Alfabeta - anno III - n. 30 - novembre 1981

N el prendere conoscenza di questo imponente fronte di ricerca, vanno tenuti presenti i rapporti disgiuntivi tra gli studiosi russi dell'Otto e Novecento da un lato, quelli occidentali dall'altro. Di fronte a una letteratura con pochi secoli di vita, e con incunaboli di lingua, e persino di scrittura, così diverse da essere pascolo per i soli filologi, la produzione popolare (dalle fiabe alle bylù,e) acquista un'importanza non solo quantitativa e di connotazione nazionale, ma storica, per le sue radici che raggiungono strati cronologici remoti anche se difficilmente misurabili. Se la Russia è da lungo tempo patria di grandi folcloristi e mitologi, è per il prestigio che questa produzione preletteraria vi conserva, oltre che per la ricchezza di documentazione. Si capisce allora meglio perchè molti contributori al n. 42-43 di Strumenti critici si rifacciano al modello del mito. Non solo Meletinskij, il maggiore etnosemiologo d'oggi, che affronta // "mitologismo" di Kafka, ma anche V.N. Toporov, nel suo articolo su La poetica di Dostoevskij e gli schemi arcaici del pensiero 111itologico, e V. V. lvanov, nello studiare. in un variegato panorama metodologico, Il "problema fondamenta/e" nella teoria dell'arte di S.M.Q. Ejzenstein. Dostoevskij, per esempio, non ha il minimo debole per folclore e popolarismi; ma la prospettiva mitologica permette d'interpretarne l'opera considerandolo come potenziale fondatore di miti o come utente di procedimenti ritenuti di solito propri del mito, per esempio le ripetizioni, il raddoppiamento, i «ritmi delle situazioni», gli svolgimenti paralleli, la rimotivazione etimologica dei nomi propri. Quanto a Kafka, scrive Meletinskij, nel corso di un avvincente confronto con Joyce: « Il carattere mitologico della fantasia artistica di Kafka si svela in tutta la sua simbologia (non si tratta cioè di un'allegoria diretta, sia essa religiosa, filosofica, politica o di altro tipo) nel fatto che la costruzione dell'intreccio si identifica con la ponderata costruzione diretta e chiaramente finalizzata di quel modello simbolico del mondo che costituisce il senso generale delle opere di Kafka» (p. 494). Per le connessioni tra letteratura antico-russa e letteratura moderna, può valere come esempio l'articolo del grande filologo russo contemporant:o D.S. Lichacev, La rivolta nel "mondo delle tenebre" (da leggere a fronte col successivo intervento di Lotman e Uspenskij). Riprendendo e rettificando, in ambito slavo e con documentazione meglio vagliata, certi spunti del Rabelais di Bachtin, Lichacev mostra la diversa funzione degli «antimodelli» del mondo prima e dopo la barriera del XVII secolo. Prima, la parodia, che è quasi sempre stilistica, stravolge imodelli formali burocratici, chiesastici e letterari, dando vita a un antimondo attribuito ai poveri, agli affamati e agli ubriachi; l'antimondo si oppone all'ordine e alla coerenza del mondo a scopo prevali.ntemente comico. Per contro, nella letteratura democratica del sec. XVII llya Prigogine l'antimondo si contrappone minacciosamente al mondo, il cui ordine apparente è ingiustizia e crudeltà; l'antimondo diventa una proposta di nuovi valori e di una migliore organizzazione. Additati questi segni, tra tanti altri, della «diversità» della cultura russa, di cui occorre tener conto nello studiarne esponenti in ambito letterario o critico, concluderemo con un accenno al magnifico contributo di Lotman e Uspenskij, Il molo dei modelli duali nella dinamica della cultura russa (fino alla fine del XVIII secolo), pp. 372416 del n. 42-43 di Strume111icritici, che di questa «diversità» dà un'interpretazione avvincente. Sin dal medio evo, la cultura russa tenderebbe alla polarità (antico-nuovo; Russia-Occidente; religione-paganesimo) privilegiando alternativamente l'uno o l'altro polo dell'opposizione, mentre mancherebbe di una fascia assiologicamente neutra, che favorisca e sdrammatizzi i cambi di polarizzazione. Ogni