• • Pensare l'antico • Losto1c1smpoer esempio Con l'indicazione «pensare .l'antico», Alfabcta inizia una nuova serie di interventi che si propone di indagare i motivi de/l'attenzione crescente dedicata alla cultura classica e antica da molte discipline scientifiche come dall'industria culturale. Iniziamo con gli articoli di Mario Vegetti, Salvatore Settis, Luciano Canfora, e con estratti da libri di M. Austin/P. Vidal Naquet e di C. Meier. l. «In momenti storici in cui, nell'irrigidimento di un'età tardiva, l'uomo vivo si riscuote sotto il suo guscio, in cui l'ottuso meccanismo esteriorizzato della cultura diventa il nemico dell'elemento eroico che è nell'uomo, allora, per una profonda necessità storica, insieme con la brama di rifarsi alle sorgenti della propria stirpe, deve destarsi il bisogno prepotente di penetrare sino agli strati profondi dell'esistenza storica, dove lo spirito affine del popolo greco si plasmò dalla vita incandescente la forma che conserva sino ad oggi quel fuoco ed eterna l'istante creativo del suo prorompere». Sono parole scritte nel 1933 da Werner Jaeger all'inizio della sua opera più celebre, Paideia, il «manifesto» del Terzo umanesimo. Esse hanno un suono inconfondibile. nel loro tentativo di ridar vita al classicismo con trasfusioni di Bergson, alla lontana, e di ideologia volkisch, popolare-razziale. Quanto al tema del fuoco e dell'eroismo, la data gli conferisce uno sfondo sinistro: il '33 è l'anno dell'incendio del Reichstag e dell'inizio del riarmo tedesco, cui il Terzo Reich devolve in quell'anno metà del bilancio statale. Non è detto, naturalmente, che ogni ripresa di interesse per l'antico (come quella cui stiamo assistendo) debba sfociare nei moduli del classicismo jaegeriano: il sintomo non sarebbe davvero confortante. Ma esistono altre vie al classicismo, meno rumorose, più discrete e non per questo meno allarmanti: da una riscoperta di quella potenza del sacro, di cui parla Mircea Eliade, e che può servire da oblio o rimedio di altre impotenze; fino all'illusione del ritrovamento della Forma compiuta, dell'epifania della Verità, che sembrano capaci di guarire la «crisi» della ragione e soprattutto di surrogarne il lavoro. Tocca dunque agli specialisti - ai quali va riconosciuto un ruolo significativo nella riproposta dell'antico come un continente ricco di interesse conoscitivo e teorico - un compito aggiuntivo: di impedire cioè che questo interesse torni ad assumere le forme ambigue di un classicismo rivitalizzato dopo l'obsolescenza fisiologica conosciuta a partire dagli anni Cinquanta. Del resto, questo compito non fa che prolungare le strategie con le quale negli ultimi due decenni è stata condotta, e rinnovata, l'esplorazione di quel continente, dall'antropologia sociale alla linguistica all'analisi dèlle ideologie, con il loro comune stile materialistico. Dove per materialismo si intende non soltanto, e non tanto, l'accento posto sui livelli di sviluppo delle forze produttive, sulla circolazione monetaria, sui conflitti di classe, quanto l'indagine sui modi di funzionamento complessivi delle società antiche - nella loro specificità precapitalistica - e sulle forme che al loro interno assume la produzione culturale. Si tratta allora di pensare, per esempio, il senso della liberta antica nel rapporto strutturale che la connette alla schiavitù; o di comprendere il ruolo di comando che la politica svolge nei riguardi del sociale e dell'economico; o ancora di individuare il ruolo strutturaie che l'ideologia svolge nei meccanismi di riproduzione sociale, al posto dell'apparato statale o al fianco di esso. Culture e saperi antichi andranno letti, a loro volta, nel contesto delle pratiche sociali, delle strutture istituzionali, delle modalità di espressione (orale o scritta, in primo luogo), al cui i.nterno prendono forma. E andrà dipanato lo straordinario intreccio di arcaismo e modernità che costituisce le une e gli altri: una religione, per esempio, fatta non di teologie ma di riti, e di riti connessi, come nel caso del sacrificio, alle pratiche alimentari della città; saperi fittamente