N _elsuo saggio cli compito del traduttore•, (in Angelus Novus, Sag- ,gi e frammenti), Walter Benjamin riporta alcune considerazioni sulla teoria della traduzione contenute nell'opera di Rudolf Pannwitz Crisi della cultura europea. Ivi si legge: «L'errore for:idamentale del traduttore è di attenersi allo stadio contingente della propria lingua invece di lasciarla potentemente scuotere e sommuovere dalla lingua straniera. Egli deve, specie quando traduce da una lingua molto remota, risalire agli ultimi elementi della lingua stessa, dove parola, immagine e suono si confondono; egli deve allargare e approfondire la propria lingua mediante la lingua straniera; non si ha l'idea della misura in cui ciò è possibile, e in cui ogni lingua si può trasformare; e lingua da lingua si distingue quasi solo come un dialetto dall'altro, e non già se è presa in tutto il suo peso•. E' sotto questo aspetto di impegno e di stimolo nell' «approfondire la propria lingua» che penso si debba considerare Beppe Fenoglio nei panni di traduttore. La stessa volontà di lavoro, o anche, di fatica linguistica che dimostra lo scrittore verso il suo settore creativo è palese quando esaminiamo con cura le sue traduzioni. La sua risposta alla domanda sul perché aveva scelto di essere scrittore potrebbe ben riguardare la sua dedizione al tradurre: «Scrivo per un'infinità di motivi (...) anche per spirito agonistico (...). Non certo per divertimento. Ci faccio una fatica nera. La più facile delle mie pagine 'esce' spensierata da una decina di penosi rifacimenti•. Tra le sue carte nel Fondo Fenoglio ad Alba, troviamo che la stratificazione dei rifacimenti delle traduzioni è paragonabile all'intenso rimaneggiamento delle opere creative. E' Fenoglio stesso a dichiarare la fatica provata nel tradurre Peace, una delle due poesie di Hopkins, pubblicate e datate qui accanto: «Stato un paio d'ore sdraiato nel verde di (...). Recitato, nella mia versione, 'Peace' di Hopkins. L'esaltante fatica che mi costò il tradurre quel poco di Hopkins•. In un breve saggio ancor inedito sullo stesso poeta, Fenoglio ci fa capire seppure in maniera sibiUina quanto si è lasciato «scuotere e sommuovere• linguisticamente e stilisticamente nel tentativo di rendere Hopkins in italiano: «Orbene, questo assalto di immagini, questa marea di similitudini dirette, si contiene si inalvea perfettamente in un verso turgido e stringato al tempo stesso, assolutamente inimitabile e non riconducibile ad altri esempi, un verso che alla piena delle immagini risponde con una quantità folle, ebbra, di allitterazioni ed assonanze che non sono rendibili, in altra lingua che l'inglese, se non a costo di sforzature violente•. E invece sono proprio queste «sforzature violente• che gli danno la possibilità di realizzare ciò che Benjamin riteneva uno dei compiti del traduttore: «redimere nella propria quella pura lingua che è racchiusa in un'altra•. Mi sento stimolato a dire due parole concernenti l'enigma letterario che, suo malgrado, rimane Beppe Fenoglio, visto che ultimamente parole su di lui se ne sono spese tante. Mi limito a parlare di un aspetto dello scrittore albese di cui ritengo di avere una certa competence: cioè di Fenoglio quale traduttore di letteratura angloamericana. Nella breve recensione del libro di M.A. Grignani su Fenoglio apparsa in questo stesso giornale nel numero 33 del marzo scorso, Maria Corti, direttrice dell'edizione critica delle opere dello scrittore, riprende una domanda che aveva formulato un decennio fa: «Basteranno dieci anni?