Alfabeta - anno IV - n. 36 - maggio 1982

b atomi) della costruzione scientifica. Bisogna pertanto finire per considerare come unità quella che un occhio più analitico o diversamente orientato potrebbe considerare invece come una pluralità. Per arrestare questa analisi interminabile l'archeologo finisce così per ricorrere ad una emozione omogeneizzante e dice a se stesso: «questo strato rappresenta una unità, e basta•. Egli strasforma in quello stesso momento uno o più sistemi di equivalenze in una identità. Ciò non può essere fatto se non rivolgendosi appunto al modo indivisibile, oppure più brutalmente o anche parallelamente cadendo in una sacca circoscritta di bilogica, ma con questa più profonda interferenza inconscia si verifica uno strappo nel tessuto del più sereno procedere scientifico. Si ha nel caso sopra esposto un uso produttivo di quella emozione omogeneizzante che rovinosamente coinvolge invece l'archeologo che sterra alla caccia della sua arca perduta. 3. Verrebbe a questo punto da pensare che saggezza e follia sono intrecciate alle origini della ricerca scientifica (compresa quella storica). La bimodalilà e forse anche la bilogica di Matte Bianco finiscono cosi per apparire grembo di ogni nostro anche più nobile e consapevole ragionamento. Generalmente lo scienziato fa di tutto per assorbire e dissimulare questa basilare condizione di sdoppiamento, ma nel piccolo dramma che vive l'archeologo, quando deve dividere il continuo dell'insolito non ancora conosciuto, la finzione neutralizzante di una ragione pura, unilaterale e compatta si disvela pienamente. Producendo incessantemente stratificazione l'uomo tende a confondere, come si è visto, realtà ultradistinte, degradandole verso il più generale ed ampliandone progressivamente le classi: cioè omogeneizzando nei limiti consentiti entro il mondo fisico, così come ci appare. Egli costruisce in questo modo un proprio mondo materiale rovesciato e sotterraneo, rimosso ed anche dotato di una sua peculiare struttura, certamente diverso da quello dove egli vive, che appare al contrario sottoposto ad un processo incessantemente ordinatore, segmentatore e generatore di forme. Sotto vi è matrice storica sommersa e sopra storia emergente in atto: due esiti catastrofici di segno opposto, scompaginatori comunque di precedenti condizioni ambientali. Scavare stratigraficamente significa allora innanzitutto salvare dal caos, dividendo, ciò che è stato destinato a precipitare nei processi unificanti della deposizione e decomposizione ed in ,,//(j /,. / I i /✓,,1r~· / / 1/,, (/l/ 111 ,~lf secondo luogo ricomporre nuovamente in unità ordinata quanto si è diviso, sulla base delle relazioni spazio-temporali estratte dal terreno, costruendo serie di azioni interpretabili progressivamente come attività e avvenimenti o periodi. Si risale cosi, logicamente, dal fondo dell'esistenza, fatta da un'infinità di piccole azioni, fino alle grandezze selezionate che da sempre hanno «fatto storia• (A.C., Storie dalla terra). È nel sistema formale delle relazioni fra le cose che risiede l'aggancio con l'essenza umana della cultura materiale, per cui in ogni anche più modesto frammento vi è tutto il mondo, per cui non esistono testimonianze privilegiate e fondanti (I. Matte Bianco, in Atti del Congresso «Psicanalisi e istituzioni», tenutosi all'Università di Milano nel 1976, p. 314 ss.). Le prospettive di una ricerca storica rinnovata muovono pertanto da queste due constatazioni: I) l'assenza di fondamenti porta a considerare il piccolo come equivalente al grande e 2) l'aspirazione a percorrere una globalità irraggiungibile porta a considerare i rapporti fra le azioni come interpretabili ma no11violabili da parte del ricercatore (tale violazione è invece connaturata all'uso combinatorio delle fonti, tipico dell'antiquaria). Questa indivisibilità fondamentale dei monumenti del passato si erge dunque sempre più formidabile e trasforma lo storico da primo attore arbitrario in scenziato fedele al contesto: «la Société française allait ètre l'historien, je ne devais ètre que le secrétaire• (Balzac, Ava11tpropos della Comédie humai11e ). Se dalla sequenza stratigrafica passiamo alle singole azioni che la compongono, possiamo individuare anche qui interruzioni della ragionevolezza dividente e interferenze della necessità unificante, cioè la presenza dei due principi individuati da Matte Bianco, e ciò