Alfabeta - anno IV - n. 35 - aprile 1982

percorsi di separazione e diversificazione, oltre lo spazio-tempo del dominio. Interpretate da questo punto di vista, le. «oscillazioni», i percorsi, i «movimenti», possono essere immaginati a rovescio: come «sedimenti». I cosiddetti «movimenti» per la pace «develocificano» il moltiplicarsi delle soglie di catastrofe; i «movimenti» ecologici, sedimentano territori comunitari ed ecosistemi, «frenano» il vorticoso mercato della natura e della produzione di morte; la nebulosa dei flussi e delle esperienze comunitarie, «interrompe», con l'autoseparazione, il vorticoso non senso del nomadismo di massa nelle funzioni metropolitane; la pratica del «collettivismo interno», «interrompe» (per ridefinirla in uno spaziotempo proprio) la multipolarità astratta delle relazioni funzionali; il localismo «interrompe» i flussi omologanti del mercato mondiale; e cosl via. Ma dove avviene tutto ciò in Italia? Cominciamo a cercare, sotto il polverone dello scenario di guerra. Rebibbia, gennaio 1982 Augusto Illuminati: Anestesia del sociale In riferimento al primo e secondo punto del questionario sottoposto da Alfabeta vorrei fare qualche breve osservazione. Il controllo sociale centrale si presenta oggi in forma dispersae il potere appare frantumato, latitante proprio nelle sedi deputate. L'insistenza sulla governabilità svela che essa non esiste e d'altra parte il governo «debole» è esaltato come il migliore possibile per la gestione della crisi in un regime pluralistico-corporativo. In Italia questi fenomeni sono visibilmente patologici, ma la tendenza a un declino della forma politica tradizionale e della capacità decisionale dello Stato sociale di diritto è più generale, tanto che di agonia del sistema keynesiano-assistenziale si parla ormai dovunque. La particolarità italiana è che non si tenta neppure di sostituirlo con qualcosa di altro; lo si lascia putrefare espasperando simultaneamente tutte le forze di partecipazione democratica formale e di associazionismo segreto, di corporativismo selvaggio e di integrazione delle organizzazioni di massa allo Stato - probabilmente a causa di una certa marginalità del nostro paese nel mondo imperialistico. Tuttavia se l'Italia non è certo un Giorgio Agamben «Tempo e storia. Critica dell'istante e del continuo», in Infanzia e storia Torino, Einaudi, I978 pp. 148, lire 3.000 Franco Rella Miti e figure del moderno Parma, Pratiche editrice, I981 pp. 134, lire 6.000 Mircea Eliade Immagini e simboli Milano, Jaca Book, 1981 pp. 157, lire 11.000 Edward P. Thompson «Tempo, disciplina del lavoro e capitalismo industriale», in Società patrizia e cultura plebea Torino, Einaudi, 1981 pp. 388, lire 15.000 Jacques Le G9ff Tempo della chiesa e tempo laboratorio del nuovo - che sarà meglio cercare a New York o a Parigi o a Berlino, secondo i gusti-è una vetrina esemplare di ciò che si sta disfacendo e consente di leggere in controluce alle ideologie della crisi la realtà materiale di essa. Il periodo keynesiano o dello Stato sociale di diritto a ovest (cui a est ha corrisposto una lunga fase di equilibrio fra bassa produttività economica, scarsa partecipazione politica e consumi sociali sostenuti, secondo un modello che attualmente sta andando in pezzi, insieme alle tenaci illusioni che in quel socialismo «reale» ci fosse qualche brandello di socialismo) è stato caratterizzato allo stesso tempo da un ruolo decisionale marcato dello Stato e da un forte peso sociale di grandi organizzazioni di massa, partiti e sindacati. ·che insieme hanno regolato in modo ampio la vita economica. Tutta questa fase di sviluppo delle forze produttive dentro il modo di produzione capitalistico ha esaltato una funzione politica di connessione fra i processi individuali di valorizzazione capitalistica, ormai non più affidabile al mercato concorrenziale o al controllo dei cartelli monopolistici. I mutamenti seguiti alla crisi del 1929 e consolidati negli a(lni del secondo dopoguerra non han'lo segnato una svolta epocale, la fine del primato dell'economia, la nuova integrazione di politico e sociale ecc. come si è molto teorizzatò da noi nel momento in cui tali fenomeni stavano esaurendosi, ma piuttosto una tappa specifica della storia del modo di produzione capitalistico, in cui la politica (nella doppia forma, dell'istituzione statale e delle organizzazioni di massa