•, riferendosi «all'aspirazione verso un chiaro e convincente ordine, soprattutto cronologico, delle opere di Fenoglio•. La risposta in data 1982 è recisa: «Non sono bastati•. La stessa osservazione vale a proposito di una persuasiva ricerca sul rapporto di Fenoglio con il mondo anglosassone che ancora è da impostare. li che, è facile intuirlo, gioverebbe in modo decisivo a riempire non poche lacune e dubbi della su-accennata questione cronologica. Due anni fa, quando intrapresi i miei studi su Fenoglio, confesso di aver provato una certa meraviglia leggendo nell'appendice del libro della Corti Beppe Fenoglio storia di un «continuum• narrativo (Liviana Editrice, Padova 1980) la seguente frase: «Si premette che la grande quantità di traduzioni dall'inglese, presenti nel Fondo (Fenoglio ), costituisce un settore per cui si attende ancora un approccio specialistico, che vi porti quell'ordine da noi promosso e in buona parte attuato nel settore creativo; riguardo al materiale di traduzione, quindi, le notizie rimangono allo stadio 1970•. SI, erano passati giusto dieci anni. Il primo contatto con il materiale delle traduzioni evidenzia il perché di una mancanza di studi approfonditi in questo campo. La prima reazione dinanzi ai numerosi scritti è di frustrazione, data la loro frammentarietà e il loro disordine. Però, più ci si avvicina e si inizia a raccogliere il materiale reperibile nel Fondo o altrove, più ci si accorge che gli studiosi, come giustamente accenna la Corti, non hanno ancora dato a questo settore l'attenzione che meriterebbe. D'accordo, si vo documentario, tendono verso una critica troppo meccanica e categorica nei confronti di Fenoglio. Riguardo alle traduzioni o all'uso dell'inglese nelle sue opere, la critica, anche recentemente, si accontenta di citare i soliti autori angloamericani allora di moda senza considerare quali sono di fatto le traduzioni dello scrittore. Per forza, si è sentito dire, ci doveva essere qualche influenza di Hemingway o Faulkner, perché tutti i giovani intellettuali li leggevano allora. Idem per Joyce. Ma, ripeto, quali sono le traduzioni di Fenoglio? Finora, se la memoria non mi tradisce, non è ancora uscito uno studio che faccia un sistematico confronto testuale fra una sua opera creativa e un testo da lui tradotto. Non è da escludere, anzi siamo sicuri, che tante traduzioni siano andate smarrite; tuttavia, prima di parlare di Melville, T.E. Lawrence e Conrad soffermiamoci su Bunyan, Synge, Hopkins ed Eliot - autori che Fenoglio ha in effetti tradotto. Per adoperare un'allusione alla Fenoglio, gli studiosi della questione inglese dello scrittore sono rimasti «infangati• nell'immagine quasi picaresca che gli si è creata attorno ad opera di una tradizione orale in buona fede, ma non sempre attendibile. Oppure si è ricorso ad altre interpretazioni facili ed imprudenti paragonando, per esempio, l'Inghilterra di Fenoglio all'America di Pavese. Certe affinità ci sono di sicuro, ma, mentre per Pavese la scelta di una cultura straniera sembra essere in gran parte di natura politico-culturale, per Fenoglio almeno all'inizio si tratta di un'evasione, di un dare importanza e concretezDue poesie di G.M. Hopkins tradotte da Beppe Fenoglio Bellezza cangiante (Pied Beauty) Sia gloria a Dio per le cose variopinte - Per i cieli pezzati come vacca macchiata; Per i nei di rosa che picchiettano la trota nuotatrice; Per le castagne crollate dai rami su rossi tizzoni; per I' aie del fringuello; Pel paesaggio ordito e frammentato -stazzo, maggese, ed arativo; E per tutti i mestieri, e lor ferri strumenti. Tulle le cose, le contrarie, le primordiali, le superflue e strane; Tuuo che è mutevole, screziato (chi sa come?) Col veloce, il lento; dolce, acido; fulgido, opaco; Quegli le procrea la cui bellezza è oltre mutamento. Lodate Lui. 17 novembre 1951 Pace (Peace) Quando mai, o Pace, o colomba di bosco, ripiegate l'ali timorose, Cesserai di volteggiarmi intorno, e poserai sollo i miei rami? Quando, quando, o Pace, vorrai? Non io sarò ipocrita Col mio proprio cuore: ammetto che tu vieni ca/ora; Ma questi brandelli di pace son povera pace. Qual pura pace collera Allarmi di guerre, le spaventevoli guerre, la morte di se stessa? Oh certo, rapendo la Pace, il mio Signore dovrebbe lasciare in suo luogo Un qualche bene! E invero lascia la Pazienza squisita, Che poi s'impiuma sino ad esser pace. Ed allorché la Pace trova casa, Ci viene con lavoro a fare, non ci viene per cubare, Ci viene per covare e rimanere. suole proclamare la passione di Fenoglio per il mondo anglosassone, in particolare per l'Inghilterra elisabettiana e rivoluzionaria; ma quali frutti ci recano dichiarazioni aneddotiche come quella di un Fenoglio che sognava di essere un soldato dell'esercito di Cromwell «con la Bibbia nello zaino e il fucile a tracolla?