va fase capitalistica (quella della grande trasformazione, del taylorismo-fordismo-keynesismo ), perché non leggere nella nuova fase storica del capitalismo informatico una nuova crisi di destrutturazione del sapere che accompagna la crisi dell'industrialismo e del Welfare? Messa in libertà di nuclei forti di forza-lavoro della grande impresa, nuova flessibilità, destrutturazione del vecchio nesso fabbrica-società-Stato e sua nuova disordinata «complessità» si accompagnano a una nuova flessibilità e a nuova incorporazione del tempo: è il rapporto di capitale che «libera» tempo mentre tende a flessibilizzame la disciplina sociale. Ma il tempo del «prestissimo•, il suo nuovo sincronizzarsi, accelera e appiattisce tutto sul presente, abolisce passato e futuro, non sa che farsene esso stesso del vecchio paradigma del rettilineo e irreversibile. li «senza futuro• dei giovani tedeschi del movimento e la crisi della temporalità lineare-cumulativa, il senso di discontinuità (la storia che precipita in un punto, come è stato scritto) sono due facce della stessa nuova temporalità. È un nuovo immaginario e una nuova percezione del tempo, fortemente destrutturata, al cui interno riaffiora la memoria del vecchio «tempo ciclico• delle società arcaiche e del mondo preindustriale. È un ibrido in cui si mescolano frammenti di memoria, orrore del tempo e nuova simultaneità. Acutamente lo stesso Rella parla della percezione cdi un tempo ibrido per il quale non c'è ancora figurazione possibile. Un tempo ibrido e mostruoso. Probabilmente cosi veniva avvertito il tempo nella crisi dell'antica civiltà greca, quando l'immagine ciclica si mescolava letteralmente all'immagine del tempo lineare ed escatologico della tradizione ebraica». Si pensi all'immaginario di guerra-distruzione presente nei grandi movimenti per la pace dei nostri giorni, all'orrore di tempo e alla speranza di tempo che li muove, di nuovo radicalismo (critica dei signori della guerra come critica del potere) e di nuovo «narcisismo• (il qui e subito, senza memoria e senza futuro). È a questo retroterra che dobbiamo far riferimento per comprendere il senso di questo nuovo dibattito sulla temporalità e la irruzione di numerose pubblicazioni che ci aiutano a ricostruire le piste del paradigma del tempo e a smontarlo. L'immagine cidka Il costituirsi dell'immagine ciclica del tempo ha una sua doppia storia, di rapporto con i cicli naturali e di trama ontologica. li ritmo cielico ha il suo supporto nel ciclo naturale della fruttificazione e della vegetazione stagionale, la nozione fondamentale di durata viene colta solo attraverso l'avvicendarsi di prodotti o di operazioni di carattere vitale, il ciclo è contrassegnato «dal ritorno di una data selvaggina, dalla maturazione di una data pianta o dall'aratura• (Leroi-Gourhan) e l'immagine ciclica del tempo interviene come elemento centrale nella costituzione di un sistema di rappresentazione simbolica dell'universo, un codice di corrispondenze che crea «una situazione di continuità assoluta tra microcosmo umano e macrocosmo naturale• (Facbinelli). La filosofia che si libera in questa immagine-concezione del tempo è una visione ritmica. La luna non è solo il primo morto, ma anche il primo morto che resuscita, con un intreccio di angoscia da sparizione e speranza di ritorno la cui regolarità è insieme immagine e norma. Nella trama di ripetizione in atto di un evento «originario• è garantito il cammino regolare dell'universo. (Eliade). Sono note le principali interpretazioni del rapporto fra tempo e «primitivo», quella appunto di Eliade che accentua l'ontologia metafisica del contrasto fra tempo sacro, modellato su quello cosmogonico della creazione originaria, e tempo profano, storico ed irreversibile, della quotidianità. Rimane poco persuasiva la ricerca