non solo nei prodotti artistici, dove tali stranezze sono di casa, ma anche in quelli destinati alla vita normale e pratica: manufa11i costruiti e poi subito parzialmente distrutti, rifiniti a regola per essere sepolti, lasciati incompiuti seppure destinati a fare mostra. imitati e al tempo fraintesi, restaurati e nel contempo scombinati, funzionali e pur sempre tradizionali, ordinati secondo un disordine. Di fronte a queste ed altre apparenti incongruità viene fatto di pensare possibile una specie di psicopatologia della materialità quotidiana. La passione per l'archeologia, diffusissima ormai anche in Italia, è forse il segnale di un bisogno inconscio collettivo, analogo a quello dello storico che peregrina «en archéologue moral» (Balzac, Béatrix): il bisogno di cercare nuove dimensioni mentali di fronte a un mondo che può apparire tutto occupato da potenze in vario modo sradicanti, impoverenti e opprimenti. Non a caso quando le speranze si concentravano sul politico e sul tempo unilineare il contemporaneo veniva divinizzato e il passato disprezzato. Oggi si può far forza su una storia intesa come insieme di strutture bimodali e bilogiche e può diffondersi per la prima volta una cultura stratigrafica di massa. (Questo testo è stato presentato al se111ùrariosu L'inconscio come insiemi infiniti, di I. Maue Bianco, promosso dall'Istituto Gramsci, Roma 29/30 gennaio 1982) SanGiuseppGe aribaldi 11rapporto fra Garibaldi e il garibaldinismo letterario è caratterizzato dal fatto che il primo assolve la funzione di reagente o catalizzatore, per la possibilità di trasferimento e omogeneizzazione tra realtà e fantasia della sua vita «esemplare•, contenente cioè già i materiali meglio disponibili allo sfruttamento letterario. Voglio dire che la realtà è già disposta in modo da rispondere positivamente ai requisiti richiesti dalla letteratura, rispettandone i canoni, fino allo scambio delle qualità e dei connotati, in uno schema della specularità e dell'identificazione, secondo le norme di una poetica omologa all'etica. Ciò non è casuale. Se consideriamo il garibaldinismo in letteratura a posteriori, dai suoi effetti, non possiamo trascurare l'ipotesi di un «bisogno• che l'ha determinato e che si configura in una «domanda•. Tale bisogno irrazionale è compensativo (con tutti i conosciuti ritardi storici) della borghese fortuna illuministicorazionalista, ma soprattutto della «sconvolgente• nascita della cultura industriale e capitalistica, con la corrispettiva acquisizione e sviluppo di due contenuti concettuali specifici, di massa e di produ11ivismo (e di rapporti di produzione, conseguentemente): la storia, insomma, sta assumendo nuovi protagonisti per una nuova cultura. Tale ipotesi è in apparenza paradossalmente conservatrice se viene letta come il tentativo, da parte dei nuovi soggetti, di esorcizzare i temuti effetti della nuova cultura, non ancora assorbita, facendo uso delle tecniche naturalmente e funzionalmente più mistificatorie, quelle della letteratura. Questo inconscio bisogno di épos corrisponde comunque a quella fase di evoluzione economico-politica. Dall'analisi generale del fenomeno emergono due dati determinanti che precedono la uascrizione letteraria, ma la condizionano funzionalmente: il primo è l'abbondanza di materiale in sé «romanzesco• (rispondente a quei canoni retorici) rinvenibile .in una vita strutturata secondo le regole dell'avventura, come quella di Garibaldi; il secondo è la maneggevolezza e la convertibilità di quel materiale, ben adatFolco Portinari tabile alle norme retoriche dell'épos. È attentamente, la letteratura garibaldifuori dubbio che se non ci fosse testi- • na ci si presenta come un coro abbamonianza e memoria dell'eroe e dell'eroismo, senza quell'antefatto storico-biografico, non sussisterebbe il fenomeno letterario. Nel nostro caso ;,oi, per giunta, l'eroe stesso ci ha trasmesso tanto le sue memorie quanto un poema sulle sue gesta, più alcuni romanzi: si è premurato già lui della conversione dei materiali, offrendone uno dei modelli possibili. Questi memoriali però hanno un dato in comune, salve le eccezioni, ed è il modo della loro gestazione. La stesura definitiva delle Memorie Garibaldi l'incomincia alla fine del 1871, abbastanza lontano dai grandi avvenimenti: questo distacco dalla cronaca immediata con tutti i suoi coinvolgimenti (politici innanzitutto) caratterizza un poco la