Verso il bagnopenale 11carcere come luogo di«pena• ha una storia meno antica di quanto si potrebbe pensare. Il principio che ha dominato fin quasi all'inizio dell'età borghese è stato quello risalente alla legislazione giustinianea secondo cui «carcer ad continendos, non ad puniendos homines haberi debet•. Solo con la Rivoluzione francese nasce, come ha scritto C. Duprat, la prigione contemporanea come casa di pena: «Certo la Rivoluzione non ha inventato la reclusione, quel fenomeno banale dell'Ancien regime al quale al contrario ha posto fine. L'Ospedale generale e l'Ospizio di mendicità, la relegazione in convento costituivano nel secolo XVIII forme abituali di reclusione. L'internamento era il destino comune del povero non valido al lavoro, del mendicante e del vagabondo, del folle e dell'incurabile, del libertino e del 'disturbatore'. Ma non si trattava di pene nel senso proprio del termine. Tranne che in certi casi di reclusione in convento ed in certi settori dell'ospedale, la reclusione non dipendeva da sentenze della giustizia, ma da decisioni amministrative, da misure di polizia, ordini del re o 'lettres de cachet'. Le prigioni, almeno legalmente, erano solo luoghi di passaggio, dove per sicurezza si rinchiudevano i detenuti per i debiti e per le cause civili, gli inquisiti e gli accusati prima del giudizio, i condannati prima dell'esecuzione della sentenza. L'imprigionamento non figurava tra le pene enumerate dall'ordinamento criminale del 1670. Qualche volta può figurare in certe condanne nel XVIII secolo, ma come ricorso eccezionale, di solito come pena sostitutiva della galera per donne e vecchi•'· Non è contro il carcere del resto che era intervenuta la protesta illuministica, ma soltanto contro le sue modalità di funzionamento, le sue «inutili• crudeltà, le incertezze sui titolari del potere di internamento, la sua confusione con ospizi ed ospedali. Il fine della pena non era per i riformatori quello di «tormentare ed affliggere un essere sensibile, né di disfare un delitto già commesso•, ma quello di «impedire il reo dal fare nuovi danni ai suoi cittadini, e di muovere gli altri dal fame eguali•. A tal fine andavano adottate «quelle pene dunque e quel metodo di infliggerle... che, serbata la proporzione, farà un'impressione più efficace e più durevole sugli animi degli uomini e la meno tormentosa sul corpo del reo•'· Perché una pena ottenga il suo effetto basta dunque che il suo male «ecceda il bene che nasce dal delitto, e in questo eccesso di male deve essere calcolata l'infallibilità della pena; e la perdita del bene che il delitto produrrebbe: tutto il di più è dunque superfluo, e perciò tirannico»3 . Esclusi perché inutili i tormenti corporali (e la pena di morte) e configurata la detenzione come pena quasi obbligata, restava pur sempre da realizzare la indispensabile «giusta• proporzione tra i delitti e le pene: «Se la geometria fosse adattabile alle infinite ed oscure combinazioni delle azioni umane, vi dovrebbe essere una scala corrispondente di pene che discendesse dalla più forte alla più debole; se vi fosse una scala esatta ed universale delle pene e dei delitti, avremmo una probabile e comune misura dei gradi di tirannia e di libertà, del fondo di umanità e malizia delle diverse nazioni: ma basterà al saggio legislatore di segnarne i punti principali, senza turbar l'ordine, non decretando ai delitti di primo grado le pene dell'ultimo••. A ll'inizio di questa evoluzione il carcere tuttavia non esclude ancora l'esistenza di altre forme di sanzioni penali detentive. Cosi con la pena della reclusione convissero a lungo in alcuni paesi altre forme di pena. Si pensi al bagno penale: derivato dalle «galere», con la sparizione di questo tipo di navi, si era trasformato in pena ai lavori forzati da scontarsi in terra ferma (normalmente in piazzeforti della marina militare). Altro tipo di sanzione penale fu quella della «deportazione•, consistente nella relegazione-detenzione di un condannato in una località