Alfabeta - anno III - n. 30 - novembre 1981

\. - La poesi•t~hdeice no Vladimir Vysockji, poeta. cantautore, attore del Teatro moscovita na Taganke, è oggi in Unione Sovietica un mito scomodo per la cultura ufficiale. Il fatto che il suo primo longplaying sia uscito soltanto nel dicembre dell'anno scorso dopo la sua morte e che una sola poesia sia apparsa in una rivista sovietica nel 1976 non gli ha impedito infatti di acquistare una straordinaria popolarità fra un 'enorme massa di pubblico - non solo intellettuale e giovanile - che si riconosce nella tragico-ironica rivolta espressa nelle sue canzoni. Le ragioni del fascino di questo poeta-attore, rimasto fino ad ora in Italia praticamente sconosciuto, non sono forse immediatamente avvertibili fuori del contesto russo. Possono infatti sfuggire i continui rimandi allusivi delle sue poe ie. Vengono inoltre a mancare i codici non verbali-dalle intonazioni della voce rauca e sensibilissima alla musica della chitarra - che contribuiscono ad arricchire il suo messaggio di complesse e sempre nuove sfumature. Ambigua risulta infine la definizione di cantautore, personaggio che ha in occidente un ruolo generalmente Cavalli difficili Lungo l'abisso, al limite estremo, meno significativo nell'ambito della poesia contemporanea. In Unione sovietica invece i testi poetici più validi e vivi vanno ricercati proprio fra quelli di cantautori come Vysockij e Okuzava, noto anche in Italia attraverso le canzoni presentate in Poesiasovietica degli anni 60 (Milano. Mondadori, 197I). A· partire dalle serate poetiche di massa in cui autori come Block si esibivano davanti ad un grande pubblico, la poesia russo-sovietica ha del resto cercato sempre un contatto diretto e immediato con i suoi destinatari. È una tradizione che, fatta propria dalla cultura ufficiale. sopravvive oggi stancamente nelle letture negli stadi. nelle fabbriche. nelle scuole. Nell'attività dei poeti-cantautori essa ha trovato però una nuova linfa vitale. a cui non sono certamente estranei la maggiore libertà e i risvolti eterodossi che umi cultura orale. consumata nelle serale e nei concerti. consente in un paese come l'Urss. La scelta compiuta consapevolmente da Vysockij, nonostante la tentazione di evadere, è stata. come sottolineano le sue poesie dalle Soste dei lo i miei cavalli li spi11goavanti con la frusta. Mi manca l'aria, il vento lo bevo, la nebbia la inghiotto, Sento un mortale entusiasmo: vado giù, giù ... Appe11au11po' più piano, cavalli miei, un po' più piano, Non date rei/a alla frustai Ma i cavalli che mi so110capitati so110difficili, E 1101h1o fallo in tempo a vivere fino alla fine, a finire di cantare... Canto di voi, cavalli miei, Vi canto, Pur di restare ancora un poco sull'orlo dell'abisso. Mi tolgo dai piedi. L'uragano mi spazza via come una piccola piuma dal palmo della mano. E sono trascinato al galoppo sulla neve. Andate a passo lento, cavalli miei, Anche soltanto di poco prolungate il viaggio fino a/l'ultimo rifugio. Siamo arrivati in tempo. Quando /;ospite.è Dio non sono possibili ritardi Ma anche qui gli angeli camano con voci maligne O è il campanello della sii/la rimasto senza fiato per i singhiozzi O forse sono io a gridare ai cavalli di non trascinarmi tanto in fretta. Appena un po' più piano, cavalli miei, u11po' più piano, Vi prego di correre e non di volare. Ma non so perché mi sono capitati cavalli difficili E non ho fatto in tempo a finire di vivere e neanche di cantare. La fwdlaziuae dell'eco Nel silenzio del monte dove le rocce non fanno os/aco/o, os/acolo al ven/0, Lassù dove non è mai penetralo nessuno, nessuno, Abi1ava, viveva gioiosa un'eco di montagna E rispondeva alle grida alle grida degli uomini. Quando la so/i/udine li strozza, ti prende alla gola, E un /amen/o soffocalo cade nell'abisso quasi senza farsi sentire, A venirti in aiuto è l'eco, che subito raccoglie questo grido, delicata lo prende nelle sue mani, Lo rafforza e lo fa arrivare a chi lo ascolta. "' Erano forse canaglie non uma11e, -~ fornite di droghe e di filtri malefici e:,. perché il rumore dei passi e il loro sbuffare non fosse sefllito, Quelli che sono venuti a soffocare, a ridurre al silenzio la gola viva del monte, E l'hanno legata, le hanno messo un bavaglio alla bocca. t dùrato tu/la la notte Il sanguinoso divertimemo crudele. L'eco è stata calpestata, ma suoni non ne Irasentiti nessuno, nessuno. E la ma11inahanno fucila/O l'eco, l'eco di montagna ormai divenuta muta E sono cadute /aaime come pietre dalle rocce ferite. otecag1 Iuu1ar c.;O bauel/i a Nel buio, quella di restare là dove delle sue canzoni c'era maggiore bisogno. di parlare ai russi e per i russi. rifiutandosi di continuare come tanti poeti «a ripetere sempre le stesse cose mentre la realtà va per un'altra strada». Lo stato di malessere e di inquietudine che egli testimonia con le sue poesie può essere recepito facilmente anche dal lettore occidentale, che vive una crisi non meno difficile