Renato e Rosellina Balbi Lungo viaggio al centro del cervello Bari, Laterza, 1981 pp. 126, lire 8.000 Divulgare è un'arte, e come ogni arte ha la sua tecnica e le sue regole del gioco; perciò non tutti fra gli scienziati o i filosofi o i critici sanno essere divulgatori; l'operazione è difficile in quanto richiede la coesistenza di due comportamenti intellettuali che solo con fatica di chi scrive possono stare insieme: una grande capacità di sintesi, cioè di resa di quello che è essenziale alla dimostrazione di una tesi o alla descrizione di un tema, e insieme una altrettanto grande capacità nella resa di tale sintesi con una assoluta chiarezza intellettuale e linguistica. Ilcervell.t,.multiplo Una volta Paul Valéry, occupandosi dell'epoca di Montesquieu e dei Lumi, scrisse che allora da poesia stessa cercava di essere chiara e senza sciocchezze; ma è un'impossibilità: non giunse che a ingracilirsi». Orbene la divulgazione, teorizzata in epoca moderna proprio dagli illuministi, deve per l'appunto essere a differenza della poesia «chiara e senza sciocchezze», dove con sciocchezze Valéry allude alla fabulosa ambiguità possibile nel testo poetico. Ad alcuni, che per naturale inclinazione sono snobistici, o che tale lavoro divulgativo non saprebbero attuare, esso sembra servile; altri nell'illusione di compierlo (vedi anche certi interventi su Alfabeta) non si accorgono nemmeno di essere intellettualmente o linguisticamente a quota troppo alta, cioè fuori strada. Se già altra volta abbiamo segnalato su Alfabeta (n. 8, dicembre 1979) i caratteri fittizi di alcune operazioni culturali dall'apparenza divulgativa, oggi il discorso ha una finalità speculare: offrire un esempio di mirabile virtù divulgativa testimoniata da un recentissimo libro di Renato e Rosellina Balbi, Lungo viaggio al centro del cervello; forse alla base c'è la felice circostanza di due punti di vista, quello di uno scienziato e l'altro di una espertissima giornalista. È certo che il lettore profano di questioni neurologiche, categoria a cui appartiene chi scrive qui, dopo aver iniziato con un po' di apprensione la lettura di quest'opera dedicata nientemeno che alle strutture, ai livelli e al funzionamento del cervello umano, a poco a poco non solo si sente dispensato da ogni apprensione, ma si inebbria delle impreviste comodità che gli autori gli hanno preparato per il suo «viaggio al centro del cervello». Si sa che quando un viaggiatore viaggia comodo, le curiosità si scatenano: ed ecco Renato e Rosellina Balbi a soddisfargliele con pazienza e bonaria attenzione; anche se il paesaggio attraversato è arduo, disseminato di tesi e proposte assai nuove. Vi è una frase della Prefazione di Renato Balbi, professore universitario di clinica neurologica che dà da riflettere: «Forse, per una volta, sarà la divulgazione a fare da traino alla scienza», frase a cui sembra anche sottesa una sottile, vagamente malinconica ironia di Balbi verso la disattenzione della scienza ufficiale nei riguardi della sua teoria dell'«evoluzione stratificata•, resa pubblica dal 1965 e per vari aspetti profondamente innovativa. E veniamo alla struttura del libro: già l'Introduzione ci fa capire che qua sono in gioco grossi problemi socioculturali, oltre che scientifici: essi si chiamano l'handicappato, le «doppie personalità» (metamorfosi, ad esempio, della persona più tranquilla del mondo se è in mezzo a una folla scatenata), polemica fra i sostenitori del biologico e dell'innato da una parte, del sociale e dell'appreso dall'altra; e via di seguito. Ad acuire la curiosità del lettore segue un Prologo in cui dieci strani fenomeni neuropsichici dalle spiegazioni contrastanti o rimasti inspiegabili sono raccontati schematicamente come novelline somiglianti ai frammenti di un immaginario puzzle: per esempio, il terzo tempo della sonata di Tartini Il trillo del diavolo è composto dopo che durante un sogno l'autore se lo è sentito eseguire da un sognato diavolo. Oppure, ecco un uomo affetto di morbo di Parkinson e da esso immobilizzato in un letto, che sotto un bombardamento salta giù dal letto, afferra un bambino e con esso corre giù dalle scale. Che cosa succede in tali casi dentro l'uomo? Quali complessi meccanismi si mettono in moto o addirittura si scatenano nel suo cervello? A questo punto il lettore del libro di Renato Balbi e della sorella Rosellina sente che la curiosità scientifica si affianca in lui a un altro genere scintillante e voluttuoso di curiosità, simile a quello suscitato da un romanzo giallo. Donde l'affermazione spontanea e laudativa: «ecco un libro che si legge come un romanzo», donde anche la presa sicura della tematica scientifica sul pubblico e, di conseguenza, la riuscita opera di divulgazione. In altre parole, questa volta un po' più tecniche, la divulgazione nasce non solo per l'incontro di generi letterari diversi (dimostrazione scientifica + narrazione scientifica), ma per la sovrapposizione di modelli semiotici diversi, per esempio quello scientifico e quello sociale o