Lepagine~,t~ultura (Il) Panorama: Maria Luisa Agnese Questa serie di intervistesull'informazione culturale nei media è cominciata sul numero precedente (aprile 1982, n. 35) con interventi di Rosellina Balbi per la Repubblica, e di Michelangelo Notarianni e Severino Cesari per il Manifesto. D. Qual è il peso della cultura nella economia generale di Panorama? Agnese. Tra i periodici italiani, Panorama è il più newsmagazine di tutti. Quindi, almeno in teoria, dovrebbe mettere la cultura sullo stesso piano degli altri argomenti, senza risentire di quella impostazione idealistica, che domina in Italia, per cui invece la cultura viene considerata una cosa più «teorica• delle altre. Infatti, a Panorama, la cultura è una testata particolare, che non comprende tutti gli argomenti «teorici• (scienza, costume...), ma solo i fatti specificamente culturali, come libri, dibattiti, convegni. In altri giornali, questo non succede: sia nell'Espresso, dove l'«occhiello• cultura comprende di tutto, sia nella Repubblica, dove il paginone centrale comprende anche argomenti scientifici e di costume. È però vero che anche da noi la cultura è sciolta in altre pagine. Per esempio, ci sono alcuni articoli di scienza, che hanno una impostazione rulturale; poi ci sono altri «occhielli> («documento•, «primo piano•, «personaggi• , «dibattito•) che, molto spesso, sono ispirati dalla rultura: per cui c'è un «documento• che magari è un'intervista a Popper, un «personaggio• che è un ritratto di Matte Bianco ... E c'è la parte iniziale delle rubriche, che negli altri giornali è più organica, cioè viene accorpata nelle pagine di cultura. Quindi, è come se ribaltassimo il discorso di prima: non è vero che la cultura sono solo quelle quattro o sei pagine, ma è diffusa un po' dappertutto nel giornale. D. E come viene coordinato tutto questo _raggiodi interventi? Agnese. In realtà, attualmente, il responsabile di cultura non coordina tutte queste cose. Panorama è un giornale molto lavorato, richiede un grande impegno nella riscrittura, nella impaginazione, nella omogeneizzazione dei pezzi, e ci sono poche persone rispetto alle esigenze del giornale (bisogna tener presente che in settimanali comeSpiegel o Time l'organico è quattro-cinque volte maggiore, dall'archivio, ai servizi fotografici, sino a quelli che scrivono materialmente i pezzi ...). Per tutti questi motivi, non è Le voglie puntigliose di Alfeo narra Ovidio fra gli altri. Per raggiungere la fuggitiva Aretusa, ninfa fatta fonte in Siracusa, riusci quest'individuo esasperato nell'amore, mutandosi in fiume, a scorrere dalla Tessaglia fino alla Sicilia sotto il mare, conservando incontaminata la dolcezza della sua corrente dalla salsedine. Queste canzuni ripercorrono nella lingua la storia di questa diaspora. In un siciliano teso fino all'ipercorrettismo, e che si modella sulla grafia cinquecentesca, s'innervano cosi relitti lessicali del greco classico, immaginati traslitterati in un latino da cui riemergere con gli esiti volgari. A questo i cultori di malebolge aggiungeranno il giusto repertorio di rime chiocce. Su tutto grammatiche discipline e l'ossequiata voce di Antonio Veneziano. Gabriele Frasca possibile che il caposervizio di cultura controlli anche le rubriche. Io credo che, nel rispetto dell'autonomia dei titolari, lo schema potrebbe essere reso più agile e soprattutto obbedire un po' di più a esigenze informative e non solo di giudizio critico. D. Sul problema degli anico/i. Panorama /i lavora moltissimo, e insiste su una certa forma di anonimato (per esempio, nel sommario non compare il nome degli autori...) Agnese. E' una eredità dei newsmagazine anglosassoni, dove raramente gli articoli sono firmati, nella convinzione che il giornalista sia al servizio del lettore, piuttosto che della sua vanità. Però, il giornalista che si mette il saio, che si annulla nel giornale, è un'anomalia in Italia, dove il giornalismo è tutta una questione di stelle e di firme. Anche a Panorama, del resto, sta un po' impallidendo il mito del giornalista «francescano•, che pensa prima al giornale che a se stesso, un mistico della macchina per scrivere. C'è un processo di adeguamento della formula del newsmagazine allo specifico Italia. Alcune caratteristiche, però, sopravvivono nella confezione degli articoli. Prima di tutto, c'è una specie di regola interna, che dovrebbe puntare all'allargamento del potenziale mercato dei lettori: più cose si spiegano, più si è «popolari•, anche se alto-popolari, e si raggiunge un pubblico di lettori che va dai quattrocentomila in su. Quando si è introiettato con più o meno fatica questa specie di orologio interno, si cerca