Alfabeta - anno IV - n. 36 - maggio 1982

trato e incontrerò coloro che furono tanto vicini a Fenoglio, come per esempio la madre con cui solo alcuni giorni faho trascorso quasi quattro ore ascoltando ricordi del figlio tra cui primeggiava il di lui «amore, fin dagli anni ginnasiali per la letteratura inglese». Sono incontri validi nella loro toccante umanità e realtà, un altro aspetto di ricerca, certo meno probante di quella filologica e testuale, però coadiuvante. Ma ritorniamo a quelle «lettere d'amore» che non sono andate perdute, cioè a quelle traduzioni che in parte abbiamo già menzionate e a cui ora aggiungiamo alcune altre, in una breve rassegna che conto di ampliare in un prossimo futuro. Nonostante l'apparente disparità del materiale, riusciamo a cogliere in questa selezione, a volte peculiare, quant'è significativo il trattare di Fenoglio con la lingua e cultura angloamericane. Purtroppo quei bei ricordi degli svaghi letterari ai tempi del ginnasio e liceo, quando Fenoglio prese la prima cotta per la cultura inglese, traducendo Shakespeare, Marlowe e Thomas Moore, sono finiti al macero, destino indecoroso delle sue stesse predilette letture. Come rimembranze di quegli anni giovanÙi però esistono fra le sue carte quaderni di tipo scolastico. Alcuni hanno i ritratti del re Vittorio Emanuele e della regina Elena, e dei principi di Piemonte con la primogenita Maria Pia bambina. Li si trova la traduzione completa di Grahame, ed il testo quasi integrale del Playboy ofthe Western World di J. M. Synge. Poi ci sono altri brani teatrali di Synge, ad esempio l'interessante prefazione e l'inizio di The'Tinker's Wedding. Inoltre leggiamo le prime battute dalla commedia di John Galsworty A bit of love e una scena da «Possession: A Peep Show in Paradise• presa dal libro di L. Housman The Go/den Sovereign. Sottolineiamo che i testi usati per tradurre le opere teatrali sono ancora consultabili: certuni sono in casa della madre mentre altri si possono trovare, insieme alla maggioranza delle sue letture, a casa della vedova. Vogliamo anche elencare una traduzione quasi integrale di Olive, Cromwe/1and the Rule ofthe Puritans in England di Charles Firth oltre a selezioni dalle seguenti opere: England Under the Stuards di G.M. Trevelyan; The Spirit of English History di A.B. Rowse; Gu/liver's Travels di J. Swift; Samson and Agonistes di H. Milton; Confessions of an English Opium Eater di T. De Quincey; Spoon Rive, Anthology di E.L. Masters; The Tragica/ History of Doctor Faust di T. Marlowe; The Canterbury Ta/es di G. Chaucer; e Henry the fourth, part I di Shakespeare. Troviamo anche una traduzione dall'inglese di due poemi accadi dal libro Ancient Near Eastern Texts, relating to the O/d Testament. In sede adatta riprenderemo per esteso l'argomento. Ci piace concludere con parole scritte da Fenoglio stesso in merito a certe sue traduzioni. Si tratta di una letteraassai rilevante per la documentazione Cultura come spettacolo (4) di alcuni testi- che porta la data antica del'8 settembre 1951, indirizzata a Italo Calvino, allora consulente a Torino della Casa Einaudi. Qui Fenoglio, in un tono r,on consono alla sua usuale ritrosia con i rappresentanti della casa editrice torinese, afferma la predilezione per la letteratura inglese e fa un po' di «self-promotion• relativa alla sua competenza in materia. La lettera, pubblicata qui per la prima volta, dice: Caro Calvino: Parlavo l'altra sera in Alba con l'ottimo vostro Agente Dott. Cerrati, e ho idea che questi durante la sua visita alla vostra sede vi abbia fatto cenno del tema della nostra conversazione. Cerrati mi informava della vostra necessità (e desiderio) di trovare nuovi traduttori dall'inglese, e mi invitava a farmi avanti conoscendo la mia lunga e soda esperienza in materia. Egli conosce infatti alcune mie versioni da Eliot, Hopkins e Pound. Forse già lo saprai, ma ho convertito in italiano le poesie inglesi ed in inglese quelle italiane di Suonai Cesena 11 patrocinio della Regione Emilia Romagna consente ad alcuni gruppi teatrali di organizzare spettacoli, laboratori, convegni, con la partecipazione di personalità artistiche e di operatori di diversi settori culturali a livello nazionale e internazionale. Il Teatro della Valdoca ha partecipato al progetto organizzando la rassegna Suono e spazio, svoltasi dal/' I al I Oaprilepresso il Palazzo