contesti di pensiero magico. polare. analogico; insieme, e per contro, una strana eccezionale capacità di visione della forma invariante, di produzione della trasparenza del reale, di costruzione di una razionalità «retta», anatomico-geometrica, o marziale come dice Serres, accanto ad altre sue forme oblique, astute, persuasive. Invece di separare, in tutto questo, ciò che è «puro» da ciò che è storicamente condizionato, ciò che è perenne da ciò che è caduco, secondo l'illusione del classicismo, lo sguardo materialistico indaga la coerenza dell'insieme, il rapporto inscindibile tra pratiche sociali, forme di cultura, segmenti di sapere, la loro reciproca funzionàlità;ma anche, contro ogni riduzionismo «volgare», la specificità, la relativa autonomia, se mai l'inerzialità delle une e degli altri. Una sequenza in qualche modo «stratigrafica» può costituire il modello di questo tipo di lettura. Ci sono ideologie dall'enorme estensione e durata, come quella, legata ai ruoli sessuali, dell'inferiorità naturale della donna: esse penetrano fino all'interno del discorso scientifico più serrato, facendo dire per esempio al sobrio Aristotele che la donna ha Bibl1otecag1nob1anco Mario Vegetti meno denti dell'uomo; ci sono ideologie propriamente di classe, come la convinzione aristocratica dell'inferiorità del lavoro manuale e tecnico. E ci Sono ideologie di raggio più limitato, come quelle proprie di un ceto professionale (ad esempio dei filosofi o dei medici), di un gruppo sociale (esiste certamente una ideologia ateniese), di una tradizione culturale (un esempio chiaro è l'ideologia del platonismo). Tutte queste forme ideologiche si intrecciano, si sovrappongono, si surdeterminano, agiscono in modo palese o sotterraneo a pilotare la costituzione di culture e di saperi. Accanto all'analisi ideologica. viene ora esplorata un'area di indagine altrettanto e forse più interessante, le figure dell'immaginario che fungono da tramite fra pratiche sociali e produzione di saperi; oggetto privilegiato in questo ambito sono le spie dell'immaginario - metafore, metonimie, slittamenti semantici inconsapevoli, ritualizzazioni apparentemente incongrue. Cosi Ferrari ha potuto leggere nell'ipotesi atomistica di Democrito una proiezione dell'immaginario «grafico» mobilitato dalla diffusione sociale della scrittura, e Giulia Sissa ha visto nell'invasamento della Pizia delfica assisa sul suo tripode un'immagine speculare delle fumigazioni uterine cui i medici ippocratici sottoponevano le donne sterili. Ma, all'estremo opposto, non meno materialistica è l'attenzione per gli effetti di ritorno prodotti dai movimenti relativamente autonomi della teoria sul territorio fluido delle ideologie e degli immaginari. Secondo Detienne, ad esempio, sono i meccanismi di interdetto e di esclusione imposti dal trionfante logos della scrittura e della visione a «inventare» la mitologia, delimitandone l'ambito ad ,un'incerta memoria segnata dai tragitti boccaorecchio. Certo, quei movimenti andranno intepretati secondo una prospettiva «strategica»: che ha il vantaggio di delimitare e precisare la loro autonomia vincolandola agli obbiettivi scelti, alla natura del terreno e delle forze in campo, alle probabilità di successo; sicché la stessa teoria, matematica, astronomica o filosofica che sia, si apre ad un'indagine isomorfa a quella relativa alle pratiche, alle ideologie e agli immaginari sociali. 2. Ma lo specialista ha il diritto, e il compito, di dare un senso al discorso sul metodo raccontando una delle sue storie. Qui vorrei parlare di una mia ricerca sullo stoicismo, tuttora fortemente incompiuta e in progress, dei problemi che mi ha posto e delle strategie per una loro soluzione possibile. Lo stoicismo è probabilmente la filosofia più potente dell'antichità, almeno per una sua tenace capacità di orientare la riflessione morale e di governare le coscienze in modo egemone durante quasi cinque secoli, diciamo dal III avanti Cristo al Il dopo Cristo. All'approccio dell'analisi filosofica tradizionale, lo stoicismo si rivela tanto carico di contraddizioni da rendere