sociologico. Q uesto non significa che un libro di voluta divulgazione non abbia percorso laborioso, come laboriosa è a sua volta la resa del percorso stesso in sede recensoria, soprattutto se il recensore non è uno specialista. Comunque, il recensore non specialista riesce a recensire un libro del genere e se non è in grado di discutere i costituenti della dimostrazione, può però individuarne il perfetto funzionamento, la logica interna. Renato Balbi parte da due convinzioni scientifiche: la prima è che l'evoluzione verificatasi a partire dai primi esseri apparsi sulla Terra sino all'uomo ha significato anche una trasformazione nei millenni del sistema nervoso e delle sue funzioni; la seconda è la «legge di Haeckel»:. l'evoluzione di ciascun individuo (ontogenesi) ricapitola le fasi dell'evoluzione della specie (filogenesi). In parole povere, l'embrione umano passa per fasi analoghe a quelle proprie dei pesci, degli anfibi, dei rettili e dei mammiferi inferiori. Balbi ci perdoni se per analogia mentale, usando un linguaggio semiotico, diciamo che è come se il Buon Dio o chi per lui esercitasse nell'universo una generale mise en abfme o processo specchiante. Si potrebbe allora postillare che, come i medievali con la teoria dell'allegoria in factis, per cui personaggi del1'Antico Testamento sono prefigurazioni di altri personaggi che verranno dopo, hanno visto in Dio non solo un programmatore, ma un sublime Retore, così con la legge di Haeckel Dio sarebbe non solo un programmatore, ma un sublime Semiologo che crea una catena di segni specchiantisi gli uni negli altri. La cosa è conturbante, ma anche ricca di fascino. Le due premesse qui schematicamente richiamate obbligano Balbi (e di nuovo torna in ballo la virtù dell'umiltà divulgativa) a premettere per noi non specialisti una descrizione sommaria della vita sulla Terra nei periodi arcaici che sono a monte dell'era quaternaria, quella per intenderci in cui appaiono i pre-ominidi. E gliene siamo grati, perché per molti di noi periodo cambriano, siluriano, devoniano oppure paleocene, eocene, oligocene, miocene, pliocene sono sintagmi (espressioni tecniche_ fisse) vaganti come nebulose dentro la nostra cultura o capricci della memoria liceale. Nell'attenta panoramica della preistoria umana dal punto di vista fisiologico il lettore troverà anche dati assai suggestivi: per esempio, la notizia che fra gli antenati dell'uomo di molto più lontani delle scimmie vi furono degli insettivori del tipo dello scoiattolo e poi altri fra il lupo e l'orso (ohimé, i futuri licantropi!) e che dagli alberi i nostri progenitori animali sarebbero scesi solo nel pliocene. Questo ripercorrere con chiara schematicità la storia dell'evoluzione della specie, cioè la filogenesi, in rapporto all'ontogenesi mi ha fatto, daccapo per analogia, pensare ai lavori dei moderni antropologi che, fondendo metodo storico e metodo strutturale, vedono le corrispondenze (alla Burkert, per intenderci) fra comportamenti naturali e preistorici e il loro ritualizzarsi poi nella storia senza che più se ne riconosca la lontana genesi. Anche nel pensiero di Balbi la componente strutturale gioca un ruolo di primo piano nel collegare la filogenesi alla «evoluzione stratificata• del cervello. Ma che cos'è questa evoluzione stratificata? L'ipotesi di Balbi è la seguente: nel corso della vita intrauterina ed extrauterina ogni uomo passa attraverso gli stessi stadi percorsi dai suoi antenati animali durante l'evoluzione della specie: «Ne deriva che il nostro comportamento sarà di volta in volta governato da strutture nervose - o 'centri' - simili a quelle che nelle diverse fasi filogenetiche hanno presieduto al comportamento dei nostri progenitori».' Attenzione! Balbi parla di strutture nervose preposte al comportamento, non di comportamenti in sé che, ovviamente, saran~o influenzati sia da condizioni sociali esterne sia da precisi stimoli esterni. Qui il tentativo di non mettere in opposizione il punto di vista dei sostenitori del biologico e quello dei sostenitori del sociale è evidente, oltre che saggio. , Le strutture' nervose via via che diventano attive si stratificano in ·diversi livelli entro il nostro cervello secondo un modello quasi gerarchico: al fprmarsi di un livello più recente le strutture inferiori gli consegnano la loro funzione, salvo ritornare in attività in situazioni particolari (il caso del nostro malato di morbo di Parkinson che si mette a correre). Questa economia di rapporti fra livelli che consegnano le loro funzioni a quello superiore e la riconsegna in caso di lesione dei livelli superiori o di ipnosi o di alcoolismo o di altri meccanismi psichici è la parte più originale, più ricca del libro, ma che non può qui essere riassunta data la sottigliezza dei passaggi: il lettore troverà la risposta a tutte le conturbanti dieci novelline del Prologo. • e i preme invece soffermarci su qualche problema particolare in rapporto alla abbastanza eccitante teoria delle «aree mute» del cervello umano. È chiaro che nel bambino le