r altro, la par1l,1il1d, esiderio Tzvetan Todorov Mikhail Bakhtine. Le principe dialogique e Écrits du Cercle de Bakhtine Paris, Editions du Seui!, 1981 Michail Bachtin Estetica e romanzo Torino, Einaudi, 1975 pp. 495, lire 18.000 Catherine Kerbrat-Orecchioni L'énonciation de la subjedivité dans le langage Paris, Colin, 1980 René Girard Menzogna romantka e verità romanzesca (1961) Milano, Bompiani, 1981 pp. 270, lire 8.000 L a bella analisi che Todorov fa del pensiero di Bachtin è prevalentemente centrata sul tema della <parola dialogica» (Todorov usa anche, e di preferenza, tradurre con «intertestualitb, al posto del più compromesso «dialogismo»). Se il terreno privilegiato della intertestualità della parola è il romanzo, questo fenomeno è indagato da Bachtin anche nella quotidianità; e del resto Todorov, introducendo quella che definisce l'<epistemologia delle scienze umane• di Bachtin, esalta le connessioni tra il suo essere <il più grande teorico della letteratura del XX secolo» e «iJ più importante pensatore sovietico nel campo delle scienze umane• (p. 7). In questa sede, e ai fini del discorso, non è certo il caso di riassumerè•'opera di Bachtin. Solo un aspetto vorrei richiamare, ed è quello del «duplice orientamento• della direzione della parÒla. L'incontro della parola con l'altro avviene, per Bachtin, in due sensi che vanno distinti. In un primo senso, la parola è bivocale in quanto contiene sempre le stratificazioni delle parole altrui sull'oggetto di cui si parla: «Tra la parola e l'oggetto, tra la parola e il parlante, c'è il mezzo elastico, spesso difficilmente penetrabile, delle parole altrui sullo stesso oggetto, sullo stesso tema (...) Ogni parola concreta (enunciazione) infatti, trova il suo oggetto, verso il quale tende, sempre, per cosi dire, già nominato, discusso, valutato, avvolto in una foschia che lo oscura oppure, al contrario, nella luce delle parole già dette su di esso»(Estetica e Romanzo, pp. 84-85). on esiste parola cdi nessuno•, il parlante non può che orientarsi sul già detto, già noto; ogni parola reca in sé «l'aroma del contesto e dei contesti nei quali essa ha vissuto la sua vita piena di tensione sociale• (ibidem, p. 1 O I). li discorso quindi è sempre citazione, discorso sul discorso. La seconda accezione che Bachtin dà a dialogicità concerne il fatto che la parola è orientata verso l'interlocutore, si costruisce in funzione della risposta, del previsto consenso o della prevista obiezione. La costruzione dell'enunciato- compresi isuoi aspetti paralinguistici, ad esempio l'intonazione, sarcastica, parodica, polemica, ironica (si veda, nella raccolta che segue il saggio di Todorov, lo scritto La struc111,ede l'énoncé)-, riflette la presenza dell'interlocutore nel discorso. «li parlante penetra nell'altrui orizzonte dell'ascoltatore e costruisce la propria enunciazione sul territorio altrui, sullo sfondo appercettivo dell'ascoltatore• (Estetica e romanzo, p. 90). Alla base di questa teoria della lingua, di questa «translinguistica» (termine con cui Todorov sostituisce quello di metalinguistica, generalmente usato nelle traduzioni di Bachtin), sta quella che Todorov chiama !'«antropologia filosofica• di Bachtin, e che si risssume nella impossibilità a concepire l'individuo al di là dei suoi rapporti con agli altri, al di fuori della relazione. L'alterità è costitutiva dell'io; la percezione dell'altro, cosi come è condizione necessaria per la percezione del sé fisico (impossibile, dice Bachtin, conoscersi attraverso lo specchio) lo è anche per la percezione e conoscenza del sé psichico. È quello che insegnano i personaggi di Dostoevskij, nella loro incessante ricerca del dialogo per costituirsi come individui, nel loro attestare l'impossibilità della solitudine nel momento in cui la rivendicano in un paradossale rivolgersi polemicamente all'altro per negarne l'esistenza. Da Dostoevskij quindi, e non da Freud, dice Todorov, deriva la concezione psicologica di Bachtin: al fondo dell'uomo, non è il ça, ma l'autre (Todorov, p. 55). E concedendosi, alla fine del saggio, una commossa analogia tra il pensiero di Bachtin e la sua vita, commenta: «Non è ancora più impressionante vedere il teorico del ricchezza di esempi tratti da giornali, testi letterari, e dall'interazione quotidiana. D'altra parte la puntuale disamina dell'uso dei deittici, l'individuazione dei termini «soggettivi» (valutativi, affettivi), delle marche di enunciazione insite nell'enunciato non assolvono un intento puramente classificatorio, ma, sconfinando inevitabilmente nel terreno della pragmatica e della psicologia, propongono a quest'ultima importanti occasioni di incontro. Occasioni