memorialistica garibaldina in generale, sino a conferirle quel segno di riconoscimento stilistico: sono rievocazioni e come tali sono soggette al setaccio selettivo del ricordo, senza gli stravolgimenti dell'urgenza, del presente, di altra natura. Questione di non scarso conto, poiché sono ormai predisposte ad assoggettarsi alla formulazione del giudizio operata dalla storia (so almeno come va a finire, anzi com'è finita), sono già deformate per forza di meccanismi poetici. Che è forse la ragione di esiti prevalentemente intonati sul lirico e sul patetico, in ciò condizionati oltretutto dal mercato, vale a dire da una «domanda• condizionante, secondo leggi valide anche per la letteratura. Questo è il punto: per comprenderlo non si può prescindere dalla «domanda• perché U, credo, sta proprio la spiegazione del fenomeno o almeno la chiave per interpretarlo nelle sue varie maniere, alla fine convergenti su un denominatore comune, liturgie e feticismi compresi. Quale «domanda• e di chi? Se capovolgiamo le procedure e risaliamo dai risultati e dagli effetti, la letteratura garibaldina cosi come si è venuta configurando appare un prodotto dell'immaginario collettivo (allo stesso modo d'ogni epopea, del resto). È un'ipotesi rischiosa solo in apparenza. C'è un primo sintomo: se _guardiamo stanza armonico e omogeneo, pur con le sue voci dai timbri doverosamente diversi, piuttosto che una rassegna di solisti. È che Garibaldi e il garibaldiniI. smo la sovrastano e l'amalgamano nell'impasto, riducendola. Né essa fa alcunché per sottrarvisi. Fa parte delle regole del gioco, soprattutto se si pensa alla natura della «doman~a•, al progetto di quell'im- ..., 1an maginario, all'interesse di quella fantasia, all'utile sotteso a un dilettevole artisticamente inevitabile: l'inplll, dunque, non è nuovo. Si tratta della «domanda» collettiva di un intervento provvidenziale che ripristini e garanti- . 'f) ·"-, ,\..t- :-- .,-~ ( ..-,• ~~ ·-:~~ . '\ ). \~ ,. sca i valori obsoleti di onestà, di giustizia, ecc, cui corrisponde l'«offerta»·di un'impresa provvidenziale, di una vita esemplare, esibita con lo stesso schema strutturale delle vite edificanti dei Sant! Padr~ di 9uelle sost!ti:tiva. Che è poi lo schema strutturale più diffuso del romanzo romantico, non solo cattolico-liberale o brescianesco. La letteratura impone le sue leggi, ove la realtà della cronaca non interessa più del suo uso, a gioco lungo. A queste leggi non si sottrae neppure l'eroe, per consapevolezza del ruolo, quando diventa memorialista di se stesso, proprio perché ne è lui l'oggetto e non può sfuggire a un clima ormai predisposto. I n questo confronto tra una richiesta dalla base e lo svolgimento storico delle vicende va considerato l'uso del prodotto letterario, in una proiezione divergente, pur essendo medesimo il materiale. Da un lato, dunque, c'è una esaltazione catartica o una consolazione di massa, poiché la plebe lì vede raffigurate, mitograficamente, le sue urgenze. Dall'altro lato, c'è l'uso governato della letteratura cui tocca una funzione sedativa della storia: mentre il popolo (inteso come classe, come «plebe•) quando insorgeva o immaginava di insorgere innalzava l'albero della libertà (con gli annessi e connessi di uguaglianza, giustizia, ecc...), la letteratura antepone a quello i concetti di unità e di indipendenza. Neppure il garibaldinismo si è esentato, non sta fuori dalla ideologia schizofrenica del nostro risorgimento, tra una concezione popolare e una dinastica, tra libertà e indipendenza cioè, sino alla finale vittoria. C'è come una frattura fra le due fasi, contraddittoria, tra quella ideativa e quella produttiva, tra letteratura e storia e la verifica della consistenza dell'azione politica (vale a dire il senso dell'azione militare) della sinistra parlamentare e garibaldina negli anni postunitari, disunita e senza strategia, può passare anche attraverso la letteratura oltre che attraverso gli atti parlamentari. Nè ciò procura scandalo o meraviglia poiché si tratta della fedele riproduzione stilistica e ideologica della letteratura italiana (e non solo) del tempo. Dico che non c'è da scandalizzarsi se I mille, il romanzo che Garibaldi scrive tra il '70 e il '72, segue fedelmente la strultura stilistica del romanzo populista. se quel modello di roman7~ è l'u- ,,al{a_ee{a,n.J.6 "'./!fK(o/'(82 papi!!? 21

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