incomprensibile questo suo ruolo egemone; esso appare insieme una filosofia del potere e dell'opposizione radicale, del senso comune e del paradosso, dell'idealismo e del materiali- ,mo, del determinismo e della libertà; infine, una filosofia per l'educazione di tutti gli uomini e, all'opposto, per una setta chiusa di eletti. È vero che queste contraddizioni si ,piegano in parte filosificamente, addebitandole allo stato delle nostre fonti e al peculiare percorso storico della ":uola, che si origina in territorio cinico e approda all'alta aristocrazia senatoria e imperiale di Roma; ma esse si addensano in modo da non lasciare vie d·uscita intorno alla figura del saggio, che d'altro canto costituisce dal prindpio alla fine il centro di gravità del pensiero morale stoico. L'i1manità è divisa drasticamente in saggi e stolti; il ù>mportamento del saggio è il canone, il paradigma di qualsiasi valore, morale come conoscitivo. D'altra parte la figura del saggio è descritta in modo talmente enfatico e paradossale da superare di gran lunga ogni pensabile confine dell'umano; la distanza che lo separa dagli stolti è così abissale da risultare impervia ad ogni transizione educativa. Se i saggi esistono, non li si può pensare che come una improbabile setta di «perfetti»; ma lo stoicismo non rinuncia mai alla sua vocazione di una egemonia universalizzante, e rifiuta quindi la via settaria. Si preferisce dichiarare che di saggi, forse, ce ne sono stati uno o due, ma essi sono estranei alla comune esperienza umana. Che cosa significa allora proporre un modello impossibile, un canone assoluto e necessario ma irreperibile? Usando gli strumenti dell'analisi filosofica, non si può che concludere, come ha fatto recentemente Gould, che la figura del saggio è una «awkward excrescence» nel sistema stoico: solo che cancellarla significa far franare il 'iistcma inticrn o cnmunqw.' n.~n- / derlo incomprensibile nei suoi assiomi di significato. C'è forse un'altra via percorribile, una via che passa attraverso l'indagine dei campi metaforici (considerati non come esomamenti retorici ma come matrici di significato) e la loro messa in rapporto con uno sfondo determinato di pratiche sociali. Per comprendere la figura del saggio, la metafora centrale è a mio avviso quella dell'attore: secondo un tema ricorrente in tutto lo stoicismo, il saggio va appunto pensato come un buon attore. Il linguaggio stoico conferma del resto questo rinvio ad una situazione teatrale: la coppia spoudaios/ phaulos (saggio/stolto) è quella stessa che Aristotele introduce nella Poetica per contrapporre il personaggio tragico a quello comico. La metafora treatrale allude immediatamente a un insieme di rapporti fra attore, testo e personaggio, che va compresa a partire dagli sviluppi del teatro greco fra IV e III secolo. Non si scrivono più tragedie: quelle che vengono recitate nelle feste appartengono al «canone» ormai irrigidito dei grandi classici del V secolo. Morti gli autori, scritti una volta per tutte i testi, il protagonista dell'agone teatrale è ora l'attore: a lui tocca il premio, e perché il suo valore non sia condizionato dal personaggio che gli viene assegnato, in ogni concorso l'attore recita un testo di ognuno dei tre clas~id. ocroLA; UCHARD L·idea che si è ,hiamati a interpretare un testo comunque inalterabile (che l'autore ne sia la Provvidenza, il Fato oppure il Re) segna già la differenza tra il saggio stoico e il dialettico platonico, che di quel testo aspirava ad essere l'autorè e spregiava dunque simulazione e rappresentazione. Ma c'è qualcosa di più: in un mondo asservito dalla necessità universale, il distacco fra l'attore e la sua parte, il suo personaggio, segna probabilmente l'unico possibile gradiente di libertà. Il personaggio rappresenta la follia dello stolto: la dinamica delle passioni lo costringe a distendersi in una temporalità bidimensionale, tra un passato e un futuro onde si generano timori e speranze, rimpianti e desideri tutti parimenti insensati. Paradigma dello stolto è per gli stoici il personaggio
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