Alfabeta - anno IV - n. 33 - febbraio 1982

riguarda lo stato finale (o relativamente finale) della filosofia di Spinoza; per ciò che Negri chiama «seconda fondazione». A questo riguardo, sono fondamentalmente d'accordo con Negri. In·questa «seconda fondazione», Spinoza non solo ha rollo con qualsiasi sopravvivenza dell'emanantismo neoplatonico (cosa riconosciuta da tulli i commentatori seri), ma non ammelle più la minima trascendenza della sostanza rispetto ai suoi modi, in qualsiasi forma essa si,presenti: la sostanza non è un fondo, di cui imodi sarebbero la superficie, noi non siamo onde sull'òceano divino, ma tutto è assorbito nella superficie. La sostanza senza i suoi modi è solo una astrazi'one, appunto, così come lo sono i modi senza la sostanza: l'unica realtà concreta, sono gli esseri naturali individuali, che si compongono gli uni con gli altri per formare nuovi esseri ancora, naturali, individuali, ecc.; all'infinito. Ma ciò non significa che l'esito delle precedenti analisi di Spinoza sia stato nullo; significa che tutto ciò, che era stato allribuito a Dio, è ora investito nelle cose stesse: non è più Dio a produrre le cose sulla superficie di se stesso, ma sono le cose stesse che divengono autoprodullrici almeno parzialmente, e produllrici di effetti nel quadro delle strullure che definiscono i limiti della loro autoproduttività. Si può ancora parlare di Dio (come fa Spinoza e come, dal suo punto di vista, ha ragione di fare) per designare questa allività produllrice immanente alle cose, questa infinita e inesauribile produllività dell'intera natura, ma a condizione di tener ben presente il senso di tutto ciò: la natura naturante, è la natura in quanto naturante, la natura considerata nel suo aspello produttore isolato per astrazione; e la natura naturata, o i modi, sono le strutture che essa si conferisce dispiegandosi, la natura in quanto naturata; ma, nella realtà, non vi sono che individui più o meno compositi, ognuno dei quali (naturante e naturato insieme) si sforza di produrre tutto quanto può, e di produrre e riprodurre se stesso producendo tulio ciò che può: l'ontologia concreta comincia con la teoria del conatus. Per questo Negri ha perfellamente ragione nel carallerizzare questo stato finale dello spinozismo come una metafisica della forza produttiva; e ciò in opposizione a tulle le altre metafisiche, che sono sempre più o meno metafisiche dei rapporti di produzione, nella misura in cui subordinano la produllività delle cose a un ordine trascendente. Negri spiega in modo ammirevole come questa metafisica della forza produlliva giochi a tulli i livelli dello spinozismo. Egli mostra, seguendo il filo degli ultimi tre libri dell'Etica, come, in quell'essere naturale alquanto composito, che è l'uomo, si costituisca progressivamente la soggellività; come il conatus umano, diventato desiderio, dispieghi allorno a sé, grazie al ruolo costitutivo (e non più semplicemente negativo) della immaginazione, unmondo umano, cheè realmente una «seconda natura»; come i desideri individuali, sempre grazie alla immaginazione, si compongano gli uni con gli altri per introdurre in questa «seconda natura» una dimensione interumana; e come, grazie all'arricchimento che tale produzione di questo mondo umano e interumano procura, cosi, alla immaginazione, il nostro conatus può diventare sempre più autoproduttore, cioè sempre più libero, facendosi ragione e desiderio razionale, e poi conoscenza di terzo genere e beatitudine. Negli ultimi tre libri dell'Etica, l'ontologia diventa quindi, dice Negri, fenomenologia della prassi. Ed essa ha per esito la teoria di quanto essa stessa presupponeva, di fallo, sin dall'inizio: l' «amore intellelluale di Dio» rispetto al quale è legittimo sostenere che è, sollo un certo aspello (che pure non è, a mio avviso, il solo aspetto) la prassi umana che si autonomizza attraverso la conoscenza che essa prende di se stessa. ·Ma questa-conoscenza-deve proce- - dere nel suo porsi in opera elaborando la teoria delle condizioni di possibilità collettive della propria ge·nesi, il cui posto era indicato nell'Etica, ma senza che venisse· realmente occupato. È questo l'oggetto del Trauato politico, che, secondo Negri, e giustamente, è l'apogeo, in senso insieme positivo e negativo, della filosofia di Spinoza: il suo punto culminante e, al tempo stesso, il suo limite estremo. Punto culminante, perché Spinoza vi effettua la costituzione, a partire dai conatus individuali, di quel conatus collettivo che egli definisce «potenza della