sottovalutate dall'autrice che, limitando le «considerazioni psicolinguistiche• a poche note marginali, sembra minimizzare l'immediata psicologicità complessiva del problema dell'enunciazione. li desiderio, come la parola, è secondo l'altro. Il saggio di Girard, Menzogna romantica e verità romanzesca, già tradotto nel 1965 e riedito recentemente, è sul desiderio mediato dall'altro. L'oggetto del desiderio è reso tale dal fatto che un altro, ammirato, amato, divinizzato dal soggetto desiderante, lo desidera. «Lo slancio verso l'oggetto è. in fondo. slancio verso il Salone i11ternazio11ale tlell'a,eronawica e tlello spazio ,li Le Bourger dialogo, quest'uomo per cui l'assenza di risposta è il male assoluto, l'inferno, subire questa sorte singolare: non ricevere mai risposta?» (p. 171). S e Bachtin, anche attraverso la suggestione alla sua straordinaria prosa, ha comunicato forse più di chiunque altro il senso della presenza nella lingua dei soggetti parlanti, molti oggi- non necessariamente rifacendosi a lui- hanno proceduto nella documentazione analitica di questa presenza. li saggio di Kerbrat-Orecchioni, L'enonciation de la subjectivité da11sla langue, si autodefinisce come una ricerca delle «tracce linguistiche della presenza del locutore nell'enunciato• (p. 31); ricerca dei «luoghi di iscrizione• di ciò che Benveniste ha chiamato eia soggettività nel linguaggio•. Sulla linea di Ducrot, ma parzialmente in polemica con lui, l'autrice mette in questione i caposaldi della linguistica e psicolinguistica tradizionale: dalla definizione di codice, a quella di competenza di Chomsky, allo schema della comunicazione di Jakobson, che riformula inserendovi le competenze ideologiche-culturali e paralinguistiche dell'emittente e del ricevente, le determinanti psicologiche, le costrizioni dell'universo di discorso. li merito della ricerca di KerbratOrecchioni -che la distingue da altri un po' generici discorsi critici sull'importanza della contestualizzazione del _d_iscor~_-;sta, prop~io n~ll'~'!~liticità descrittiva ravvivata dà una grande mediatore• (p. 14). Il riferimento a un modello è punto essenziale per individuare la genesi del desiderio, e ciò vale per la comprensione della vita quotidiana, nel privato e nel sociale, come per la comprensione della letteratura. Tutte le opere romanzesche parlano del desiderio triangolare, svelano la presenza del mediatore, a differenza delle opere romantiche (la distinzione è essenzialmente qualitativa) che la riflettono senza svelarla, prendendo per buono il desiderio diretto. Emma Bovary desidera per il tramite delle eroine romantiche delle sue scadenti letture, Julien Sorel vuole imitare Napoleone, Matilde de La Mole ha per modelli gli eroi della sua famiglia. Don Chisciotte rappresenta il caso paradigmatico di mediazione esterna, che Girard contrappone a quella interna in quanto nella prima «la distanza tra le due sfere di possibili, che s'accentrano rispettivamente sul mediatore e sul soggetto• è tale da non permetterne il contatto; mentre nella mediazione interna la distanza è «abbastanza ridotta perché le due sfere si compenetrino più o meno profondamente» (.p. 13). A volte l'avvicinamento delle due sfere può essere tale da svelare il capovolgimento dei fini: Dostoevskij, svolgendo l'operazione più radicale «pone in un primo piano il mediatore e respinge l'oggetto sullo sfondo» (p. 41). Ciò è rappresentato nel modo più con- -s~pevol·e nell'Eier~o ;n~;ito, dove !'al61..., ..... ~ ...b..1an.......... tro, il rivale, si rivela come l'autentico oggetto di desiderio. Inutile, dice Girard, ricorrere alla omosessualità latente come spiegazione, come fanno gli psicoanalisti: è l'omosessualità che si può spiegare partendo dal desiderio triangolare. Il paradosso narrato da Dostoevskij svela la realtà, che è quella messa in luce da tutti i grandi romanzi: «l'oggetto non è che un mezzo per raggiungere il mediatore. È all'essere del mediatore che mira il desiderio» (p. 49). Con la teoria della mediazione Girard intende contrastare e superare la soggettività solipsista che riduce il processo amoroso alla forza immaginativa dell'Io, solo responsabile della produzione del desiderio senza che l'oggetto vi concorra. Il più esplicito teorizzatore del solipsismo amoroso, Proust, dice Girard, smentisce questo solipsismo in tutta la Recherche, ribadendo la presenza del desiderio triangolare: il desiderio proustiano è sempre secondo l'altro, preso a prestito, non solo nello snob ma già nel bambino, come dimostra l'episodio della Berma. investiti di grandiose aspettative perché ammirata dall'amato Bergotte. Non è chiaro però perché, con l'introduzione del desiderio