lu di costanti universali e atemporali, vizio interpretativo che riemerge anche in tutta una tradizione psicanalitica (Cfr. // tempo in psicanalisi, Feltrinelli, 1979) che mantiene il presupposto del «primitivo» come bambino e descrive l'angoscia da sparizione della luna in termini di perdita dell'oggetto materno (l'atemporalità come fantasia in cui madre e bambini sono uniti per sempre, il passaggio del tempo durante le fasi lunari come angoscia di separazione del primitivo-bambino). Non si tratta insomma di negare che l'immagine del tempo ciclico, in quanto immagine ritmica dell'universo, filosofia, ordinamento simbolico, ripetizione dell'evento etc. si costituisca come tempo arcaico diverso da quello moderno. C'è in essa, nel rito immaginario che fonda e riproduce, una qualità che è modalità, rapporto tra forma del tempo e forma delle azioni umani. È, come ha osservato Fachinelli (La freccia ferma) «una logica dell'agire secondo regole di osservanza, completamente diverse dall'agire moderno, basato su logiche di esplorazione, espansione, avventura e conflitto•. Ma forzare in chiave ideologica, di nostalgia e di evocazione, il contrasto fra arcaicità e modernità, fra tempo ciclico e tempo lineare, ripropone solo l'ingenua ricaduta nella vecchia dicotomia fra Natura e Cultura. Di importanza decisiva è in tal senso lo studio condotto da Edward P. Tbompson sul rapporto stesso fra tempo e lavoro dentro il tempo ciclico, l'intreccio che egli coglie fra tempo «naturale• e tempo «sociale• che ha il suo punto di contatto nel modo di misurare il tempo. Tbompson cita fra l'altro il famoso lavoro di Evans-Prichard sui Nuer, una popolazione africana di stirpe e lingua nilotiche, insediata lungo il corso superiore del Nilo e dei suoi affluenti. Il senso del tempo presso i Nuer è scandito dai processi familiari nel ciclo di lavoro e delle attività domestiche. I Nuer non banno alcuna espressione equivalente al nostro termine «tempo• e i loro punti di riferimento sono le attività agricole e domestiche, naturali e sociali al tempo stesso. Il loro rapporto col tempo si caratterizza per il legame fra compito naturale-sociale e bisogno naturale-sociale. La naturalità del tempo, il suo fondarsi su ritmi di lavoro connessi ai fenomeni naturali, è essa stessa attività sociale «in cui sembra che i compiti giornalieri (che potevano variare dal pescare al coltivare la terra, a costruire, ad aggiustare le reti, a ricoprire di paglia i tetti, a preparare una culla o una bara) si rivelassero ... con la logica del bisogno» (Thompson). Incertezza nella percezione e nella rappresentazione del tempo conducono a un intreccio fra tempo-vissuto e tempo-misura (per ricordare le celebri distinzioni introdotte da L. Febvre); emerge una minore separazione tra lavoro e vita, «relazioni sociali e lavoro sono intrecciati -la giornata lavorativa si allunga e si accorcia a seconda dei compiti - e non esiste una grossa sensazione di conflitto tra il lavoro e il passare del giorno• (Thompson). Genesi del tempo astratto Ma c'è ancora un altra storia del tempo, quella stessa del formarsi della sua nozione «astratta», del passaggio dal Tempo personificato (il Krònos della Teogonia di Esiodo, grande giustiziere, castratore del Cielo, fornito di falce ricurva con cui taglia i testicoli del padre; ma anche ricordo dell'età dell'oro, allusione a una perduta felicità) al concetto di istante (kairòs'), il moltiplicarsi e il dividersi delle diverse immagini, il ciclo e la linea, l'istante e l'eterno. Nella concezione greca del tempo troviamo al tempo stesso la circolarità ciclica e la prima definizione di un continuum di punti, infinito e quantificato, dovuta ad Aristotele. Essa è il punto di partenza della stessa rappresentazione occidentale del tempo. La nuova nozione di tempo nasce