Alfabeta - anno IV - n. 35 - aprile 1982

Il casoMoravia Si può legittimamente affermare che esisteun casoAlberto Moravia, un caso letterario, naturalmente, ma non solo letterario, di cui si avverte la presenza sotterranea, come quella di un macigno invisibile che nessuno ha il coraggio di toccare e che si preferisce aggirare, come fosse davvero invisibile. Ora, dopo la pubblicazione del romanzo 1934 e per quanto lo ha preparato e lo ha seguito, interviste e interpretazioni, eperfino la divulgazione di una variante del finale, non credo sia più possibile far finta di nulla e ci vorrà finalmente qualcuno che gridi, con tutta l'ingenuità, ma anche la verità, possibile: «Ma il Reè nudo!». Maperché il grido disvelatore possa essere davvero tale occore che tutti si accorgano che il re è davvero nudo e la stranezza del caso è tale che bisogna dimostar/o, non basta addiJarlo. È un'illusione dell'abitudine, dell'assuefazione: siamo talmente condizionati a vederlo nudo e a tollerarlo, che non lo vediamo più come nudo, la nudità medesima è diventata la condizione normale del re. Come il macigno che ho detto: è invisibile perché abbiamo tacitamente stabilito di non vederlo. Non è più possibile far finta di nulla perché 1934segna il livello massimo di guardia, tra la scrittura narrativa e la sua assenza, mentre lo si celebra come «romanzo». Direi, anzi, che lo ha di molto superato questo livello e che I' assenza della scrittura s'impone per una sua incontestabile evidenza, a apertura di pagina. Molto opportunameme. proprio in questi giorni, Enzo Siciliano, in uno scritto critico dedicato alla questione, falsa, del «ritorno» del privato in letteratura, ha sottolineato che la «letteratura... quando pure venisse finalizzata a uno scopo, resta tale per una questione di linguaggio, per quella ineliminabile sua 'naturalezza' o individualità stilistica che ciascuno può sperimentare a apertura di pagina. sia poetica, sia narrativa.» (Corriere della Sera, 12.3.82). Desidero solo aggiungere che a una lettura più attenta, che nel caso di Alberto Moravia è doverosa (in molti altri casi un libro viene richiuso subito, come correttamente suggeriva Renato Serra, sostenendo che un vino cattivo lo si capisce al primo sorso e che è inutile bere tutta la bottiglia...), si ha la inoppugnabile conferma che la «finalizzazione della letteraturaa uno scopo» sottrae alla scrittura narrativa la sua caratteristica fondamentale, quella di essere creativa, e per creativa si intende una scrittura che cerca solo nel momento sono sinonimi, oppure ci sono anche altri criteri di scelta? Balbi. Come ho già detto, se si produce qualcosa, deve essere ~empre connesso con un evento. Naturalmente, la cosa può essere connessa a un tema che non è nuovo, di cui magari noi stessi abbiamo abbondantemente parlato. Faccio un esempio qualsiasi, la sociobiologia, di cui ci siamo occupati molto, o il problema dell'intelligenza. Quando è uscito il libro del dibattito tra Eysenk e Kamin su questo argomento, lo abbiamo riproposto. Quindi si tratta di un argomento che in un certo modo è nuovo, ma anche vecchio. Però, probabilmente, se non ci fosse stato quel libro, non saremmo tornati su un filone già trattato. D. Qual è l'azione degli uffici stampa delle case edilrici? Balbi. Fanno il loro mestiere. Devo dire che le vendite in libreria sono del suo darsi lapropria direzione, i sentieri da percorrere e, eventualmente, da interrompere. La scrittura narrativa finalizzata non può, invece, che adattarsi perfettamente al suo scopo, trasformandosi in una macchina che fornisce quello che lo stampo impone. Una differenza, per cosi dire, strutturale. La domanda che preme è questa: «Come è possibile che un autentico scrittore come Alberto Moravia possa ridursi a macchina?». Che Moravia sia uno scrittore di talento lo si capisce fin dalle prime righe dei suoi scritti di viaggio e faccio t111 esempio per ltltti. quel capolavoro che sono le Lettere dal Sahara. Per quali tortuose vie egli invece riesca a dimenticare, anzi: a rimuovere, la sua creatività, in funzione di una costruzione progettata come «narrativa» è quello che vorrei capire e far capire. Mi pare che una buona indicazione per lastrada giusta ci venga dalla recensione di Paolo Milano (L'Espresso, 28.2.82) che comincia così: «Si discorreva tra amici (tempo fa, presente lo scrittore), delle alte tirature dei libri di Moravia, quando uno di noi gli chiese: 'Chi sono, secondo te, i tuoi lettori?' Rispose lui: 'Non l'ho mai capito; ma. sepenso al loro numero, debbo dire che I miei lettori sono queUi che si chiamano 'le masse'.» abbastanza influenzate dalla presenza