di fare un pezzo già in formula. Ma ancora ci sono vari controlli: il mio, che sono responsabile della cultura, quello di un redattore capo delegato alle pagine culturali (non nel senso che vessi o intervenga, ma perché è responsabile quanto e più di me delle cose che escono), quello del direttore. Ci sono più vestali della formula ed è fatale che siacosi, perché è facilissimosbagliarla. li limite è impalpabile: a leggerla sembra facile, ma c'è sempre il rischio, nel realizzarla, di cadere nella caricatura. Secondo me, per gli articoli strettamente di cultura, si potrebbe fare un salto di qualità sul piano stilistico, ma non è facile: quando si chiede di aprire un poco le maglie della formula, è molto difficile tenere più alto il livello, invece che abbassarlo. D. Questo «anonimato» stilistico non risulta frustrante per i redattori? Agnese. Chi è il giornalista culturale? Beniamino Placido o Filippini? oppure il giornalista dell'Espresso? oppure siamo noi, che facciamo informazione culturale, cercando insieme di offrire una interpretazione dei fatti? Spesso c'è una pazzesca confusione dei ruoli, e il nostro merito è a mio avviso di confonderli il meno possibile (per esempio, ogni tanto pubblichiamo delle «opinioni», oppure negli articoli ci sono riquadri firmati di personaggi diversi dai redattori che possono scrivere anche fuori formula). E' possibile, allora, che il redattore si senta frustrato. Da noi, il redattore di cultura è frustrato due volte rispetto a uno di politica o di economia: è sempre a contatto con stelle della penna, con geniacci, e a Panorama deve indossare il saio, eliminare i giudizi, uniformare lo stile. Fuori, però, c'è molta confusione: il giornalista culturale è una specie di star che interviene in prima persona, esprime le proprie opinioni più che raccontare i fatti. Questo anche perché, nonostante i tentativi, le riviste culturali vere e proprie, che hanno un peso nel dibattito, stanno scomparendo; e allora tutto si confonde: il dibattito o non c'è, o si esaurisce in una polemica giornalistica. Prima gli intellettuali, Alberoni, Eco, Vattimo avevano due registri, quello scientifico e quello giornalistico-provocatorio, piu spettacolare. Adesso, per l'accelerazione dei tempi, il dominio dello spettacolo, il cambiamento dei giornali, tutto tende a ridursi al secondo aspetto. D .Cioè, scompare la figura del giornalista di cultura come mediatore, e l'intellettuale diviene il giornalista di se stesso ... Agnese. Sì, il mercato gioca d'anticipo, e bisogna stare attenti a non andare a rimorchio, a non fare semplicemente da megafono alla vedette di turno che fa il libro e poi ne dà un pezzo a te, un pezzo a un altro, e a un altro ancora l'intervista. Gli stessi autori ipotizzano degli scenari. E il giornalista che strade ha? Non molte, perché anche la scelta di non fare il servizio è una non-scelta, altrettanto coatta. Diventa lo stravagante che per principio fa altre cose: ma per quale principio, e quali cose? O.Quindi bisogna, più che cercarele notizie, prepararsi a parare, di settimana in settimana, gli attacchi del «mercato». Agnese. E' lo stesso meccanismo che, mutatis mutandis, si verifica rispetto al mito dello scoop: li c'è la talpa che dice «dò il documento a te e non ad altri», e nella cultura c'è l'addetto stampa che dice «dò le bozze solo a te». Dato che gli intellettuali inseguono il mito della comunicazione e della spettacolarità, cercano gli organi che hanno l'audience più vasta possibile. Non vietano certo a una rivista culturale di parlare del loro libro, ma gliene importa poco. L'intellettuale, in prima battuta, insegue La Repubblica, il Corriere, Panorama, L'Espresso; in seconda battuta, arriva a Sorrisi e Canzoni e a Famiglia Cristiana (non è più vergognoso); in terza battuta giunge alla televisione. L'esempio di questo meccanismo è la copertina di Capitai ad Alberoni, che secondo me da tempo è l'intellettuale che ha mostrato la maggiore spregiudicatezza rispetto all'informazione: non a caso è il primo ad arrivare sulla copertina di un veicolo di quel tipo. D. E voi, in concreto, come reagite a questo stato di cose? Agnese. Di volta in volta si gioca di fantasia, cercando di evitare le cose più ovvie, il solito pezzo, la solita intervista, e di dare al lettore qualcosa di più (o si ha una idea nuova, oppure si inserisce il fatto in un panorama più vasto, oppure si mettono insieme più libri, si cerca un filo rosso, un percorso tra più avvenimenti). Ci si diverte, anche, a dribblare in questo campo, sapendo di avere in mano una macchi- "if-~·:, :t\ ~~ .. na potente. E' importante avere la sensazione di decidere, di proporre al