del Ridotto di Cesena. Seguire questa esperienza, mi ha dato spunto per riprendere il filo del discorso avviato assieme ad Antonio Caronianell'articolo che ha inaugurato questa rubrica (cfr. «Dalla parte del pubblico», Alfabeta n° 32, gennaio '82). Ne richiamo telegraficamente la tesi di fondo: oggi ilpubblico consuma l'alta cultura con lo stesso atteggiamento con cui fruisce dei prodotti della cultura di massa (ledifferenze sono annullatedalle modalità di consumo imposte dall'organizzazione e dalla strutturadei media); condannare il fenomeno in nome della nostalgiaper l'aura dell'intellettuale «rigoroso» è inutile e reazionario; si trattapiuttosto di imparare ad abitare i flussi dell'immaginario collettivo tentando di sviluppare la sensibilità del pubblico condividendone i codici e operando sulla loro evoluzione dall'interno. La situazione di Cesenasipresentava dellepiù adatteper verificarefino a che punto sia maturata lapossibilità di praticarequesto atteggiamento: un gruppo teatraledi base è messo in condizione di arruolare dei «maestri» per esemplificare i riferimenti teorici e pratici del suo lavoro di ricerca e per far partecipare alcuni operatori culturali locali (le «margherite») e, sia pure in minor misura, il pubblico a quanto avviene «dietro le quinte» di un concerto, di una rappresentazione teatrale, di un convegno, ecc. Come hanno retto la sfida promotori, protagonisti, comprimari e pubblico? Prima di tratteggiareluci ed ombre di un'esperienza interessante e contradditoria, è bene chiarire perché questo tema, suono e spazio. Il Teatro della· Va/doca basa il suo lavoro di ricerca sull'assenza della figura de/l'attore: lo spazio scenico è abitato da oggetti della più svariata natura, funzione e dimensione, animati con tecniche differenti, ma ciò che contribuisce in maniera determinante a strutturarlo è il «commento» sonoro. L'attore è attivo solo nella fase di elaborazione del progetto, mentre nella fase esecutiva il suo ruolo si riduce quasi a quello di un addetto alla macchina scenica. Se prevale la componente ostensiva, la messa in mostra di oggetti, si hanno effetti di fascinazione.onirica; seprevale la componente sonora viene evocata una pluralità di universi narrativi. Lo spettatoreè comunque sollecitato da un ''0/fab,eta n. 36 mqggip 1-98~pagi{l'q24 senso di inquietudine che lo spinge a trasformare ed usare a suo modo i materiali che gli vengono messi a disposizione. I «maestri» che il Teatro della Valdoca ha scelto di coinvolgere sui temi di questa sojisticata ricerca sulle interrelazioni fra strutture della percezione spaziale e sonora sono: Giorgio Battiste/li e Juan Hidalgo (concerti e laboratorio del suono), Piero Fogliati (mostre di sculture luminose e laboratorio sullo spazio), lannis Xenakis (concerto e comunicazione nel corso del dibattito). I contributi di Fogliati, Battiste/li e Hidalgo mi sono apparsi legati,pur nella loro specificità, dal filo comune di una rapporto «magico» con oggetti e ambienti. Di Piero Fogliati avevo già visto gli intelligenti progetti di dispositivi di modulazione immersi in processi di scambio energetico fra elementi - acqua, aria, vento -, fra diversi stati di eccitazione della materia -luce, suono - e fra codici di lettura dello spazio - dentro, fuori-, esposti alla Biennale di Venezia del 1978. A Cesenami hanno affascinato le sue macchine: a riposo sembrano esemplari da museo, nessuno si aspetterebbe che debbano « funzionare»; nel momento in cui operano la sensazione di meraviglia è accentuata dalla brevissima durata de~'evento creativo in senso proprio, il tempo di avvertire un'emozione impalbabile immediatamente riassorbita dalla ripetizione meccanica. Fogliati è un mago-artigian,o, ha ceduto ai suoi marchingenii il compito della rappresentanza intellettuale, non rivendica altra paternità progettuale se non quella di «lasciar succedere» che delle macchine siano per un attimo non strumenti di manipolazione della materia ma inviti a lasciarci assorbire nella fluidità deiprocessi materiali. Quanto a lui, lavora come un elettricistaassieme ai suoi collaboratori (nell'occasione devo segnalare fra di essi Giancarla Verga, che ha curato effetti laser gelidi ed essenziali), perché possa verificarsi un brevissimo evento. Del concerto di Battiste/li ho visto solo la registrazione audiovisiva, ma avevo già avuto modo di seguirne i