delle nostre recenzioni. È ovvio che gli uffici stampa facciano delle pressioni. D. E quanto pensa che sia determinante una recensione su Repubblica? Balbi. Non esageriamo. Le recensioni su Repubblica, il giorno in cui il pezzo esce, ravvivano le vendite. È chiaro che se il libro è buono, poi tiene indipendentemente da quello che abbiamo fatto noi. Se il libro è cattivo, scende. Cerchiamo di non recensire libri cattivi, a meno di stroncarli. Forse siamo il solo giornale che ogni tanto stronca qualcuno. Abbiamo criticato 1934 di Moravia ... cerchiamo di avere credibilità. D. Come vi accorgete del successo di un argomento? Balbi. Abbiamo molte lettere. Poi, sono state fatte negli anni passati delle · ricerche in cui si chiedeva ai lettori. B1bliotecag1noo1anco Antonio Porta La recensione di Milano finisce con un'altra indicazione, altrettanto preziosa, ben collegata al suo incipit: «Quel che urge è sfatare la tesi, comune al protagonista del romanzo I934e al suo autore, della disperazione assunta (o degradata?, o promossa?) a norma di vita. Giuoco di prestigio, questo, che al punto d'oggi è forse la massima illusione nutrita dalle borghesi e picco/o-borghesi 'masse' italiane. A questo proposito, Moravia, ha parlato con soddisfazione di 'realismo italiano'. Ma non sarà vero l'esatto opposto? Truccare la disperazione, camuffar/a da 'vita come sempre'. impedisce di coglierne. positivi e negativi, i tremendi frutti.» Più di un'indicazione, mi pare questa la strada giusta. Una prima risposta sembra dunque semplice: Moravia si riduce a macchina narrativa per confezionare un prodotto perfettamente adeguato alle aspettative di un pubblico che vive, o crede di vivere, di riduzioni e di semplificazioni culturali. La macchina semplificante tritura tutto, anche la disperazione, che non può produrre, a quel livello sociale, più nulla, né di buono né di cattivo, perché ha già riprodotto se stessa in forma di sotto-disperazione, consumabile in lattine, come il vino lambrusco rosé, che ha conquistato una fetta di mercato negli Usaperché assomiglia alla Coca-Cola o alla Pepsi. Coerentemente Moravia Devo dire che fino all'ultimo sondaggio le pagine cuiturali erano tra quelle più apprezzate. U Manifesto: Michelangelo Notarianni, Severino Cesari D. Il Manifesto da molto spazio alla cultura, è un dato evidente. Qual è la connessione delle pagine culturali con altre? Le considerate anche un fatto di intrattenimento, di «allegerimento», più «ariose»? Notarianni. Chiunque legga le pagine culturali del Manifesto può constatare che non sono le più «ariose». Corre anzi voce che siano pesanti, e qualche volta noiose. Quando abbiamo impostato queste pagine, abbiamo avuto il problema della cultura del afferma di non conoscere il suo pubblico ma di basarsi sulle tirature e le vendite dei suoi romanzi: la tiratura è il suo volto, cioè la sua assenza. Questo sarebbe il «realismo italiano», come lucidamente denuncia Moravia, e si produce un curioso effetto perverso con questo accostamento fulmineo tra «realismo» e «italiano»: una poetica complessa e ricca di implicazioni come quella del realismo, diventando «italiana» si trasforma in opportunismo, in sfruttamento, a fini commerciali, dell'ideologia (p,vente stretto, questo tipo di realismo, con il linguaggio pubblicitario: la distorsione restituisce le false verità del consumo). Tutto questo si addice allamacchina, al programma, e sappiamo quante implicazioni negative assorba questo termine, programma, quando cancella di prepotenza quello specialissimo tipo di programma che è la poetica. Una traccia, non molto di più, in un'opera riuscita, diventa l'opera stessa, calcolata per fini estranei (le vendite), quando fallisce, irrigidendosi. Ma poco ancora sappiamo sul come uno scrittore, Alberto Moravia, riesca a trasformarsi in macchina, sulle procedure e le tecniche che deve seguire e applicare. Una segnalazione decisiva ci viene da Elvio Fachinelli che ha scritto per L'Espresso (28.2.82, pag. 199) questa breve nota: «Nonostante le dichiarazioni pubbliche dell'autore, il nuovo romanzo di Moravia non mi pare storicizzante. Vi domina piuttosto un'immobilità da acquario, con pesci piccoli che guardano affascinati pesci grandi e viceversa - e in queste descrizioni di stati quasi estaticimi sembra stia la forza dello scriuore -mentre il complicato intreccio risulta alla fine solo uno scorrere di onde sulla superficie. Si potrebbe anche aggiungere che il tempo di questa narrazione è quello di certisogni ricorrenti che, giunti a un punto di blocco, tornano indietro e ricominciano sempre da capo.» Si può osservare subito che se in un romanzo