lettore una bussola per muoversi in un universo di sollecitazioni: individuare temi e dibattiti che durano, che non sono destinati a morire nello spazio di GabrieleFrasca 3 5 un giorno. A volte,si crede di aver deciso liberamente, mentre si era presi in un meccanismo ancora più grosso: l)0n dimentichiamo che il sistema internazionale delle comunicazioni di massa, dal Giappone agli Stati Uniti, è il fatto nuovo con cui bisogna fare i conti, per capire i meccanismi culturali degli anni ottanta. Comunque, bisogna cercare di porre delle condizioni al mercato, di l)'landare avanti idee mediandole, ripensandole. Ma non sono convinta che il giornalista culturale agisca in prima persona, e trovo ingenuo chi lo pensa. Non siamo operatori culturali in senso stretto, abbiamo l'obiettivo della mediazione. E poi, ormai, in Italia e nel mondo, di intellettuali ce ne sono pochi. Quindi, chi gioca a fare l'intellettuale, sbaglia; se invece, più realisticamente, fa solo il suo lavoro, lo fa anche meglio. E' importante avere una specie di orologio professionale, sapere che nel giornale in cui si lavora c'è una determinata formula, che bisogna rispettare senza che la cosa crei problemi alla psiche. Occorre capire che ci sono vari linguaggi, e che un certo linguaggio è stato scelto per coprire una fetta di mercato, soddisfare un tipo di lettore. D. Ancora una domanda, sulle fonti di informazione: vi servite molto dei giornali stranieri? Agnese. Vorrei che li guardassimo di più. Sarebbe uno dei pochi modi per rendersi indispensabili. Però, è un problema,perché i giornali arrivano in ritardo, e non è neanche giusto copiarli tout court. I giornalistranieripossonodare spunti e idee ma bisognerebbe avere altri mezzi, degli uffici all'estero specializzati anche nella cultura, oppure potersi muovere di più. Almeno a Parigi e a New York, bisognerebbe avere oltre al corrispondente, anche una spalla per la cultura. E poter coprire meglio i paesi dell'Est, i paesi emergenti, per cui è difficile trovare persone specializzate: chi fa cultura oggi in Italia non è attrezzato per questo, abbiamo tutti una formazione molto vecchia. D. Per cui l'informazione è satura sui fatti italiani, e scoperta per l'estero? Agnese. Si. Bisognerebbe fare una rivoluzione copernicana. Invece di dibattersi come topi impazziti nella gabbia delle sollecitazioni italiane, andrebbe assunta un'ottica internazionale, per quanto, come abbiamo detto prima, attenta e critica. Fare i conti, insomma, con quel sistema internazionale di comunicazioni di massa. Se ne ha abbastanza di inseguire false polemiche, libri che escono, mode culturali, crisi della ragione ... Intervista a cura di Maurizio Ferraris Li Alfeo Canzoni I Ti chieru, t'arricercu, anzi ti vogghiu E pir vuliri misgu duci spruuu Agri! chi mentri autrui tutta ti xhippa E prinni e fatti, corimo si muffa E attinni stuxhiu c'a duliu l'inzippa, Cottu e iscoiatu abbrusu comm'a sticcu Chi sizza e soxhia a focu chi l'accocchi, E Jlighitatu stridu tantu e siccu A fu sa/atu mari, 'ntra lo scogghiu E la rina mi rudu e ddà grungriuzzu; Crìu e dacriu e mi disperdu e spogghiu La vogghia mea, scurrennu, e mi minuuu, Chienu e chenusu senz'a tia m'addogghiu, Finu a 'na pioggia morta chi mi chiuuu. 2 Undi mai ti ndi ghisti madarusa A xhiogghierti pighisa, cu nu spiru Ti giungu e cu mimoria, e fauu fusa A fu simbionti chi mi forgiu e 'nciru, Sullu fu mari, la giustra mia zurusa. E tu nun plu faijri in largu e in giru Ma dammi a mia l'emblèmmatu chi dusa A l'occhi mei fu giullru in cui ti miru. Chi in autri larghi e a mia faci la ruffa; Ma su' ghiuscherratusu e nun m'inchippa Mari ni a mia canfanni quannu azzuffa. Deh ,'jammu, chi si aipegghia la soa trippa Faci, la vucca mea autre si ndi scuffa! 4 Ghiuteni vacu zilannu a tia, ricca Vogghia e surgenti, e fu vufiu mi succo 1/iutigghiuntu, e la spiranza ficca Fin quannu cansu Sufi nun si cucco. Si pioli minu annanzi, Sognu ficca Lu visu tuu narchissu chi m'allucca: «Dormi! chi speri?», e focu mi s'appicca A fu sdignu grummatu ni la vucca. Chi brollu aggiu fu cori e arsi li vocchi. Cui mira chi fu visu mi fu briccu, Ghiudrimanti si faci pir chiss'occhi E vidi fu runcigghiu e fu lambiccu Chi mi 'mprigiuna e chi mi mini e 'ncocchi. 6 Mentri chi ducimenti chiù s'arancia Lu Sufi e già l'occasu si nd' arrusca, Mentri 'na petra nera già si mancia Lu letti di l'orienti e si l'offusca, Quannu fu cori a vattiri s'arrancia Fori l'animu faij chi dintr'attusca; Ghiò a mia a mia, ch'exiliu tuu mi smancia E schianta via comu si schiatt'a muscà. B1bliotecag1nob1anco alfabeto n. 36 maggio I 982 pagina I I
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