lavori in altre occasioni. A Cesenami ha colpito il rapporto che lo lega ai suoi strumenti, soprattutto a quelli da lui stesso ideati: Battiste/li non può essere solo ascoltato, và anche visto, lamusica nasce dalla sessualità con cui manipola le sorgenti di suono. Definendo «satanico» il suo modo di muoversi, uno dei partecipanti al laboratorio ha colto una dote comune ai grandi percussionisti: la capacità di sfruttare anche la figurazione gestuale per produrre strutture sonore che afferrano direttamente ai visceri, entrando in risonanza coi ritmi animali senzapassare attraversoil fil'!o o,u11v vv ~ oL anca Carlo Forrnenti di una mente intenta a leggere il discorso musicale. L'incontro con Hidalgo è stato invece per me un'esperienza nuova, di grande intensità. La definizione di «maestro» gli sta a pennello, non nel senso auratico che siamo abituati a dargli,ma in quello ironico eschivo che gli attribuisce la filosofia zen. La sua presenza ha aiutato i partecipanti al laboratorio a superare molti miti, sconvolgendo le convenzioni che delimitano i confini fra ciò chè è e ciò che non è musica. Nel suo concerto ha prodotto solo alcuni episodi sonori isolati: qualche verso, qualche parola, qualche rumore, sfruttando piuttosto l'autostrutturazione dell'ambiente sonoro nel corso delle sue performances. <... ~j ,:~.-{\ ;t~' --~~~ Inutile descrivere le azioni: sono comprensibili solo in presenza della personalità vivente di chi le fa; Hidalgo in concerto è oggetto di se stesso e si usa con automatismo ironico e distaccato; non provoca, non dissacra con l'assenza di qualsiasi intenzionalità musicale in senso tradizionale, semplicemente trasmette un messaggio musicale articolato su silenzi, gesti, segni, tracce, percorsi che definiscono un universo in cui tutto vuol dire precisamente ciò che è. La dimensione musicale è la dimensione della vita vissuta al di qua e al di là di qualsiasi riflessione sul suo «significato». Sin qui il bilancio pare più che positivo: disponibilità senza riserve dei «maestri», omogeneità degli stili di ricerca. Si aggiunga che il Teatro della Valdoca ha ben assorbito lo stress organizzativo, sviluppando anche il rapporto col territorio attraverso un uso intelligente degli audiovisivi per l'informazione e la didattica, e la mobilitazione di energie locali disponibili a collaborareper assisterepiù da vicino alle varie fasi della manifestazione. Manca tuttavia un elemento della massima importanza relativo alla problematica richiamata in apertura: il rapporto col più vastopubblico dei non addetti ai lavori. li giudizio è qui assai meno idilliaco, come emergerà dal/'analisi del concerto di Xenakis, fin qui volutamente lasciato in disparte. Xenakis presentava tre composizioni: Psappha (per sole percussioni, esecutore Silvio Gualda), Khoai (per clavicembalo, esecutrice Elisabeth Chojnacka), Komboi (per clavicembalo e percussioni, con gli stessi esecutori). Ero molto curioso e interessato nei' confronti di una musica che non conoscevo, ma del cui Autore avevo appena letto un testo teorico (Musica architettura, Spirali, 1982) ricevendone impressioni contradditorie: da un lato mi affascinavano l'applicazione del calcolo delleprobabilità, della teoria dell'informazione e delle tecnologie informatiche alla creazione musicale, e l'idea che la registrazione in memoria artificiale dei dati necessari a prestazioni tecniche di elevata complessità liberasse l'artistaper al"e funzioni progerruali; dall'altro mi chiedevo come questo discorso si traducesse in esecuzioni orchestrali o di musicisti solisti. Dall'ascolto mi pare di aver capito quanto segue: Xenakis crea strutture sonore che probabilmente potrebbero essere meglio realizzate da dispositivi ele//ronici, affidandone invece l'esecuzione a «virtuosi» cui vengono richiesteprestazioni al limite delle loro capacità. L'intervento tecnologico è del tutto tradizionale, nel senso che i nuovi strumenti di calcolo vengono utilizzati per so110linearela centralitàumanistica del/' «artista»-compositore ed esecutore. Un discorso letteralmente opposto a quelli sin qui analiuati. Una scelta quindi apparentemente inspiegabile, come inspiegabile è apparsa la disponibilità dei promotori ad alimentare il fastidioso divismo di Xenakis, che è loro costato un impegno organizzativo supplementare e frustrante ed una presentazione del concerto di questo imbarazzante tenore: «siamo orgogliosi di presentare il più grande compositore vivente del/'avanguardia musicale contemporanea, il più grande percussionista, la più grande clavicembalista ...