Informazioni Einaudi Primo Levi Se non ora, quando? «Nella neve e nel fango avevano trovato una libertà nuova, sconosciuta ai loro padri». «Supercoralli •• pp. 26,, L. l4 ooo. Hjalmar Bergman I Markurell. La saga di una famiglianellaprovinciasvedesedel primo Novecento. Introduzione di Carlo Emilio Gadda. « Supcrcoralli •• pp. xxm-239, L. IJ ooo. Raffaele La Capria Tre romanzi di una giornata. Tre età di una vita, tre momenti di uno scrittori!, tre aspetti di questi nostri anni. • Supcrcoralli •• pp. 303, L. 18ooo. Andrea De Carlo Uccelli da gabbia e da voliera. « Quasi senza accorgercene ci lasciamo trasportare in un romanzo d'amore e d'azione, che non tradirà la nostra attesa». « Nuovi Coralli•, pp. 229, L. 8ooo. Tre classici AleksandrPuskin, Poemi e liriche, versioni, introduzione e note di TommasoLandolfi. « NUE •• pp. XXI-486, L. 20 000. Emily Dickinson, LeÙere. 18451886. Le sue lettere partecipano della natura della sua poesia, ne hanno la densità e la ricchezza espressiva. «Struzzi•• pp. x1x-178,L. 6ocx,, William Butler Yeats, ]ohn Sherman. Dhoya. Attribuito a un fantomatico folletto, il libro si compone di due racconti: nel primo Yeats indaga la realtà, nel secondo ci introduce in un clima leggendarioper narrare le vicendedi un gigante. «Centopaginc•, pp. XXXH19, L. 7,00. Arte romanica Meyer Schapiro. Arte romanica. Una lettura puntualedeglielementi espressivie formalidell'arte medievale. «Saggi•• pp. xxm-409, L. 42 ooo. Rivoluzione inglese Lawrence Stone, Le cause della rivoluzione inglese. r529-1642. L'analisi, condotta da uno dei maggioristorici sociali inglesi,del conflitto che ha segnato l'inizio delle «Grandi Rivoluzioni•· «PBE•, pp. xm-2o8, L. 9,00. Cultura russa La cultura nella tradizione russa del xtx e xx secolo. A cura di D'Arco SilvioAvalle. Un insieme di studi di semioticae storia letteraria che ricostruiscono il lungo percorsodi una ricercache va da Veselovskija Bachtin a Lotman. « Papcrbacks •, pp. VI·4JO,L. 2, ooo. Mondo arabo E. Ashtor, Storia economica e sociale del Vicino Oriente nel Medioevo. Dalle cronache arabe ai documenti d'archivio delle grandi città mercantili dell'Europa vengono in luce le trasformazionidella società islamicamedievale. « Biblioteca di cultura storica•• pp. xv136,, L. J, ooo. Alternativa socialista Raniero Panzieri, L'alternativa socialista. Gli scritti e gli interventi di un'esperienza politica e teorica fra il 1944 e il 1956. «Saggi•, pp. XLIJl-199, L. 20 000. Freud e Lacan FrancescoOrlando, Illuminismo e retorica freudiana. «La ricerca critica. Le:ttcratura•, pp. v227, L. 8,oo. Jacques Lacan, Radiofonia. Telev1s1one. «Nuovo Politecnico», pp. IX·IIJ, L. ,400. • .alfabeta ,i, 36 maggio· I 982 pagina I 2 - Cfr. Tadeusz Kantor Wielopole/Wielopole Milano, Ubulibri, 1982 pp. 184, lire 22.000 Carmelo Bene Pinocchio Firenze, La casa Usher, 1982 pp. 155, lire 15.000 Rossella Bonfiglioli Frequenze barbare Firenze, La casa Usher; 1982 pp. 222, lire I 8.000 Il teatro si mette in scena.nell'editoria. Non è una novità, si potrebbe dire: da sempre esistono collane di classici o di novità che pubblicano i testi teatrali. Ecco, proprio qui sta il punto. Il teatro stampato è sempre stato un teatro che ha messo in secondo ordine il problema della rappresentazione di un testo da parte di qualcuno. È stato invece un teatro inteso come opera di un autore che scrive una sceneggiatura, e che il libro rende disponibile a qualunque nuova replica o adattamento da parte di qualunque interprete. Al massimo, nel passato esistevano le indicazioni (scritte) di regia da parte di un regista determinato: ma anche in questo caso si trattava semplicemente dell'affiancamento di un secondo autore-scrittore accanto allo scrittore originario. Oggi si