che in parte la controllavano, in parte la affiancavano dall'esterno - basti pensare alla collocazione italiana del Pci e dei sindacati) ha svolto il ruolo dominante per tenere insieme la riproduzione sociale del capitale. La fine di questa fase dimostra sia che certe tendenze non erano affatto «epocali», bensl reversibili (per esempio, il mercato oligopolistico recupera un ruolo autonomo}, sia che è impossibile un «ritorno» effettivo a fasi anteriori, come appare chiaramente nell'impasse del puro monetarismo. Lo spostamento delle sedi reali di decisione dalle istituzioni lottizzate dai partiti e dai partiti istituzionalizzati verso altre istanze produce molteplici effetti: svuotamento di senso della partecipazione democratica e della militanza tradizionale, spettacolarizzazione della scena politica nelle forme clamorose del terrorismo e in quelle più squallide delle interviste televise, riduzione della sfera pubblica a campo di manovra di gruppi completamente scissi dalla rappresentanza sociale, rimozione anche psicologica di qualsivoglia residuo problema di legittimazione. Decentramento del potere vuol dire \.:hL· il pl,tl.'fL' ,j è ritirahl dai luoghi abitualmente frequentati, è sceso un poco più in basso e si è condensato in luoghi cruciali del tessuto sociale e pro- /luttivo. La simbolizzazione spettacolare del potere apparente, ufficiale, è raddoppiata da un controllo più serrato (anche se non necessariamente centralizzato, anzi segmentato e conflittuale) dei meccanismi di informazione di base. L'eccedenza di potere, la sua inflazione, svolge funzioni analoghe a quelle dell'inflazione monetaria: favorisce una ristrutturazione interna e un tentativo di riconversione generale. In tale contesto anche forme museali di gruppo di pressione, quali la P 2, hanno una loro funzionalità, consentendo un flessibile collegamento fra settori ben scelti delle istituzioni civilie militari. apparati internazionali impcri,tli,tici. n1t.:zzi di informazion(' di ma~c;a. gruppi l~cnnomic:i. L·cra <lclrinformatica è paradossalmente anche quella delle mafie e del simbolismo più enfatico. Non dimentichiamo che Reagan è un fenomeno serio e quindi è insieme Nashville e l'industria elettronica californiana, cosa nostra e un sofisticato apparato militare. La forma stranamente contorta e contradditoria che assume questo cambiamento della fase capitalistica - cosl diversa dalla linearità, almeno a posteriori, di altre svolte (il taylorismo, il New Dea/, ecc.)- è forse riconducibile all'equivocità intrinseca delle sfide cui il sistema è stato sottoposto nel suo insieme. Altre volte, cioè, il capitalismo si è ristrutturato fronteggiando minacce oltremodo serie di crisi interna e insieme di rivoluzione sociale: Roosvelt aveva davanti il crollo di Wall Street, Hitler e Stalin; Reagan ha Breznev. Il blocco del socialismo è anche blocco del rinnovamento capitalistico: a est come a ovest la ristrutturazione segue strade penose e presenta ripetizioni grottesche di esperienze già fallite. I giochi di simulazione oscillano fra l'intergalattico e la rivisitazione della storia passata, perché strategie poco fantasiose possono avvalersi di tecnologie micidiali. L'aspetto più drammatico di questa società bloccata non è tanto la frantumazione e occultamento del potere, alla ricerche di nuove sedi e di nuove sintesi, ma la frantumazione stessa delle classi, la difficoltà a riconoscere i soggetti collettivi di un ricominciamento del movimento comunista. Il pluralismo corporativo del sociale, di cui il governo «debole» è la perfetta controparte e il cui immaginario giuridico è l'aspirazione a regolazioni neoGliqr1logi del mercante Torino, Einaudi, 1977 pp. 333, lire 10.000 Carlo M. Cipolla Le macchine del tempo Bologna, Il Mulino, 1981 pp. 145, lire 8.000 Piero Camporesi « I due volti del tempo. Calendario agricolo e calendario urbano», in Alimentazione folclore società Parma, Pratiche editrice, 198I pp. 21 O, lire 6.000 11paradigma del tempo nel pensiero occidentale è da alcuni anni ricostruito nei suoi tratti caratteristici e insieme messo in crisi. Nel bellissimo saggio su Tempo e storia Giorgio Agamben ne definisce (sulla scia delle celebri Tesi sulla filosofia della storia di W. Benjamin e del pensiero di Heidegger) gli elementi costitutivi, quelli che sussumono filosofia greca e tradizione cristiana in una forma moderna, adeguata