• e via di questo passo, con sceneggiata finale di baci e abbracci fra la grande mente e le sue due grandi braccia nel tripudio di applausi e richieste di bis. Che male c'è negli applausi? Negli applausi nessuno, molti ve ne sono invece ne/l'ideologia che investe tu.t10 l'apparato, dagli enti pubblici promotori di queste manifestazioni giù fino allestru//ure di base, ideologia chepensa di potersi opporre alla potenza produttiva di effe/li spettacolari dell'industria culturale facendo digerire al pubblico la cultura d'avanguardia con la seduzione del grande nome, nell'illusione di ollenere il duplice effetto di educare e di produrre consensopolitico agli educatori per procura, li pubblico non è tul/a~ia molto incline a farsi educare. Xenakis a mio parere è piaciuto sopra/tulio perché la sua musica è di sicuro effe/lo, tanto che «Verrà la morte e avrà i tuoi occhi•. Ti passo, come saggio, la mia traduzione dei cori e dell'interludio di Assassinio nella Cattedra/e: fammi il fa. vore di compararla a quella di Ludovici. Traduco tutto indifferentemente, ma ho una spiccata preferenza per il teatro e la poesia. Ad esempio, Marlowe, diamante nero della letteratura inglese, non vi dice niente? E nemmeno il teatro irlandese classico (Synge, Yeats, Lady Gregory)? E le opere della Riforma inglese, magari limitandole a quello stupendo Progresso del Pellegrino di Bunyan? Ed infine Santa Giovanna di Shaw, completa della lunghissima ed interessantissima prefazione? Parlane, se vuoi, con chi di ragione e di!llmene poi qualcosa. Grazie e cordiali saluti che vorrai estendere alla Sig.ra Ginzburg. (Beppe Fenoglio) P.S. - M'ha seccato veder Bompiani soffiarvi il teatro elisabettiano. Era una cosa da Einaudi. in alcuni passaggi non mi èparsa priva di analogie con le operazioni più sofisticate di certo rock. Non istituisco il confronto per evocaremodelli negativi; anzi: mi pare che queste ultime esperienze siano in un certo senso più avanzate, nella misura in cui abbandonano la centralitàdel/'artistapuntando sulla manipolazione delle potenzialità creative che si sviluppano spontaneamente nel/'evoluzione del meuo tecnico promossa dall'industria culturale. Uno spettatore ha chiesto alla fine del concerto: ma questa musica si balla? È stato beffeggiato, ma a torto: il[allo che non si possa ballare non ne a11estala «serietà>,ma ne limita le possibilità di piacevole consumo. In conclusione mi pare che l'operazione Xenakis non giustifichi ww sprttD di risorse ed energie che avrebbero potuto essere meglio utilizzate. Per esempio dando allagiornata di dibattito una soluzione più vicina al proge//o iniziale che avevo impostato assieme a Guido Palumbo del Tea"o della Valdoca, che prevedeva interventi sull'ambientazione ed uno stile anticonvenzionale che avrebbe reso il tulio più simile ad un happening che ad un dibattito. Caduta questa ipotesi il ripiegamento su soluzioni tradizionali ha ugualmente comportato il concentrarsi delle aspe11ative sullapresenza di nomi prestigiosi, molti dei quali hanno puntualmente dato forfait. I presenti (ol"e ai promotori: Manlio Brusatin, Omar Calabrese, Antonio Caronia, Luigi Ferrari, Renato Gi<r vanno/i, Claudia Monti e Jannis Xe;,akis con una comunicazione audiovisiva) hanno dato· vita ad un dialogo tutt'altro che privo di spunti interessanti, ma chi era venuto solo per vedere le «star>lo ha vissuto come il solito rito noioso. Devo però dire che non ho del tutto perso la speranza che si sia realizzato qualcosa di nuovo: forse c'è riuscito il cameramen, almeno a giudicare da alcuni malizioni ed eloquenti primi piani sui volti di relatori e ascoltatori che ho visto diffondere da/l'impianto televisivo a circuito chiuso. Maestri e marperite. Forum internazionale di pedagogia teatrale, febbraio-novembre 1982 SIIOaoe spaio Dieci giorni di laboratori, spettacoli e dibattiti, a cura del Teatro della Valdoca Palazzo del Ridotto, Cesena, 1-IO aprilel982 Con il patrocinio della Regione Emilia Romagna, delle Provincie di Bologna, Ravenna, Modena, dei Comuni di Bologna, Bagnacavallo, Cesena, Ferrara, e del Consorzio del Festival di Sant'Arcangelo di Romagna

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