moltitudine». E questo sempre secondo lo stesso principio: primato della forza produttiva sui rapporti di produzione. La società politica non è un ordine imposto dall'esterno ai desideri individuali; essa non è neppure costituita da un contratto, da una delega di diritto da cui risulterebbe una obbligazione trascendente. Essa è la risultante quasi meccanica (non dialettica) delle interazioni tra le potenze individuali che, componendosi, divengono potenza collettiva. Come ovunque, nella natura, i rapporti politici altro non sono che le strullure che la forza produlliva si da e riproduce incessantemente tramite il proprio dispiegarsi. Non vi è, di conseguenza, alcuna dissociazione tra società civile e società politica. Non vi è alcuna idealizzazione dello stato, anche democratico: sono pienamente d'accordo con Negri sul fatto che, in questo caso, siamo agli antipodi della trinità Hobbes-Rousseau-Hegei (benché egli mi abbia rimproverato, a causa di un malinteso di cui sono in gran parte responsabile per via di un linguaggio che ho usato senza averne misurato tutte le connotazioni, di avere un po' troppo hegelianizzato Spinoza). E con lui ammello la immensa portata rivoluzionaria, e la straordinaria attualità, di questa dollrina: il dirillo altro non è che la potenza; il dirillo dei detentori del potere politico è quindi la potenza della moltitudine, e nient'altro: è la potenza collelliva che la moltitudine accorda a essi, riaccorda loro in ogni istante in quanto uso, ma potrebbe benissimo cessare di mellere a loro disposizione. Se il popolo si rivolta, ne ha per definizione il dirillo, e il dirillo del sovrano, per definizione, scompare ipso facto. Il potere politico anche nel senso giuridico della parola «potere», è la confisca, da parte dei dirigenti, della potenza collelliva dei loro soggelli; confisca immaginaria, che produce effelli reali solo nella misura in cui i soggelli stessi credano alla sua realtà. Il problema non consiste, quindi, nel ricercare la migliore forma di governo: ma nello scoprire, in ogni tipo di società politica data, le migliori forme di liberazione, cioè strutture che permettano alla moltitudine di riappropriarsi della propria potenza dispiegandola al massimo: e che perciò, ma solo perciò, abbiano una autoregolazione ollimale. Quanto ai limiti incontrali da Spinoza nell'esame dellagliato di tali strutture (capitoli VI-XI del Trattato politico), sono evidentemente i limiti stessi della situazione storica in sui egli si trovava. Negri mi ha rimproverato (molto amichevolmente, tengo a precisarlo) di avere insistito eccessivamente su questo esame dellagliato, il quale, a suo parere è più interessante per lo scacco di cui è testimonianza, che per il suo contenuto. Tuttavia, penso di avere avuto ragione a insistervi: bisognava, mi pare, prendere sul serio quanto Spinoza stesso ha preso sul serio. Ma riconosco, con Negri, che per noi, e nel momento attuale, dal punto di vista dell'avvenire come da quello della eternità (il che, in definitiva, è lo stesso), l'essenziale del Trattato politico sono i fondamenti, quali sono esposti nei primi cinque capitoli. E, dato che questi fondamenti risulterebbero incomprensibili a chi non avesse lello l'Etica. Negri ha pienamente ragione nel sostenere che la verapolitica di Spinoza è la sua metafisica, la quale è di per se stessa-politica in-ogni sua-parte. B1bl1otecag1nob1anco Unità o discontinuità dell'«Etica» Resta da stabilire come Spmoza sia giunto, dall'iniziale panteismo per cui «la cosa è Dio», allo stato finale della sua dollrina per cui « Dio è la cosa». Ed è su questo punto che non sono più affatto d'accordo con Negri, almeno nel senso che ritengo che egli abbia appurato una verità, la quale però non è esattamente proprio .quella che egli credeva essere. Perché io penso, allora, che Negri non pensi che questo spinozismo finale sia quello di tutta l'Etica, compresi i libri I e Il. Secondo lui, l'essenziale dei libri I e II, e in particolare la dottrina degli attributi divini che vi figura, corrisponderebbe alla prima redazione del1' Etica, quella che è stata interrotta nel 1665; il che allesterebbe, tranne alcune anticipazioni, uno stato intermedio del pensiero di Spinoza, caratterizzato da una estrema tensione tra le esigenze del suo panteismo iniziale e la presa di coscienza della impossibilità di conservare sino in fondo queste esigenze; di qui risulterebbe, bene o male, una certa dualità tra la sostanza e i modi: da una parte Dio, dall'altra il mondo (il «paradosso del mondo•, dice Negri). Solo