• Sono frasi «appetibili•, direbbe la Corti, ma hanno poco a che fare con la questione di Fenoglio scrittore, quasi esteta della parola, come testimoniano i materiali editi ed inediti. Molti studiosi, in parte scoraggiati dalla difficile grafia fenogliana in parte sottovalutando l'importanza del rilie29 novembre 1951 za a una sentita diversità personale motivata dai suoi complessi e dalla sua estrazione sociale. «Gettarsi nel mare magnum della letteratura inglese e americana conosciuta, letta, a volte annotata e tradotta da Fenoglio» può sembrare davvero deludente e poco proficuo, come è stato suggerito da Bruce Merry (Nuovi Argomenti 35-36 sett.-dic. I973), specialmente se ci si limita a giocare una specie di «rischiatutto• nell'identificare le diverse citazioni o frammenti che si trovano negli scritti partigiani dell'autore. Accennare solamente ai testi o ai brani riportati da Fenoglio senza indagarli nei minimi dettagli vuol dire non B1011uLecag1noo1anco comprendere il modus operandi dello scrittore. A proposito citiamo una similitudine di Benjamin riguardante la traduzione: «Come i frammenti di un vaso, per lasciarsi riunire e ricomporre, devono susseguirsi nei minimi dettagli, ma non perciò somigliarsi, cosi, in'l'ece di assimilarsi al significato dell'originale, la traduzione deve amorosamente, e fin nei minimi dettagli, ricreare nella propria lingua il suo modo di intendere, per far apparire cosi entrambe - come i cocci frammenti di uno stesso vaso - frammenti di una lingua più grande•. e ome lettore, e amoroso (anche o forse proprio perché gli costa fatica scrivere e tradurre) traduttore di una lingua da lui considerata più grande, Fenoglio dimostra peculiari qualità: proprio alcune letture, in parte attestate dalla sua biblioteca personale ad Alba, ed alcune sue traduzioni permettono qualche osservazione utile. Nella biblioteca troviamo infatti, insieme ai soliti c_lassicie ai libri di moda all'epoca, testi che lo escludono da qualsiasi raggru.ppamento omogeneo con altri scrittori a lui contemporanei. Fra i libri di Fenoglio si trova, per esempio, una raccolta di storie, cui si fa cenno anche nel cosiddetto Ur Partigiano Johnny (testo scritto nel suo «inglese• particolare - il titolo non è dello scrittore, ma degli editori dell'edizione critica), My BescScotch Stories di Sir Harry Lauder; e poi qualche volume del Reader's Digest, che risulta lettura molto più significativa di quanto non potrebbe a prima vista sembrare. E' questa sensibilità di Fenoglio per le letture e le vicende popolari che lo stimola a tradurre, insieme a opere quali La ballata del vecchio marinaio di Coleridge o le poesie di John Donne, un romanzo per ragazzi eone li vento nei salici di Kenneth Grahame. A proposito di quest'ultimo, John Meddemmen, il quale sta curando il testo per Einaudi, ci informa di un suo articolo «in progress» che uscirà molto probabilmente con la pubblicazione della «bella traduzione• (Alfabeca n. 33), come Meddemmen l'ha definita, in cui dimostrerà attinenze stilistiche e tematiche de li vento dei salici con Ur Partigiano Johnny. Prendiamo come spunto quest'ultima opera, lo scritto più autobiografico del partigiano Fenoglio, per sottolineare l'importanza dell'Inghilterra, e quindi delle traduzioni.Nel suo libro la Corti richiama un brano di Ur Partigiano Johnny che esemplifica, in modo chiave, come lo scrittore sentisse e giudicasse i suoi primi rapporti con il mondo di Lawrence, Raleigh e Gordon. Vi si nota una specie di smarrimento che prova il protagonista Johnny quando incontra per la prima volta la missione inglese a cui era stato inviato come interprete. Johnny si trova nella situazione di un innamorato che abbia scritto tante lettere d'amore a una donna che non ha mai visto e va ora al