passaggio di fase si presenta dunque come ribaltamento della precedente: non esiste tendenza conservatrice, ma solo reazionaria o rivoluzionaria. Aggiungo che i rapporti anticonuovo, Russia-Occidente, religionepaganesimo o ateismo, non si muovono, secondo gli autori dell'articolo_ contemporaneamente tra i due estremi, ma anzi attuerebbero passaggi alternati di polarità, secondo una casistica che caratterizzerebbe precisamente delle fasi storiche. Chiudo con questo articolo perchè è doppiamente esemplare: come tentativo di interpretazione globale della cultura russa, e come applicazione originalissima della culturologia di matrice semiotica. Solo una postilla: gli ultimi decenni di regime sovietico non hanno forse consolidato quella fascia assiologicamente neutra, insomma conservatrice, la cui mancanza notano Lotman e Uspenskij nella storia della Russia? l'arricchimendteollanatura ..... 00 O\ I. Prigogine/1. Stengers La nuova alleanza. Metamorfosi della scienza Torino, Einaudi, I98 I pp. 288, lire 20.000 I. Prigogine/I. Stengers Contributi all'Enciclopedia Einaudi: «Controllo retroazione» con Q. Nicolis) Voi. 3, Torino, 1978 pp. 1249, lire 60.000 «Energia» e «Equilibrio/squilibrio», ivi, Voi. 5, Torino, 1978 pp. 1115, lire 60.000 «Interazione», ivi, Voi. 7, Torino, 1979 pp. 1119, lire 60.000 «Ordine/disordine» e «Organizzazione», ivi, Voi. IO, Torino, 1980 pp. 1187, lire 60.000 «Semplice/complesso» e «Sistema», ivi Voi. 12, Torino, 1981 pp. 1099, lire 60.000 «Soglia», ivi, Voi. 13, Torino, 1981 pp. 994, lire 60.000 11 problema dell'unità complessiva dell'impresa scientifica, della possibilità e utilità dell'edificazione di una sua immagine sintetica accanto a quei processi analitici che si sono rivelati proficui per moltissimi ricercatori, è senz'altro uno dei problemi chiave che ha accompagnato la scienza moderna sin dal suo sorgere. AI giorno d'oggi esso appare ricevere importanti spostamenti e approfondimenti da parte di numerosi scienziati, di collocazione culturale e di competenze disciplinari differenti. Dinanzi ai processi di specializzazione sempre crescente, e di proliferazione quasi esponenziale dei campi da indagare e delle metodologie di indagine, che caratterizzano in maniera decisiva lo sviluppo dell'impresa scientifica almeno dai primi decenni dell'Ottocento, sembrava fino ad anni assai recenti che non si potesse fare a meno di affrontare un dilemma abbastanza semplice, ma dagli esiti indesiderabili. Si poteva negare l'importanza o comunque la centralità di una prospettiva unitaria e sintetica nel contesto scientifico, con tutti i rischi di indominabilità degli sviluppi della scienza e di disimpegno filosofico che ne derivavano. Oppure si rimaneva tenacemente legati all'idea dell'unità ricercando qualche principio, linguaggio o ordine (sufficientemente astratto, si intende) che potesse garantirla dietro la diversità dei processi storici: ma questi principi assomigliavano pericolosamente a delle coperte troppo corte, a dei canoni normalizzatori dannosi per la reale varietà dell'impresa scientifica. Su questo punto, ci se,mbra, sono naufragati i tentativi neopositivisti al proposito, che pure erano mossi da ragioni etiche e politiche certamente valide. Se si deve ora sintetizzare in brevissimo spazio che cosa rende la situazioB1bl1otecaginoo1anco Gianluca Bacchi ne comemporanea diversa da quella qui delineata, ritengo ci si possa così esprimere: la presenza, e la consapevolezza sempre crescente da parte di scienziati, filosofi, ecc. (non direi certo: da parte di tutti gli scienziati e i filosofi), di un principio di complessità irriducibile degli oggetti scientifici accompagnato da un principio di compleme111arità çlegli approcci teorici che ad essi si riferiscono. In altre parole: più aumenta la nostra conoscenza di un oggetto o di un sistema particolare, più aumentano le dimensioni rilevanti per una sua adeguata teorizzazione. Si rende imprati- • cabile la possibilità di una riduzione di tali dimensioni