sta dando una nuova forma di pubblicazione dell'opera teatrale, con un concetto di «autore» radicalmente mutato (ovviamente perché è mutato il concetto di «autore» anche in teatro). L'opera teatrale, in sostanza, viene intesa come un evento visivo. Viene intesa come una performance con i caratteri artistici della unicità e irripetibilità. I suoi «autori» dunque non sono più solo scrittori del testo, ma anche gli interpreti. E gli interpreti, d'altro canto, non sono solo gli attori ma anche gli scenografi, i musicisti, i tecnici delle luci. Insomma: l'opera non solo si fa performance, ma si fa anche oggetto di fruizione multimediale. Il teatro stampato riflette questo mutamento di prospettiva, e i testi puntualmente si spettacolarizzano, con immagini doviziose, con analisi visive, con spartiti. Ho scelto tre esempi che mi paiono già dei classici di una simile editoria teatrale nuova. Ed essi appartengono per l'appunto a due piccole case editrici che in quest'area si stanno distinguendo per la buona qualità dei loro prodotti: la Ubulibri di Franco Quadri, e la giovane cooperativa fiorentina La casa Usher. Ubulibri presenta l'ultimo lavoro di Kantor. Esempio straordinario di come un testo teatrale non sia più un testo, ma una semplice memoria, un insieme di •'''••~~i _y_u, ,·_,"'~'•'.1. '.\,. ·'•·•~I) l \J Bitpl10LecagInoo1anco regole generali, che poi la pratica della effettiva messa in scena realizzerà compiutamente. Magari dipingendo scene e frammenti, come in una serie di quadri: le foto di questo volume sono in effetti un saggio di pittura, un esercizio di composizione e di pennelio. La casa Usher invece propone due modi diversi di intendere il libro spettacolare: una è quella di Carmelo Bene, dove la sceneggiatura, il lavoro filologico sul testo e la pratica dell'attore come demiurgo si coniugano perfettamente; l'altra è quella dei Magazzini Criminali, uno dei gruppi d'avanguardia più colti dell'ultimo periodo italiano. Qui la curatrice, Rossella Bonfiglioli, ha addirittura eliminato le sceneggiature, sostituendole con schede riassuntive dei singoli lavori. Tanto basta: l'opera vera sta nell'assemblaggio di tecniche e strumenti teorici, descritti nel volume dai membri del gruppo stesso e da una serie di critici e operatori che comprende Alessandro Mendini, Franco Quadri, Giuseppe Bartolucci, Franco Ruffini, Franco Bolelli. Bastano i nomi per proiettarci nella filosofia «postmodern» del caleidoscopico gruppo teatrale fiorentino. Omar Calabrese Esther Nyholm Arte e teoria del manierismo. Il. Idea Odense, University Press, 1982 pp. 262 + I 06 tavole, s.p. Nel 1977 chi scrive qui recensì il primo volume dell'opera della studiosa danese, che si intitolava come questo, ma aveva il sottotitolo Ars naturans; si era messo in rilievo allora la eccezionale conoscenza della storia dell'arte italiana per il periodo 1520-70 da parte di questa specialista di Odense. Il nuovo volume è dedicato al resto del Cinquecento e al primo decennio del Seicento, sicché è coperto cosl tutto il periodo in cui le arti si caratterizzano in funzione del manierismo, fenomeno di cui si studiano le differenziazioni sia dal precedente Rinascimento sia dalle successive manifestazioni dell'arte barocca. Questi nessi col prima e col dopo sono messi in luce non solo col ricorso all'esemplificazione artistica, ma con resame a fondo di tutta la letteratura dei trattati d'arte; mentre per il primo periodo conta vistosamente il coinvolgimento dell'osservatore, cioè del pubblico, il che ha particolari riflessi sul piano ideologico-pragmatico della Controriforma, nel secondo predomina il controllo razionale dei contenuti dell'opera d'arte, l'aspirazione alla precisione iconografica e, a livello teorico, si