insieme al costituirsi del rapporto filosofia-scienza, dentro ciò che è solito essere chiamato il passaggio dal mito al pensiero razionale. È anche la famosa questione della nascita dell'intelletto autonomo e·'Clel«miracolo greco». Conviene indagare piste troppo spesso occultate, quelle marxiane del rapporto fra nascita del denaro, merce universale, e astrazione-tempo. Ma si sa che il paradosso del tempo matematizzato dell'antichità classica è quello di un dualismo fra mondo della precisione, che è il mondo celeste, e mondo del «pressapoco», secondo la celebre formula del libro di Koyré. In qualche modo la vita quotidiana continua a muoversi senza nessun bisogno di misurare il tempo, come s~ il temP,O . fosse provvisto di una sua misura naturale con la sua successione delle stagioni e dei giorni. Nonostante il formarsi di una concezione del tempo come continuum puntiforme, l'idea di tempo assoluto ha difficoltà a svilupparsi. li potere continua a fissare la sua storia, dà una direzione agli eventi e classifica il tempo con essi, la quotidianità e il tempo vissuto continuano però in qualche modo a fare a meno del tempo-misura o a considerarlo comunque nell'ordine naturale delle cose, il sapere che si costituisce fonda l'astrazione-.tempo e l'idea stessa del tempo lineare ma non lo usa. L'orologio della fabbrica Adesso questa rottura e questa ricomposizione, il passaggio storico dal tempo ciclico al tempo lineare, è stata finalmente ricostruita. È anzitutto la storia delle due campane che scandiscono il tempo, quella dei mercanti e quella della Chiesa. li tempo della città, è scandito dal mercante, rompe il tempo della campagna, che ha una sua ciclicità che si costituisce in rapporto con la giornata solare. La «naturalità» del tempo agricolo è quella di un tempo che si ripete sempre eguale, ritmato sulla giornata solare da un lato e sulla campana della chiesa dall'altro. Un tempo di questo tipo non aveva padroni, nel senso che apparteneva a Dio. Ma il calcolo mercantile, l'usura, l'accaparramento delle cose, rompe la naturalità del tempo perché esso acquista un valore: nell'usura è il tempo a valorizzare il denaro, e il mercante specula sulle cose in funzione del tempo: «creazione di riserve in previsione di carestie, compra e vendita nei momenti favorevoli» (J. Le Goff). Con la nascita dell'industria tessile la cadenza e la regolarità del tempo cominciano ad essere misurati in modo diverso dal tempo solare. L'orologio del mercante scandisce tempi diversi, la campana del comune ritma poco per volta la vita di ogni cittadino, si oppone al suono della Cattedrale e ben presto lo sopraffà. L'orologio, sottolinea Le Goff «è strumento di dominazione economica, sociale, politica (e aggiungerei psicologica) dei mercanti che reggono il comune». li passaggio dall'orologio del campanile a quello della fabbrica è un processo che dura secoli e che ha come posta in gioco il superamento della percezione incerta del tempo, la distruzione dei tempi soggettivi da uniformare al tempo oggettivo. La teoria del tempo si incorpora a quella della sottomissione del lavoro. «li campanile... simbolo del rapporto fra l"alto e il basso, fra il verticale e l'orizzontale, punto di sorveglianza e di controllo del lavoro servile, apre una dimensione nuova fra il tempo e la torre, fra il piano e gli strumenti di scansione del tempo-preghiera e del tempo-lavoro» (Camporesi). L'orologio delle grandi città europee è invece il nuovo ordigno ambivalente che sembra far scomparire l'idea della morte acquattandola negli ingranaggi del congegno meccanico. «Ora e morte vengono a coincidere, il giorno sembra ridursi, la notte si tramuta in angoscia. Nei palazzi e nelle case di città con l'ora pare essere entrata anche la morte» (Camporesi). Adessoche il tempo non è piùdi Dio e che, come scrive Leon Battista Alberti, tre cose appartengono all'uomo (l'anima, il corpo ei/ tempo), l'appello alla disciplina del tempo è la nuova morale borghese che si scontra con l'irregolarità e la non-disciplina del tempo di lavoro. È la storia di un genocidio culturale, la costrizione ai ritmi disciplinari del lavoro industriale che ancora per secoli si scontrerà con una percezione del tempo che non è fondata sul lavoro salariato. 