al di là del mare, il più delle volte in perpetuo. Infine va considerato anche il «domicilio coatto» il quale nei casi in cui viene fatto scontare in un'isola o oltremare, presenta molti elementi in comune con la deportazione•. Queste sanzioni si distinguono dalla pena della reclusione per la maggior disponibilità del proprio corpo di cui godono coloro che ne sono colpiti: forzati, deportati e coatti conservano all'interno del territorio di internamento una libertà di movimento assai più grande di quella riconosciuta a coloro che sono detenuti nei reclusori, vantaggio compensato da una maggiore Romano Canosa durezza del trattamento sotto altri aspetti. Troppe erano tuttavia le incertezze di questi mezzi «alternativi» rispetto alla pura e semplice detenzione (era incerta ed in ogni caso non quantificabile la differenza tra deportazione e reclusione, incerti i costi economici dell'una e dell'altra, incerte le «preferenze» della popolazione criminale, incerte le prospettive emendatrici dell'una e dell'altra ecc.) perché questi potessero prevalere su una dosimetria penale che aveva semplificato al massimo le sue tecniche, completato le sue graduazioni, risolto le sue incertezze e riuscito persino ad attribuire alle sue tecniche un valore etico (l'emenda come conseguenza «inevitabile» della privazione della libertà, del silenzio, della disciplina, della solitudine cellulare, del lavoro ecc.) Le ragioni della assoluta preferenza delle società borghesi per il trattamento carcerario della devianza criminale vanno ricercate prima e più che nelle formulazioni dei suoi ideologi (giuristi e no) nei rapporti sociali che le fondano e le caratterizzano. Lo scambio universale di merci che costituisce la trama di queste società mercantilizza la relazione delitto-pena. Chi ha fornito la relazione più completa di questo meccanismo è stato il giurista sovietico Pasukanis: «La privazione della libertà per un periodo determinato preventivamente nella sentenza del tribunale è la forma specifica in cui il diritto penale moderno, cioè il diritto penale borghese-capitalistico, realizza il principio della retribuzione equivalente. Ed è un mezzo inconsapevolmente, ma profondamente collegato con l'idea dell'uomo astratto e del lavoro umano astratto misurato dal tempo. Non a caso questa forma della pena si è consolidata fino ad apparire naturale e razionale proprio nel secolo XIX, quando cioè la società borghese sviluppò e consolidò pienamente tutte le sue caratteristiche. Naturalmente carceri e prigioni esistevano anche nell'antichità e nel medioevo, insieme ad altri mezzi di costrizione fisica; ma in esse gli uomini venivano generalmente detenuti fino alla morte o fino al pagamento del riscatto. Perché affiorasse l'idea della possibilità di espiare il delitto con un quantum di libertà astrattamente predeterminata era necessario che tutte le forme della ricchezza sociale venissero ridotte alla forma più semplice ed astratta: al lavoro umano misurato dal tempo»•. Molto si può dire del pensiero giuridico di Pasukanis, che scriveva alla fine degli anni '20: ma la sua idea secondo cui, se muta lo stato liberoscambista, non può non mutare anche il modello di repressione penale, merita una riflessione attenta ed una verifica alla luce di quanto è accaduto negli anni successivi. Che lo stato borghese, a più di un cinquantennio di distanza dalla Teoria generale del diriuo ed il marxismo sia mutato è difficilmente negabile. Il problema è vedere come è avvenuto il mutamento e, in particolare, se ed in che limiti lo scambio di merci che lo ha caratterizzato nella sua età dell'oro continui ancora oggi a costituire l'elemento esclusivo. La presenza dello stato (potere politico) nell'economia ha raggiunto dimensioni impensabili all'inizio del secolo, e ciò sotto molti aspetti. In primo luogo come intervento pubblico a sostegno delle imprese (crediti agevolati, crediti a fondo perduto ecc.) ed in via subordinata anche delle capacità di reddito dei lavoratori (assegni