti di mezzo ed avviati ad istituti dai quali è impossibile evadere, di fatto viene riconosciuta una sorta di autogestione del collettivo carcerario nel cui ambito più che le leggi dello stato vigono le leggi dei gruppi più forti. Impossibile l'invio oltre mare, non più esistenti le «galere» o i bagni, è il carcere che viene adibito ad uso di luogo di esclusione spaziale radicale, .dopo aver accantonato ogni idea di retribuzione, disciplina ed emenda, vale a dire i tre luoghi comuni essenziali del carcere come pena. Le lunghissime carcerazioni preventive rivelano anche esse una rinuncia di fatto alla ideologia dello scambio. Cardine di questa è una decisione dei tribunali che quantifica in modo rigoroso il tempo carcerario. Soltanto attraverso questo filtro è infatti possibile il proporzionamento della pena detentiva al delitto e la formalizzazione della loro equivalenza (un compito che ·sul mercato generale assolvono i prezzi!). N ella fase attuale, per i reati più gravi, il tempo carcerario è scandito di fatto da una decisione amministrativa (poco importa che siano degli «inquisitori» togati a prenJerla, posto che non si tratta di un pubblico giudizio, emanato a seguito di un pubblico dibattimento). Se si tiene conto che si può essere fatti restare in carcere fino a dodici anni, prima che sia intervenuta una sentenza definitiva, ci si rende conto del come sia venuta meno nei fatti ogni struttura possibile di. costruzione di equivalenze tra reato e pena e che queste ormai, come una sorta di prezzi amministrati, siano inflitte al di fuori di ogni idea di scambio, del quale resta soltanto un simulacro privo di ogni contenuto (l'intervento, se e quando ci sarà, di un pubblico giudizio). Il trattamento dei «pentiti» costituisce infine la terza espressione di rilievo dell'abbandono nei fatti della nozione di scambio-retribuzione. La legge attualmente in discussione davanti al parlamento italiano prevede, per tutti coloro che abbiano dato un apporto di rilievo nella sconfitta del terrorismo un trattamento di abnorme favore, anche quando siano rei confessi di gravissimi delitti (omicidi plurimi ecc.). Anche in questo caso, con la giustificazione di necessità politiche contingenti, viene di fatto abbandonato in radice il principio della pena come retribuzione proporzionata al delitto commesso e viene totalmente meno lo scambio tradizionale, addirittura attraverso la abolizione di uno dei suoi termini (quello della detenzione). li carcere sembra pertanto in crisi. E poiché esso era storicamente divenuto strumento di pena soltanto e proprio attraverso la temporalizzazione proporzionata del suo impiego, ne deriva che è la sua stessa struttura esclusiva o prevalente di pena ad essere in crisi radicale. Il potere in astratto è tentato di sfuggire a questa crisi trasformando il carcere in pena inflitta al di fuori di ogni equivalenza, in base a criteri di pericolosità sociale fissati in via amministrativa e del tutto svincolati da legami con il reato commesso in concreto. È un tentativo che è stato già fatto in passato sul piano teorico (la scuola positiva), ma anche su quello pratico (alcune esperienze statunitensi di pena indeterminata). Gli ostacoli che esso incontra su questo terreno sono tuttavia più di uno. In primo luogo, una pena detentiva svincolata dal fatto-reato appare in contrasto con tutta la tradizione del pensiero giuridico borghese. Essa verrebbe a riprodurre all'interno di uno stato che ha sempre celebrato la «superiorità» del suo sistema di sanzione penale modelli di internamento amministrativo del tutto irrispettosi della tripartizione dei poteri, della indipendenza dell'ordine giudiziario, delle teorie dei diritti ecc., espressamente formalizzando, per questa via, un tipo nuovo di sanzione penale ideologicamente assai pericoloso per la credibilità del sistema di potere che lo esprime (difficilmente si potrebbe continuare a sostenere che uno stato in cui questo accade, ed è addirittura istituzionalizzato, è uno stato di diritto, uno stato che rispetta la libertà ecc.). In secondo luogo la riscoperta dell'internamento puro e semplice come risposta al crimine viene a collocarsi in una dimensione temporale nella quale questo, che in passato era stato assai diffuso, non sembra più godere dei favori delle