nei libri III, IV e V, a fianco di talune sopravvivenze della vecchia Gilles Deleuze: Lettera italiana Siamo in molti ad aspettare e sperare una evoluzione della opinione in Italia, circa i prigionieri politici. L'Italia è una grande nazione democratica, con la quale abbiamo, culturalmente e sentimentalmente, relazioni reciprocamente privilegiate. Ci si risponde che non capiamo niente della situazione politica italiana. Costatiamo semplicememe che in Italia vi sono circa 3.000 detenuti politici;che un filosofo italiano come Negri è in prigione da quasi tre anni; che altri sono perseguitati da un paese all'altro (caso Piperno); che la git1Stiziaha istituito un premio per'la delazione, il che rende ancora più aspri i regolamenti di conti (l'istituzione dei "pemiti"). Diciamo che questa situazione, consueta nei paesi totalitari, è profondamente anormale in un paese come I' Italia. Si invoca il terrorismo, che renderebbe necessario questo stato di cose. Ma non si isola il terrorismo moltiplicando gli arresti di pseudo-complici, con capi di imputazione che crollano l'uno dopo l'altro e che, giorno dopo giorno, diventano sempre più insignifivocabolario della partecipazione a quello della potenza. Ma, per un verso, questi non sono che risultati parziali. E, per altro verso, concernono tu lii i libri dell'Etica : i due strati si ritrovano in ogni libro, senza distinguersi in modo più marcato tra i due primi libri, per la parte più vecchia, e gli ultimi tre per la più recente. Non mi sembra quindi possibile sostenere che i due primi libri siano anteriori al 1665, e che solo gli ultimi tre siano posteriori al 1670. Tanto più che, in ogni caso, è molto improbabile che Spinoza, riprendendo la propria redazione nel 1670, dopo cinque anni di interruzione; non abbia rivisto la totalità del suo testo. Più verosimilmente, il vecchio strato di vocabolario è costituito in ogni libro, dalle parole ed espressioni che Spinoza ha mantenuto perché gh sembrava possibile, anche a prezzo di qualche apparente ambiguità, che egli riteneva facilmente dissipabile, riutilizzare senza entrare in contraddizione con il nuovo stato della sua dottrina. In effetti: 2. Non scorgo, per parte mia, contraddizioni tra i primi due libri e i successivi. Può sembrare che ve ne siano, se si considerano taluni enunciati presi isolatamente, ma, se li si colloca nella catena argomentativa, queste appacanti, perché servono solo a pro1rarre la detenzione. Queste istruttorie infinite, con capi di imputazione variabili e man mano decrescenti, finiscono per essere delle commedie. Si invoca una situazione insurrezionale, che risalirebbe al I 97 6-77. È un riferimento molto dubbio e vago. È evidente che in Francia, dopo il I 968 (situazione altamente insurrezionale) si sarebbe potuto arrestare, con questo capo di accusa, la grande maggioranza degli intelleuuali francesi, e tenerla per molto tempo in prigione, cambiando continuamente le accuse. La Francia ha appena promulgato una amnistia che si estende sino ai problemi più gravi (per esempio, il problema della Corsica). Sono state revocate le leggi speciali, e si è rinunciato ai progetti di recrudescenza repressiva e penale. Crediamo che simili misure, creatrici di diriuo, siuno fauori di ordine, e non di disordine, di riconciliazione e non di debolezza, di democrazia e non di anarchia. Sono le condizioni primarie per fare retrocedere il terrorismo e la violenza. Speriamo con tu/lo il cuore che anche l'Italia saprà trovare le vie della sua riconciliazione. viamente, non posso provargli che oçcorre prenderlo sul serio. Ma credo che, se ci si decide a farlo, si scopre in tutta l'Etica una grandissima coerenza logica; a condizione, tengo a precisarlo, che la si interpreti interamente in funzione della dottrina finaie: altrimenti, in effetti, vi sarebbe una incrinatura. Penso, con Negri, che l'ontologia concreta cominci con la teoria del conatLIS; ma la dottrina della sostanza e degli attributi è destinata a dimostrare questa teoria: a dimostrare che l'intera natura, insieme pensante ed estesa, è infinitamente e inesauribilmente produttrice e autoproduttrice; e per dimostrarlo, bisognava ricostruire geneticamente la struttura concreta del reale, cominciando con l'isolare per astrazione l'attività produttrice nelle sue varie forme, che sono, appunto, gli attributi integrati in una sola sostanza. Si può, certo, pensare che fosse inutile dimostrarlo; ma Spinoza non la pensa va così. Si può anche pensare che egli abbia avuto torto non pensandola così; anche su questo