tintreccio risulta «uno scorrere di onde sulla superficie», si annulla il principio stesso della narrazione e ne viene la conferma che una scrillura programmata, cioè assente, non è in grado di narrare ma solo di svolgere, eventualmente, un tema predisposto. Ma il punto focale è un altro, è l'intuizione di Fachinelli sul tempo di una simile narrazione, quello de/.la macchine del sogno ricorrente che ricomincia sempre da capo rinculando dal suo punto di blocco. Si innesta. qui quanto di prezioso Manifesto, e l'idea di andare controcorrente era inevitabile. Siamo usciti nel momento in cui dilagava la crisi del marxismo, i nuovi filosofi, il rifiuto di tutte le esperienze precedenti della sinistra, di quelle comuniste come di quelle socialdemocratiche: un'ondata anche esplicitamente di destra, che nella cultura era anche più accentuata che in politica. Pensa alla Francia, dove Mitterrand ha vinto in un clima culturale caratterizzato da un affermarsi di temi di destra quale non si era mai conosciuto nella cultura francese precedente. Ma anche in Italia, un giornale, come Repubblica, che si colloca nell'ambito di una certa sinistra italiana, ha condotto nelle sue pagine culturali battaglie di destra come quella del quoziente di intelligenza, della sociobiologia, come quella contro il basaglismo e l'antipsichiatria, come quella sulla droga e la Lenad. siamo venuti a sapere, dalle dichiarazioni dell'autore e da coloro che ne hanno seguito il lavoro da vicino, intorno a una questione che si rivela fondamentale: quella delle innumerevoli riscriuure del testo. Moravia ha detto di avere scritto un romanzo perfino selle volte. A quanto risulta nessun narratore è mai arrivato a tanto; mi pare che si conoscano, come limite le tre stesure. Ma a Moravia succede di dover riscrivere un romanzo fino al momento in cui l'ultima stesura risulta essere identica alla precedente. Jn altre parole, il romanzo è compiuto quando si èfissato in forma coatta (come il sogno ricorrente) nella sua memoria. La sicurezza viene dalla prova che, mettendosi alla macchina da scrivere, l'autore si accorge che sarà questa l'ultima volta perché comincia a riscrivere parola per parola la scrittura precedente. Nulla può più mutare esarà solo il successo delle vendite a liberare lo seri/lare dall'incubo di un racconto coatto. È anche il momento in cui l'autore capisce di essersipienamente identificato col proprio pubblico, fatto emblema vivente dell'alienazione, incarnazione del fantasma dell'altro. Vorrei che si osservasse la fotografia qui riprodotta: Moravia che perde visibilmente le staffe nella redazione de L'Espresso. È la sua reazione naturale al 68. lnfaui il 68 tentò, e vi è riuscito in parte, di modificare i rapporti tra produzione e consumo. Ciò sembrò a Moravia una catastrofe, 11011 politica, commerciale. Credo che se Alberto Moravia scrivesse un romanzo senza programmarne il successo (che è invece il suo punto di forza) e senza ottenerlo, ma riconquistando invece l'amata letteratura, sarebbe più disperato e infelice di altri scrittori che, tu/lo sommato onestamente, aspirano a vendere qualche migliaio di copie in più. Fu tale, allora, lo spavento che ancora oggi Moravia sostiene che i nostri mali sono un effe/lo del 68, ormai contro ogni evidenza, e alleandosi, in questa diagnosi obsoleta estrumentale, con le forze conservatrici del nostro paese. Posizione insostenibile per un leader di opinione che siamo abituati a considerare <<disinistra». Per questo motivo, a/l'inizio, ho detto che il caso Moravia non è solo letterario e mi pare che possa infine apparire meno oscuro di quanto si potesse credere. Alberto Moravia 1934 Milano, Bompiani, 1982 pp. 272, lire 12.000 Anche noi abbiamo combattuto quelle battaglie, ma in senso opposto. Questa vale abbastanza anche per/' Espresso e per gli altri giornali, le cui pagine culturali sono state, nell'ultima fase, più a destra delle prime, che pure non erano dei campioni di progressismo. Quindi, il primo problema è stato di andare controcorrente, contro le tendenze in qualche modo spontanee del mercato cuiturale. E questo è un po' noioso. È molto più bello, allegro, di- .vertente andare con la corrente, è capitato anche a noi, in altri tempi, in •altri anni, e le pagine vengono più divertenti, soprattutto più divertite, perché se stai vincendo, o almeno hai l'impressione di vincere, sei più divertente di quando invece resisti e vai controcorrente, aspetti e prepari una fase diversa e successiva. D. Come si è realizzato in concreto questo andare controcorrente? Notarianni. Nel momento in cui si

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