1 salariati che cessano di lavorare quando hanno guadagnato a sufficienza e passano il resto del giorno o della settimana con il vino, il gioco e le puttane non hanno ancora interiorizzato il rapporto di capitale come un «dato naturale». li problema di trattenere gli operai assenti, di vincolarli con forme di dipendenza personale, di imporre dei «regolamenti» diviene decisivo. La disciplina del tempo di lavoro nasce per rompere questa discontinuità del tempo, l'impresa stessa assume agli inizi il carattere che Clausewitz attribuisce alla guerra: «è un movimento in un ambiente che resiste, poiché implica il controllo di masse refrattarie» (H. Bravermann). li taylorismo è infine la svolta decisiva, riuscendo a rintracciare ogni forma di «menefreghismo operaio• e ogni porosità del tempo di lavoro. Diviene possibile affrontare il contenuto del tempo in rapporto al lavoro, conoscere quello che c'è nel minuto di lavoro e in una stessa_manciata di secondi. Con i convogliatori, le linee di montaggio, il fordismo, si arriva al massimo sforzo di omogeneizzazione dei comportamenti. L'importanza del lavoro di Thompson sulla disciplina del tempo è in questa ricchezza di ricostruzione di un processo di interiorizzazione e di coercizione perseguito in tutti i modi possibili: «con la divisione del lavoro, la sorveglianza della manodopera, le multe, le campane e gli orologi, gli incentivi in denaro, le prediche e l'istruzione, la soppressione delle feste e degli svaghi». Ma in che misura si è compiuta davvero questa «ristrutturazione radicale della natura sociale dell'uomo e delle abitudini di lavoro?» si chiede lo stesso Thompson. Contro tutti gli apologeti del progresso compiuto in nome dell'economia di tempo Thompson ricorda che «quello che va detto non è che un modo di vivere è migliore di un altro, bensì che questa non è che un'espressione di un conflitto di più vasta portata, che la storia non è semplicemente una storia di cambiamenti tecnologici neutrali e inevitabili, ma è anche una storia di sfruttamento e di resistenza a esso». E non è un caso che dentro questa ricostruzione della memoria del tempo si riapre oggi, nell'epoca del capitalismo informatizzato, una crisi della stessa identità e cultura operaia. L'etica del lavoro fortemente interiorizzata dal movimento operaio stesso, rivela come la concezione lineare del tempo sia stata fatta propria dalla sinistra, e non solo dalle tradizioni riformiste e gradualiste. Era ciò che già Walter Benjamin aveva denunziato nelle sue «Tesi sulla filosofia della storia» e che riemerge come interrogativo drammatico oggi che una nuova rivoluzione industriale fa precipitare la crisi stessa di quella concezione lineare del tempo: nella crisi dell'industrialismo fordista emerge anche la crisi dell'industrialismo «comunista» fissato dalla tradizione terzinternazionalista. Saltano valori consolidati, quelli di una «civiltà del lavoro» razionalmente coerente, secondo la tradizione weberiana, o da perfezionare e correggere nel suo «sviluppo distorto» secondo la tradizione «comunista•. E il problema del tempo, che riemerge nella memoria del genocidio della sua interiorizzazione e nella perdita di memoria dei nuovi irregolari del lavoro di questi anni, torna a presentarsi come istanza di rottura, oltre l,>schema lineare-evolutivo.
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