punto, non ho nulla di logicamente costrittivo da obiettare: è un problema di scelta metodologica. Ma è vero che, se si sceglie di considerare come essenziale l'ordine delle ragioni, si è indotti a conferire una importanza maggiore di quanto non faccia Negri a ciò che impropriamente si chiama, in mancanza di un termine più adeguato, «parallelismo> tra pensiero e estensione; il che, senza contraddire in nulla la interpretazione di Negri della dottrina finale, aggiunge a essa, semplicemente, qualcosa. Ma, in definitiva, credo che la prima delle mie due obiez.ioni annulli in parte la portata della seconda. In ogni caso c'è stata una prima redazione dell' Etica, anche se non è stata riprodotta tale e quale nei libri I e Il. E l'argomentazione di Negri mi dà l'impressione che questa prima redazione abbia sicuramente dovuto essere conforme a ciò che egli ci dice su di essa. Ciò che può provarlo sono, prima di tutto, alcuni passaggi commentati da Negri (non tutti, a onor del vero) della corrispondenza di Spinoza risalente a quell'epoca. Ed è soprattutto il ruolo catalizzatore giocato dal Trauato Teologico-po- • litico, che Negri studia mirabilmente. Da una parte, in effetti, Negri ci fa sentire in modo molto convincente sino a che punto le esigenze della lotta politica, condona lungo tutta quell'opera, portino Spinoza alla presa di coscienza del ruolo costitutivo della immaginazione (di cui abbiamo visto l'importanza che assumerà negli ultimi tre libri dell'Etica), e come esse abbiano dovuto suscitargli il bisogno di rifondere i propri concetti. E, d'altra parte, ciò che sembra suggerire in modo assai forte che questo bisogno non fosse ancora soddisfatto nel I 670, è il legame, stabilito da egri, tra il contenuto che egli assegna alla prima redazione dell'Etica, e il fatto che. nel Tra/lato Teologico-politico, Spinoza parli ancora di un contratto sociale, mentre tutto il contesto mostra che, da un punto di vista logico, avrebbe potuto farne a meno: per potere osare a cessare completamente di parlare di contratto (quale sarà il caso del Trattato politico) egli doveva, effettivamente, possedere la dottrina finale nella forma più matura; ed è molto fecondo il render conto della scomparsa di questa nozione, connetdottrina riattivate, con finalità di ca- renti contraddizioni svaniscono. È ben tendola a una maturazione generale tarsi, nel libro V, si manifesterebbe in vero che Spinoza parla appena degli della filosofia di Spinoza nel suo inpieno la metafisica della forza produt- attributi nei libri III, IV e V; il che è sieme. tiva; la teoria degli attributi vi sarebbe naturale, dato che, in quei libri, essi Le mie riserve sono, dunque, seconquasi scomparsa, e non vi giocherebbe non sono oggetto di analisi, e a questo darie rispetto alla mia ammirazione e che un ruolo residuale. Ora, su questo riguardo l'essenziale è già stato detto. al mio accordo. In definitiva, e al di là punto, farei a Negri due obiezioni. Ma le proposizioni che figurano in delle questioni di dettaglio, ciò che I. È molto difficile, di fatto, rico- questi tre libri sono a loro volta dimo- soprattutto mi colpisce in Negri, sono struire la prima redazione dell'Etica. È stra te a partire da proposizioni ante- le sue folgoranti intuizioni, che ci fanben vero che i commentatori che vi ci riori, ecc.; e, infine, se si risale la catena no intravedere con un sempre rinnovasono provati hanno ottenuto risultati sino all'inizio, si ricade quasi sempre to bagliore, di conoscenza del terzo molto interessanti e convincenti su su proposizioni concernenti gli attribu- genere, l'essenza stessa dello spinozicerti punti: si è potuto parzialmente ti. smo. Sicuramente ciò dipende (e su rivelare, nell'Etica, due diversi strati di Forse è questo, in definitiva, il mio questo punto, come su moltialtri,sono vocabolario, uno dei quali sembra net- principale punto di disaccordo con d'accordo con Deleuze) dal fatto che tamente più arcaico, perché più vicino Negri: egli non prende sul serio I'ordi- la sua riflessione teorica e la sua prassi alla terminologia del Breve trattato; e, ne delle ragioni, che - a suo avviso - sono, da molto tempo, quelle di un da uno strato all'altro, la trasforma- sarebbe stato sovrapposto dall'ester- autentico spinozista. zione va nel senso di un immanentismo no, e che non sia altro se non il «prezzo (Traduzione di Maurizio Ferraris) più-radica.le, poiché Si:>inoz-a-passadal- - .pagato da Spjnozaalsuo.!empa.>-Oll- _____ :._ _________________ _

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