sulla base di una spiegazione del complesso a partire dal semplice, e l'unica strategia vincente si rivela la proliferazione di approcci teorici differenti relativi a un medesimo problema od oggetto, anche e sopra11ut10quando essi si trovano impegnati l'un contro l'altro in una serie di conflitti sul piano locale, senza che se ne dia un 'immediata possibilità di decisione e di sintesi sul piano globale. L'odiern'o contesto scientifico appare dunque caratterizzato da una serie di programmi, che si combattono, si soppiantano, si sintetizzano, coesistono a seconda dei casi, ove tale nozione esprime contemporaneamente la dichiarata parzialità di ogni approccio teorico, ma anche ilsuo sforzo per riferirsi in maniera adeguata a domini sempre differenti e, possibilmente, sempre più ampi. L'opera di llya Prigogine costituisce un'ottima illustrazione della compresenza in tali programmi di aspetti locali e globali, dato il suo progressivo spostamento da indagini analitiche e scientificamente delimitabili a domande di tipo sintetico e di natura filosofica e metafisica. Partito da problemi interni alla fisica e in particolare alla termodinamica, egli si è trovato a dover affrontare le questioni interdisciplinari di capitale importanza relative ai rapporti fra fisica e biologia, ovvero alle continuità e alle discontinuità intercorrenti fra vivente e non vivente, fra le leggi dell'inanimato e quelle dell'animato. Ciò ha posto in primo piano la questione di un'immagine sintetica del contesto scientifico nella quale risultassero riproponibili quelle domande che troppo spesso i processi di delimitazione dei settori disciplinari tendono ad occultare: in primo luogo quelle relative al posto dell'uomo nella natura, al rapporto fra le descrizioni fenomenologiche e macroscopiche degli eventi e le leggi fisiche che sembrano regolarli, al carattere più o meno razionale e motivato degli schemi ai quali tentiamo di sottoporre il perenne fluire dei processi storici. Nella sua investigazione della natura il programma di Prigogine ha così sviluppato una forte componente autorijlessiva. Si è cioè interrogato sui caratteri e la portata della sua obiettività, sullo spazio che può occupare nei processi di conoscenza contemporanei, sulle sue radici vicine e lontane: in J) breve, ha fatto della filosofia della scienza, nel senso più tecnico ma anche più significativo del termine. I f attività propriamente filosofica di I. Prigogine, condotta in stretta collaborazione con Isabelle Stengers, si è volta negli ultimi anni sia a un'analisi di campi problematici e aggregazioni concettuali particolari (di cui testimoniano i numerosi contributi all'Enciclopedia Einaudi) sia ad un ripensamento sull'evoluzione della fisica e della scienza moderna in generale (La nuova alleanza, di cui è appena uscita la traduzione italiana). Il tema centrale ed unificatore è la convinzione che la scienza contemporanea, novecentesca, abbia realizzato e stia tuttora realizzando una rivoluzione nell'immagine della natura comparabile, per profondità ed estensione, a quella fondante la nostra tradizione scienùfica, quella seicentesca, galileiana. Esiste cioè un deciso riorientamento delle prospettive scientifiche: «Sia a livello macroscopico che a livello microscopico le scienze della natura si sono liberate da una conce.zione ristretta della realtà oggettiva che pretendeva dover negare nei suoi principi la novità e la diversità in nome di una legge universale immutabile. Esse si sono liberate dalla fascinazione per cui la razionalità era dipinta come qualcosa di chiuso e la conoscenza descritta come se fosse in via di un adempimento finale. Esse si sono ormai aperte all'imprevedibilità; l'inaspettato non ha più il segno di una conoscenza imperfetta o di un controllo insufficiente. Esse si sono aperte al dialogo con la natura che non può più essere dominata con un colpo d'occhio teorico, ma soltanto esplorata; al dialogo con un

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