suo primo appuntamento: «As to him, Johnny was painfully anxious and pessimistic, feeling like the lover going to meet at last his lady-love to whom he has so far seni only love-letters, the greatest love-letters in the world's history». Senza rischio, si potrebbe estendere la similitudine e interpretare, come fa la Corti, le sue traduzioni come «lettere d'amore». Lettere d'amore, vorrei aggiungere, ad una donna di difficile conquista; a conferma di questo paragone una pregevole raccolta di rinessioni di Fenoglio pubblicata come diario nell'edizione critica. Quasi metà delle pagine dedicate ai suoi pensieri portano qualche riferimento linguistico-letterario al mondo angloamericano. In una di queste cogitazioni. notiamo come testi da lui tradotti vengano collegati ai ricordi evanescenti di una donna: « ... Baba, In quale alto luogo ti trovi, Quando cipotrò mai recuperare? Elioc. Come si vede, la vera poesia serve a tucti e per cucci.A lamentare la scomparsa d'un gran santo e quella d'una povera bella ragazza. Non mi ricordo più nemmeno un verso di Evelyn Hope; E nemmeno di Annabel Lee; Tentato invano di far tornare a galla nella mia mente pochi versi di Evelyn Hope.» S eguendo la suggestione delle traduzioni come «lettere d'amore», ci incuriosiscono nell'appendice al romanzo Primavera di bellezza (nell'edizione critica einaudiana) i frammenti di narrazione epistolare ambientati nell'estate del 1943: essi hanno come argomento il rapporto sentimentale fra una certa ragazza di Alba, Fulvia, e un Sergio che si trova a Roma per il servizio militare. In queste lettere immaginarie Fenoglio si riferisce sovente a testi angloamericani. Ce n'è una in cui Fulvia parla a una sua cara amica, Margherita, delle· lettere di Sergio: «... ti dico che conservo le sue lettere in uno scrignetto insieme a quei foglietti su cui lui traduceva le poesie inglesi che noi gli chiedevamo al tennis e alla pallacanestro. Ne ho quattro o cinque, e sono Annabel Lee, Evelyn Hope, un sonetto di Shakespeare e quella ballata scozzese che ci piacque tanto e dove sta scritto: 'I hate you, I ,detestyou, I loath you/But o why don't you kiss me again?». Due settimane fa nel suo accogliente appartamento romano una gentilissima e attraente signora, nata ad Alba e ora professoressa di letteratura in una scuola della capitale, mi ha ripetuto questa ballata ricordandola come una delle favorite del suo amico Beppe Fenoglio - quando erano entrambi giovanissimi ad Alba prima della guerra e subito dopo. Sulla base di prove e riferimenti abbastanza chiari, Fenoglio avrebbe costruito il personaggio di Fulvia su questa bella signora di oggi e sugli anni della loro amicizia studentesca. La «Fulvia», che è ora insegnante di lettere e quindi cosciente della serietà necessaria in un discorso relativo allo scrittore e traduttore albese (fra l'altro, sua figlia fece una tesi di laurea su Fenoglio ), mi parlò anche delle lettere che le aveva scritte Fenoglio- sempre in quegli anni prima e subito dopo la guerra - e in cui c'erano diversi riferimenti e citazioni dall'inglese. Purtroppo le lettere che lei restitul al mittente dietro sua richiesta non si sa dove siano finite, ma la signora le ricorda molto bene. E' chiaro che se indugiassi su questo mio incontro romano per scoprire degli aspetti di Fenoglio traduttore, rischierei di contraddire una mia precedente affermazione contraria all'aneddotica senza prove testuali. Voglio però attenuare la suddetta dichiarazione aggiungendo che, nonostante la mia preferenza verso la ricerca basata sulla tangibilità dei testi, non escluderei completamente certe prove di carattere personale o aneddotiche qualora siano ben vagliate proprio alla luce dei testi, come nel caso della «Fulvia» albese, ora professoressa a Roma. Ecco perché, non soltanto per essere in contatto col Fondo Fenoglio, ho posposto il mio ritorno a Berkeley e vivo ad Alba da diversi mesi: ho incon- ,.al.f(lbeui,_ lj, 36.-,iÌ,ljggiq 191?.Ragi2n3a • , '\ - --1----- • • ~ \ .J
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