al nesso fra scienza e organizzazione del lavoro delle origini del capitalismo: « La concezione del tempo dell'età moderna è una laicizzazione del tempo cristiano rettilineo e irreversibile, che viene però scisso da ogni idea di una fine e svuotato di ogni altro senso che non sia quello di un processo strutturato secondo il prima e il poi. Questa rappresentazione del tempo come omogeneo, rettilineo e vuoto nasce dall'esperienza del lavoro nelle manifatture e viene sanzionato dalla meccanica moderna che stabilisce la primarietà del moto rettilineo uniforme rispetto a quello circolare». Crisi del paradigma Perché proprio in questi anni il paradigma del tempo torna ad essere studiato e ad essere posto sotto accusa? Una spiegazione è quella dei teorici del post-moderno come Lyotard: le «grandi narrazioni» emancipative, che caratterizzavano la cultura moderna nel suo tentativo di dare una risposta 81bl1otecag1noo1anco contrattuali «artificiali», intreccia meccanismi clientelari e conflitti che spaccano gruppi dipendenti dalla spesa pubblica quanto settori amministrativi che la erogano, con il risultato di un congelamento della crisi, di un uso stabilizzato dell'ingovernabilità. Questa stabilizzazione è però mortale, è una sorta di coazionea ripetere. Per questo ci è sembrato giusto l'avvertimento di Cacciari, sul n. 5 di Laboratorio politico, a distinguere i concetti di crisi e di catastrofe. Quello che ci minaccia è il. costituirsi pacificato di una cultura della crisi e dell'emergenza, che finisca per soffocare ogni prospettiva di mutamento, ogni riaggregazione sociale rivoluzionaria. Certo non è più facile pensare progettualità e rivoluzione nei termini di un periodo che, nei suoi tratti specifici, si è definitivamente chiuso. Con lo Stato sociale di diritto si è decomposto infatti anche il cerchio delle sue alternative rivoluzionarie. Da questo punto di vista molte esperienze anche recenti vanno archiviate, con più o meno nostalgia, ma senza esitazioni. Tuttavia un processo di trasformazione continuistica è inimmaginabile, nel doppio senso che non può essere scientificamente previsto e non può entrare nell'immaginario ideologico delle masse. La cultura della crisi è oggi mero riduzionismo, tentativo di stabilizzare la crescita della complessità sociale (quando non di ridurla), chiudendo le porte al futuro- al tempo di sviluppo morfogenetico di questa società. Il decentramento del potere e la fluidificazione e volatilizzazione simbolica dei conflitti sono strumenti di accelerazione della circolazione sociale, secondo una stretegia di controllo e smorzamento delle fluttuazioni che insorgono all'interno del sistema. Sull'efficacia di questa strategia sono però possibili varie ipotesi. A mio parere in Italia ne risulta un intorpidimento del sociale, in cui implodono regolarmente tutti i messaggi di allarme e le richieste di consenso da parte del ceto politico, al punto da erodere sensibilmente l'efficienza di qualsiasi pratica decisionale. Ma alla lunga non è detto che anche altrove i tentativi almeno più immediati di ricostituire un forte centro decisionistico non incontrino simili difficoltà: la Thatcher ha praticamente già fallito e Reagan è assai più cauto che nelle sue promesse elettorali. Ciò che è sintomatico del eblocco» è che in siffatte circostanze precarie non si sviluppino alternative di potere: esattamente come in Italia. alla crisi del senso, non sono più credibili nell'epoca post-moderna, in cui la trasmissibilità (la «narratività,,) si dissolve. «Ma è curioso che Lyotard, per qualificare il tempo del post-moderno, descriva la percezione della delegittimazione dei miti del progresso che caratterizza appunto tutto il pensiero dell'ultimo Ottocento e dei primi decenni def Novecento. Anche la dissoluzione della 'trasmissibilità' in comunicazione totale è quella già denunciata da Benjamin a partire da un saggio del 1916» (F. Rella). Se dunque stupisce la ripresa dei temi della «crisi della ragione» in forme tutto sommato analoghe a quelle primonovecentesche, quest'analogia suggerisce comunque una precisa pista interpretativa. Come allora quel dibattito su razionalità e scienza e quella cultura della crisi non esprimevano una ideologia «irrazionalistica» ma una destrutturazione del vecchio paradigma scientifico alla luce della nuo-

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