strutture correlate con i processi psichici superiori sono ancora inattive perché immature. Invece nell'uomo primitivo sono inattive, quindi mute, per maRcanza di stimoli che le rendano attive: prima dell'invenzione dell'alfabeto l'~rea cerebrale che presiede alla lettura, ci dice Balbi, pur essendo pronta a funzionare «era, per forza di cose, 'muta'». E Balbi aggiunge: «A questo proposito, non sarà inutile ricordare che NanniBalestrini Sette sonetti 1 2 3 4 s 6 pieno di mosche anche se sembra li appoggiato l'importante sembrava rovesciata senza lineamemi nel paese immobile sparita se leggermente senza così mentale mentre verticale aprendosi passando oltre diluita dimentica • nero spenge e toccare ora che ritagliando tu/lo da una parte ali'altra appariva ogni tanto la fase precedente tu/lo finisce per non sono e poi ci siamo mancllva poco lungo là dove ancor oggi sono presenti nel cervello umano delle aree 'mute': per cui non è illegittimo supporre che in queste stesse aree esistano centri inattivi unicamente per la mancanza di stimoli adeguati. Se in un futuro più o meno prossimo tali stimoli dovessero prodursi (così come, tanto tempo fa,si produsse lo stimolo dell'alfabeto, chiamando in vita il 'centro della lettura'), le aree silenziose del nostro cervello cesserebbero d'essere tali e l'uomo si arricchirebbe di nuove facoltà». Que;ta faccenda delle aree silenziose o mute che dir si voglia intrica profondamente· il nostro pensare. Qualcuno può vede1 rvi i segni di un determinismo assoluto, altri i segni dell'esistenza di una Divina Provvidenza, altri l'indizio di una nostra evoluzione ancora in corso, altri può fermarsi alla soglia di quello che si configura un aspetto ancora misterioso della Natura; e chi ha temperamento fantasioso può dilettarsi a immaginare futuri cammini dell'uomo, nello.spazio terrestre o cosmico, sulla pagina bianca o dentro scientifiche metamorfosi. Vasto e quasi inumano è questo pensiero delle nostre aree mute. li libro si chiude con una Postfazione di Rosellina Balbi in cui è acutamente messa a fuoco la dialettica delle posizioni varie riguardanti i condizionamenti biologici da un lato e sociali dall'altro nei riguardi del comportamento umano, ma in cui si attribuisce alla teoria sul cervello esposta nel libro in discussione una possibilità di mediare fra gli estremi delle opposte teorie, in quanto le nozioni di predisposizione funzionale e di agente esterno ·che fa maturare le funzioni non appaiono passibili di contraddizione, soprattutto, aggiungiamo noi, quando l'agente esterno o provoca la riconsegna di una funzione a centri arcaici, che non appartengono al contesto storico, o provoca lo svegliarsi di un'area silenziosa. Si chiude il libro riflettendo su quanto faticare di specie c'è voluto perché il nostro cervello nascesse e con esso l'uomo, questo simbolo capace di tanti significati, spesso fra loro incompatibili. E tutto nasce lì, in quei ventuno livelli che Balbi pone sotto il «livello extra•, quello dell'autodeterminazione, e che a volte giocano il minuetto a spese nostre attraverso consegne e riconsegne di funzioni, come nel caso di quella quattordicenne Félida, di cui ci parla Balbi, dotata di «personalità alternante»; Félida numero due resta incinta e Félida numero uno non ne sa niente e non riesce a capacitarsene; forse tutta la vita non basterà perché una sappia dell'altra. Sembra questa di Félida una fiaba simbolica sul genere umano e su quella organizzatissima, eppure misteriosa cooperativa di livello che è il nostro cervello, alla cui nascita hanno collaborato cielo e terra, le epoche glaciali, i diluvii e tutto l'andare per acqua e poi per terra e per aria di iante specie di animali, un tutto evocato con intelligenza e discrezione da un libro a cui dobbiamo moltissimi stimoli a meglio guardarci di dentro e di fuori. 7 questo è tu/lo per ora in questo momento è come se si dividono in perdersi senza lunga fila leggera e poi non c'era la nel paesaggio necessario consunta appena li cosi fossimo già lupi fine ma filamenti lungo le rotolando dal mancava molto morti colori invece siamo nella gabbia e quante parole bruscamente interr in fondo alla nel passaggio possibile mordi appena appena sciacalli rifioriscono incessanti senza l'ombra azzurro liquefazione contorni sfocati a testa in giù e ciò che è intorno strillano il giardino dipinto tu/lo passa con tracce di movimento sempre più forte più strano è la fine della pippoli ad esempio senza afferrare e altre tracce perpendicolare a/traversando che uno non se non fa niente il melone quando ci siamo tu/lo disfandosi non è finita ma è tu110vero lo immagina bene senza a/lesa vada come vada l'ultima volta quando tu/lo cambia pentiti solo basta toccare dove potrebbe né che mai più le ri indelebile situazione confusa non la voglia di di non averlo non trovando altre essere arrivata vedrò. e sopra11u110 nessun contatto o la mia fatto abbastanza parole la lunga a/traversata eca~ ne . . . . . . . . . . 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