triangolare, Proust smentisca la teoria solipsistica dell'amore, e neppure sembra di potere dire che Girard si contrapponga a questa teoria. on è questo il suo merito, ma quello, non piccolo, di averla chiarita, di averne esplicato dei passaggi, incastrato dei tasselli senza i quali la generica affermazione che l'amore è solo nel soggetto, nell'io desiderante, manca di plausibilità psicologica, resta solo una contrapposizione astratta a qualcosa di altrettanto astratto. Indubbiamente la teoria stendhaliana della cristallizzazione trac vantaggio dall'immissione dell'idea di mediazione, del resto presente, come lo stesso Girard riconosce, nei romanzi. Così come assume maggiore concretezza, alla luce di questa teoria, l'idea dell'amore come ostacolo, idea che De Rougemont (L'amore e l'occidente, 1939, Milano, I977) porta agli estremi fino ad identificare la ricerca dell'ostacolo con la ricerca di morte. La valorizzazione dell'ostacolo acquista infatti maggiore credibilità se la si vede conseguente alla valorizzazione del mediatore. Non diversa dalla logica che spiega il comportamento «normale» è quella che guida il comportamento del masochista. Il desiderio di sofferenza, di ~e_rs.9.gy_,ear_umili,a!i,o~e_-_e an~or,a Girard è polemico verso psicologi e psichiatri- non è primario (nessuno ha mai desiderato queste cose); il masochista, «da padrone annoiato da un perpetuo successo, ovvero da una perpetua delusione» subisce perché «soltanto l'insuccesso può rivelargli una divinità autentica, un mediatore invulnerabile a tutti i suoi tentativi» (p. 155). Più lucido delle altre «vittime del desiderio metafisico» il masochista è l'unico che «coglie il legame tra la mediazione interna e l'ostacolo»; ma è anche il più cieco perché «invece di spingere tale consapevolezza fino alle conclusioni che essa esige( ...) si sforza paradossalmente di soddisfare il proprio desiderio precipitandosi sull'ostacolo, votandosi all'infelicità e all'insuccesso» (p. 158). D icevo che la teoria della mediazione non mi sembra un superamento, ma solo un approfondimento dell'ipotesi soggettivistica. Come sempre, è questione di intendersi sulle parole; ma non vi è dubbio che le teorie dell'amore che ribadiscono la priorità dell'io non comportino, neppure a livello teorico-non solo nelle loro attuazioni implicite, cioè nel romanzo- l'esclusione dell'altro come pretesto, occasione, substrato di cristalizzazione dell'immaginazione (come potrebbe pensarlo Proust?). Per la teoria della mediazione, l'altro esiste, ma come antecedente, estraneo alla relazione, e ciò, dopo tutto, non è molto diverso dall'operazione psicanalitica che rimanda alla storia o alla preistoria del soggetto il ritrovamento del senso dell'attuale scelta amorosa; si tratta sempre, come dice Girard a proposito di Proust, di «un'altra coscienza che garantisce il contratto• (p. 19). Che gli antecedenti vadano ricercati nella situazione edipica, o nei modelli costruiti in circostanze successive, non fa molta differenza ai fini di un'operazione che Girard compie come l'hanno compiuta Laclos, Stendhal, Proust, e De Rougemont, e Freud, e cioè l'esclusione dell'altro in quanto presente nella relazione, l'annullamento della funzione interattiva dell'altro oggettosoggetto a sua volta di amore. L'altro, essenziate, per Girard, nella comprensione del desiderio, è un altro- reale o immaginario- estraneo alla diade che compone la relazione. La teoria della mediazione è complementare a quella solipsistica, perchéentrambe si contrappongono a una eventualità che Girard, come gli altri citati, implicitamente esclude e che concerne la possibilità di fondare il desiderio nella relazione stessa, nell'io-tu presente e in situazione. Ciò che Bachtin ha fatto sulla parola - ricercare l'altro in essa- Girard lo fa sul desiderio. Ma mentre per Girard l'operazione ha una unica direzione, la ricerca dell'altro che media il desiderio nella sua genesi, Bachtin, come si è detto, cerca l'alterità nella parola in due direzioni, quella che va verso la parola altrui lontana evocata dall'enunciato presente, e anche quella che connette la parola con l'interlocutore presente, il tu che collabora alla strutturazione del discorso. Abbastanza stranamente, le speculazioni sull'amore non hanno mai provato a confrontarsi in modo sistematico con l'idea di relazione. Per il desiderio, l'operazione di «messa in situazione», che porterebbe a interrogare tutte le componenti presenti nell'interazione, a mettere in luce la peculiarità delle risposte orientate sulla specificità delle domande e viceversa, è in gran parte da farsi. • •' • • r • ,. '
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==