di disoccupazione non molto lontani dalla entità del salario percepito in precedenza e di non breve durata ecc.). La rete dei servizi fornita dallo stato a prezzi non di mercato si è allargata in misura considerevole (scuola, sanità, assistenza ecc.), sottraendo allo scambio di merci classico una fetta assai consistente dello spazio originario. Infine lo stato è diventato spesso imprenditore in prima persona e, benché il suo operato come capitalista dovrebbe, in base alle leggi che lo regolano, ispirarsi alla ricerca del profitto, della economicità ecc., questo in pratica non sempre accade, anzi negli ultimi tempi in alcuni paesi (si pensi al nostro) accade raramente. Una consistente fetta della economia viene cosi di fatto sottratta allo scambio, secondo il suo modo di operare classico («per equivalente»). La stessa legge del valore, criterio regolatore indispensabile dello scambio classico, è stata sottoposta a critiche diffuse (per gli sraffiani conseguenti la distribuzione del reddito appare non soltanto come il risultato di un conflitto tra le classi sociali, ma anche, entro i limiti del prodotto netto, come un fenomeno indifferente nel senso che il sistema tollera distribuzioni diverse e nessuna teoria può stabilire quale sia quella esatta)'. I n base a quello che si è detto, la crisi della legge del valore nelle società contemporanee dovrebbe portare con sé delle conseguenze anche nel diritto penale, rompendo lo scambio tra delitto e detenzione (proporzionata in base a parametri rigorosi fissati in anticipo) e mettendo in crisi anche il carcere che sulla equivalenza «privazione dosimetrica della libertà-tipo e gravità del delitto» si è sempre retto, da quando è diventato luogo esclusivo di pena. 1 dati di esperienza disponibili mostrano che questa crisi esiste. La tendenza ad allontanarsi dallo scambio per equivalente nel diritto penale è infatti troppo diffusa per essere soltanto il frutto di impulsi casuali e temporanei. Non solo. Il distacco dalle teorie retribuzionistiche attualmente non avviene, come all'inizio del secolo, prevalentemente sul piano teorico ma su quello pratico, in corrispondenza con le necessità dell'ora, ritenute pressanti ed indilazionabili. Cosi per i colpevoli di reati non gravi sono previste forme sempre più estese di sospensione condizionale della pena, interventi di rilievo sullo stesso «tempo carcerario» (semilibertà, probation ecc.), ipotesi più ampie di liberazione condizionale, fino ad arrivare a forme generalizzate di eliminazione della pena detentiva regolarmente comminate dai tribunali. Lo stesso istituto dei «permessi», per quanto poco incida sul tempo carcerario considerato nella sua globalità, pure rappresenta una rottura di questo tempo ignota fino a tempi recenti ed un elemento di «turbamento» nello scambio tradizionale delitto-detenzione di una certa TommasOottonieri si dilata il collo tuo in richiami lunghissimi, e, nei tuoi pallidi, lunghi, lunghi colli che distendono lunghi, dilatati sorrisi lunghe ciglia nelle acque, steli, vele, il collo tuo sono 2 perla steli le tue perle, cara, lunghe pelle dilatatasi lunghi sorrisi, ora ombrati lungo le ciglia madri, sono coralli il tuo collo sono 3 e pori, e nodi, come e mobilissimi, e candidi, nodi, perle il collo B1bi1otecag1nob1anco 4 tuo sono labbra colli come perla succhi occhi come perle occhi succhi occhi colli occhi ardi colli, colli, cara: i tuoi colori: 5 sono capelli so11ilissimi,come coralli: ciglia come veli: vele come ciglia come: alghe, lunghe vela, veli 6 tuo come perle pietre morbide, compalle, che scivolano giù lungo i profili abbozzati: come le perle più care, chiare, cara luna il collo tuo sono cerbiaue: come le perle che raccogliesti dal tuo nido, incomparabili a te: al collo tuo sono cerbialle: come sono nebbia, nebbie, chiare: come colori nebbia sono le come le tue unghie, cara, mute: sono corolle, cara: sono strade: • alfàb"ettAm'36 nmggiv /·982•paginq 25
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