individuano due modi di impostare il problema del significato dell'opera stessa. La Nyholm, che sempre dà prova di saper far parlare i dati eruditi, organizza il suo discorso in rapporto alla questione squisitamente storica e insieme semiotica delle relazioni fra autori, committenti, opere, trattatisti, pubblico; in più l'orizzonte alla fine del libro si allarga con un esame intelligente del manierismo fuori d'Italia. Impossibile rendere in una segnalazione i pregi di un discorso critico sottile, originale, che non si stacca mai dai testi e li fa parlare, illuminati dalla lunga riflessione teorica dei notevoli trattatisti del periodo manieristico. Da questo libro si conferma la nozione di manierismo come movimento a sé stante, con suoi caratteri specifici e una sua evoluzione per circa un secolo. m. c. Franco Cordelli I Puri Spiriti Milano, Rizzoli, 1982 pp. 167, lire 9.000 Tra i romanzi della crisi e critica del romanzo apparsi da noi tra gli ultimi anni 70 e questi primissimi 80 (scritti con sagacia sperimentale oppure composti con puntigliosità e metodi scolastici o magistrale sapienza, per un esame d'ammissione o a concorso delle altissime cattedre della semiotica e della fenomenologia, del lacanismo o dell'irrazionalismo tutto rimontato, e con esattezza più che scientifica, su desideri noovi, tanto nuovi da essere vuoti) questo I Puri Spiriti di Franco Cordelli spicca nettamente per l'originalità e la fondatezza delle motivazioni e della scrittura. Se ne distacca alto per la perfezione della macchina romanzesca quale risulta e agisce nella compenetrazione progettuale e letteraria di tutti gli organi e facoltà poetici, linguistici, sociali. La precisione e la portata di questa macchina sono cosl determinate e misurate da risultare chiarissime anche nella tabella illustrativa, e delle istruzioni per l'uso, applicata sul retro, una fitta pagina sulla quarta di copertina del libro. «Ciò che conta è il romanzo• vi è scritto alle conclusioni. E per davvero il romanzo si staglia e s'impone alla fine della lettura; come già appare intero al di là di qualsiasi riconoscimento, sorpresa o calcolo che via via si siano imposti, necessari e anche definitivi, lungo il percorso narrante, e sui modi e tempi della lettura stessa. Cordelli non costruisce soltanto, con libertà e con ordine, il tratto, le tendenze, gli spazi di ogni modulo e raccordo (narratore, tempo, senso, combinazione) ma anche e insieme il materiale confacente, parola o pagina adatte, cumulo verbale amalgamato o franto, ossessiva, triviale indulgenza, verbo coagulante o isolante, nome, data, interruzione. Vorrei aggiungere solo, dovendo contenermi nel poco spazio qui sopra, una nota per sottolineare (non certo per staccarne la qualità come riconoscibile e valida di per sé) il pregio della lingua e la bellezza di tutta la scrittura. Insieme individuano e stringono il narratore, ciò che pensa e narra, azioni e rapporti, ambienti; e così, proseguendo senza disperdersi, qualsiasi altro dato e intervento, continuazioni e mutamenti; la sovrapposizione, l'opposizione e la distanza di altri narratori e narrazioni, le consonanze concentriche o marginali, le interferenze esterne, le punte aguzze di nuovi sistemi, contrari e divergenti. La bellezza della lingua (molto composita) e della scrittura (agile quanto sfrangiata, trascinante, impigliata) - non posso non indicare i movimenti iniziali della terza parte del libro, quelli d~l tradimento e della gelosia - costituiscono l'essenza della materia prima di tutte le vicende, la nota chiave di ogni coscienza e delle varie esperienze, narranti o narrate. Come letterariamente è giusto, sia nella tradizione che nell'innovazione, sono proprio esse insieme che compongono l'agente