collettività contemporanee (o dei ceti che le dirigono). È noto che il secondo dopoguerra ha visto dapprima la scomparsa delle case di prostituzione e successivamente la «chiusura» dei manicomi. Non si è del resto trattato soltanto di una elargizione di certi dirigenti illuminati, quanto di una scelta che questi si sono lasciati imporre (dopo lunghe lotte) anche per ragioni di costi. Lo stesso discorso si riproduce anche nei confronti delle carceri (è stato calcolato che negli Stati Uniti un nuovo «posto> carcerario costa sessantamila dollari!). Il che spiega, più di tante banalità, il fatto che il potere, alle prese ovunque con la crisi del bilancio statale, abbia poca voglia di costruire nuove prigioni e preferisca accumulare i detenuti nelle prigioni esistenti. In crisi come pena, in crisi anche come internamento, il carcere appare ad una svolta della sua storia e destinato ad un lento, ma inarrestabile decadimento, culturale prima che materiale. Ma poiché il potere ed i suoi ideologi non sono ancora riusciti ad identificare altre risposte al crimine che consentono di farne a meno, è prevedibile che essi continueranno, ancora per molto tempo, a farvi ricorso, cÒnalcune differenze rispetto al passato. In primo luogo è probabile che il carcere sia mantenuto non come luogo di pena, ma di internamento-deportazione interna per tutta una serie di persone ritenute troppo pericolose per poter essere in qualche modo «riciclati nel territorio». Per tutto il resto della popolazione carceraria potenziale, saranno invece probabilmente, sia pure tra contrasti dei vari settori della classe politica, attenuati e ridotti di numero gli invii concreti in prigione, pur restando sempre presente - come deterrente - la minaccia di questo invio e la sua astratta previsione. Non solo. Anche quando la reclusione sarà stata attuata in concreto, è probabile che siano previste misure alternative per farla durare il meno possibile, compatibilmente con lo stato dell'opinione pubblica, le esigenze di bilancio, ecc. Infine è probabile che tutta una serie di leggi che accrescono i poteri degli apparati di polizia le quali, almeno in Italia, sono state giustificate con ragioni contingenti (lotta al terrorismo ecc.) siano mantenute in vigore a tempo indeterminato. Il riciclaggio della criminalità nel territorio intanto può essere visto come possibile ed accettato in quanto sia accompagnato da una sorta di «carceralizzazione> di questo (una rete accresciuta ed estesa di poteri di polizia, un controllo ampio e minuzioso di tutto quello che accade all'interno delle zone in cui questo territorio sia stato suddiviso ecc.). Note (I) M. Perrot (a cura di), L'impossibile prigione, Rizzoli,Milano 1981, p. 57 (2) C. Beccaria, Dei delini e dellepene in Opere voi. I, Societàtipograficadei classici italiani,Milano I 82 I, p. 15 (3) Ibidem, p. 52 (4) Ibidem, p. 78 e ss. (5) Per i coatti italianiad Assabvedi Rivistapenale, voi. 48, anno 1898, p. 478 (6) AA. VV. Teoriesovietichedel dirino, Giuffré,Milano 1964, p. 230 (7) A. Graziani, «La teoria delladistribuzione del reddito, in Quaderni piacenti11i 70-71 del 1979, p. 108. QUANDOMAURIZIO SAGGIORO COMEE• ANDATA,CE LO RACCONTPAAOLOHUTTER , DALMICROFONOAPERTODI RADIOPOPOLARE. E• STATO LICENZIATO PERCHE• SI RIFIUTAVA FABBRICA~E ARMI, AVEVA IN TASCA QUESTO NUMERO. ~ alfabeto n. 36 maggio 1982-,jaN:}_~26 ~ i 6Mrf e"è'ag'1frtJrfnàCO DI 11QUELSABATOCI AVEVANTOELEFONATPOER UN CASODI OBIEZIONEDI COSCIENZA. ERALA PRIMAOBIEZIONEDI COSCIENZASULPOSTODI LAVORO. MAURIZIOSAGGIORO,UNOPERAIO CATTOLICOE PACIFISfA, SI RIFIUTAVADI PRODURRPEEZZI CHESERVIVANOPER LE MINEE LA SUAFABBRICALO AVEVALICENZIATO. GLI DICIAMODI VENIREIN RADIO, AVREMMORGANIZZATSOUBITOUN MICROFONAOPERTOSUL SUOCASO". E' NATACOSI• LA SOLIDARIETA' INTORNOA MAURIZIOSAGGIORO. 1 E QUESTO,PER LA RADIO, NONE• STATO UN EPISODIOCASUALE. PERCHE 1 DACINQUEANNI RADIOPOPOLARE ' ATTENTAA QUELCHESUCCEDE , SOPRATTUTTOV,ICINAALLAGENTE. VICINAAI LOROINTERESSI, ALLELOROASPIRAZIONI, ALLELOROASPETTATIVE. FORSEE' ANCHEPER QUESTOCHETANTEPERSONE HANNOFIDUCIA IN RADIOPOPOLARE. UNARADIOCHEHA 200.000 ASCOLTATORI E 10.000 socr. UNARADIODISPONIBILE, APERTA,PROFESSIONALE. E UMANA. RADIOPOPOLARE. VIVE CONTE I FATTI DI OGNIGIORNO. FM 101.5/107.6

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