anche se molto diverse ne sono le cause. Ad essere maggiormente colpito è però certamente il pubblico russo. abituato al quadro roseo e insincero offerto dalla letteratura ufficiale. quasi antitetico rispetto alle macroscopiche contraddizioni che il lettore si trova a vivere ogni giorno. Vysockij canta sotto metafora le esili rivolte e attese. le lotte quotidiane. le sconfitte e le angosce della vita sovietica contemporanea. raccogliendole come reco di una delle ,ue poesie e ritrasmettendole al pubblico. Questo ruolo di «eco» - anche se alla fine soffocata-. di «lupo che non aggira gli ostacoli». ma affronta direttamente i problemi e li propone agli altri per superarli o almeno viverli insieme, ha in un contesto come quello sovietico una funzione che né l'ottimismo della letteratura ufficiale né il dissenso alla Solgenitsin. vezzeggiato e strumentalizzato dall'occidente, hanno o possono avere. Un tema ricorrente di questo poetacantautore è la guerra, uno dei più diffusi e usurati in Urss per motivi che non sempre sono chiarissimi. La rievocazione. spesso ripetitiva e monocorde. di vicende fondamentali per chi vi ha preso parte ma anche lontane ormai quasi quarant'anni, è infatti uno dei modi possibili per sorvolare sul presente e sulle sue contraddizioni. Nei testi controcorrente di Vysockij questo tema si rinnova e si arricchisce invece di una doppia valenza. presentandosi come ricordo di un passato lontano. ma anche e soprattutto come metafora di un presente non migliore. in cui è ancora necessario «combattere» e «dividere gli altri in amici e nemici». A questo presente si riferiscono canzoni come Nel buio. dove runica ironica indicazione concreta («e le strade. le strade sono piene di buche») è immediatamente decifrabile dal Canzone del tempo nuovo pubblico sovietico, o Ginnastica ma/tutina, che prende spunto da una trasmissione radiofonica per attaccare ferocemente i facili rimedi proposti dal trionfante ottimismo ufficiale a problemi tutt'altro che semplici. Nelle poesie dell'ultimo periodo, Cavalli difficili, La fucilazione dell'eco, Cacciaai lupi, alla rivolta e all'ironia si sostituiscono l'angoscia e la disperazione esistenziale di chi «non ha fatto in tempo a vivere fino alla fine e neanche a finire di cantare». Il dramma cantato- ma anche vissuto da Vysockij morto ranno scorso a 42 anni al termine di un'esistenza logorante-è poi quello di tutta una sfortunata generazione, che trova due emblematici interpreti. amati dal pubblico russo come pochi. nello stesso Vysockij e nel regista-scrittore Vasilij Suksin, scomparso nel 1974 a 45 anni, «l'amico lasciato andare da solo fra le betulle del cimitero di ovodeviè ad una sbornia senza tempo né limiti», che il cantautore attraverso trasparenti allusioni rievoca in una delle sue canzoni come un alter ego di se stesso. Simone/la Salvestro11i Come un segnale di allarme, i passi pesami risuo11avanonella noue Era tempo di a11darse11se nza indugi e dirsi addio senza parole. Passavano e ripassavano i cavalli su sentieri mai percorsi Co11ducendoi cavalieri verso una meta ignota. Il nostro tempo è diverso, cauivo ', ma la felicità dobbiamo cercarla come allora! E la inseguiamo e ci sfugge E correndo perdiamo i compag11imigliori, senza accorgerci nella corsa che 1101c1i so110compagni intorno a noi. E ancora i piccoli fuochi ci sembreranno ince11di, A lungo ci apparirà di malaugurio il suono pesame degli stivali, I bambi11igiocheranno alla guerra chiamandola con vecchi nomi, E gli altri continueremo a dividerli in amici e nemici. Ma quando il rumore si sarà acquietato, quando non ci saranno più fuochi E le nostre donne indosseranno vestiti leggeri e non più cappoui da soldati Non dimemicare allora, non perdonare, non lasciare che niente si perda. I) Qui Visockijgiocasui diversisignificatidt/l'agget1iV'J ichoj eh, vuol dirt «audact, ardito,ttmuario», ma anche«maligno,cattivo»,gioco cheha permessoallacanzonedi superq~ il controllodellacensura. Ori ha detto che la tern è morta Chi ha detto che la terra è diventata cenere, Che non vi geueranno più semi? Chi ha dello che è morta? No, trattiene il respiro e aspeua. No11si può toglierle la sua natura di madre, Portargliela via a forza, Come non si può vuotare il mare. . Chi Irapotuto credere che la terra sia bruciata? No, è stata la sofferenza a disseccarla. Come tagli sono i solchi delle trincee, E le fosse dei proiettili si spalancano come ferite. I nervi nudi della terra Conoscono sofferenu infernali. Sopporta tutto la terra, aspe/la, Non considerar/a malata, Chi ha detto che 1101c1allla, Che è stata ridotta al silenzio per sempre? No, essa geme, lasciando uscire il suo pia1110 Da tutte le sue spaccature e ferite. Perché è la nostra anima la terra E l'anima non si può calpestare con pesanti scarpe da soldati Chi ha potuto credere che la terra è bruciata? No, tra/tiene il respiro e aspe/la. Traduzione di Simonetta Salvestroni

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