più attivo delle lavorazioni e delle conoscenze di questo assiduo, irrevocabile romanzo. Paolo Volponi Andrea De Carlo Uccelli da gabbia e da voliera Torino, Einaudi, J 982 pp. 228. lire 8.000 Dopo Treno di panna, Andrea De Carlo pubblica un nuovo romanzo Uccelli da gabbia e da voliera. Teatro della narrazione è questa volta Milano, una Milano contrassegnata dai giri del commercio internazionale e dal terrorismo: un paesaggio astratto, abitato unicamente da gente frettolosa, stranieri sradicati, proletari sul punto di partire per l'Australia. Ma il luogo, come la Los Angeles di Treno di panna, finisce con l'apparire come uno scenario indifferente e intercambiabile. Ciò che l'autore vuol presentarci sono le figure dei suoi personaggi, le loro passioni carnali e psichiche, l'ostinatezza con cui perseguono i loro scopi minimi o maggiori. Ciò che ne risulta è una lettura della quale si può affermare senz'altro la gradevolezza, ma che si ferma a questo punt_o. Una volta, per narrazioni di questo genere, si adoperava la formula «tranches de vie»: una formula che scartava, o metteva in secondo piano, le esigenze della elaborazione letteraria, la faticosa costruzione della parola, delle immagini, degli echi e delle rispondenze. De Carlo, al contrario, sembra voler privilegiare i «fatti», sia in senso cronistico che psicologico, assumendo quasi a modello lo stile americano dei migliori thrillers. È una scelta rischiosa, ma può anche essere l'inizio di una reale vocazione di narratore. Non rimane che aspettare De Carlo a una nuova, e si spera più meditata, prova. Michelangelo Coviello Grossomodo Mario Spinella Milano, Savelli Editori, 1982 pp. 80, lire 4500 Grossomodo, la cosa si presenta così: da una parte il poeta con le sue fantasie, sogni, visioni ecc. dall'altra il corpo, del poeta, i suoi ritmi, stasi, le sue macchie ecc., da una parte l'orchestra, dall'altra la danza. Il libro di Michelangelo Coviello mi pare che si muova in questo spazio, della danza, disegnando geroglifici e figure, ma «senza agitarsi un gran che», e qui è il fascino. C'è molta grazia in questa poesia, di un elfo che si muove sulle acque, guizza, inciampa, nella sintassi per es. dove non è l'anello ad allineare il verso ma il buco, come fili, sull'erba, i «ricordi» («c'era il prato c'era la merda il prato verdemerda» ), nel lessico, P9Verissimo, e su cui il ~itmodeposita movenze quasi barocche, l'uso parossistico di stilemi come la ripetizione o l'accumulo, a ventaglio, per via di volta i:i volta semantica («ruvido duro ondulato») o assonantica («stelle frittelle pupille») e della variazione portata al punto da diventare il motivo ultimo della poesia (si veda «Variazioni su un tema di Lumelli», a chiusura del libro). E non per fare musica, ché «affar nostro è la forma». Ma se la fantasia è rifiutata («estinta ogni traccia del fantasticare») non per questo scompare che, anzi, si fa mito, trasporta nello spazio del mito le sue «note» o mitemi, come nelle composizioni «Hermes» e «Sugli elementi» dove a contare non sono più le fantasie degli altri sul poeta o le fantasie del poeta su quelle degli altri ma ilvocabolario stesso del mito, incluso il «c'era una volta ...» attraverso cui il poeta scioglie la memoria nel canto («Ti prego tu che leggi ti prego/accogli me che canto e canto/»). P.S. Si sa che nelle società primitive la danza aveva una funzione magica, apotropaica, serviva a scongiurare il male, a parare alla collera degli dèi. Come la poesia, questa poesia. Coviello è un coreuta, è chiaro. Solo che la sua maschera non è per far paura, vuole essere propiziatoria, e bisogna ammettere che ci riesce benissimo. Alla malora!... Vincenzo Bonazza
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