Alfabeta - anno III - n. 30 - novembre 1981

'O - I qua11ro poeti che vi presentiamo fanno parie della «Nowa Fala» polacca. Di questo termine, forgialo sulle corrispondenti occidentali «Nouvelle Vague» e «Ncuc Wclle». si è sentilo parlare in Occidente a proposito del gruppo di giovani registi debuttanti rivelatosi al Festival del cinema di Danzica nel 1979, contraddistinto da una maniera immediata e dirompente di rappresentare i conflitti della società polacca. Ma «Nowa Fala» è qualcosa di più: è una generazione (di scrittori, poeti, cineasti, grafici), è una ribellione (agli schemi consolidati della «vecchia cultura», alle paure), è la voglia di esprimersi esplicitamente, senza più mediazione. L'appartenere ad una medesima generazione non è qui un dato as1ra11amcntc biografico, né solo il segno di una poetica giovanilistica: piullosto è il risvolto di un passato.recente (il '68 degli studenti) e_delle sue lacerazioni storiche cd esistenziali. Per questo di lulla la « owa Fala», (che è un movimento fluido, aperto, vasto) si è scelto qui di privilegiare proprio quegli esponenti che più radicalmente hanno assunto le conseguenze di quel breve scontro col potere, violando le regole del gioco ed affrontando i rischi di un'estromissione dai circuiti ufficiali della cultura: Branczak, Bicrczin, Szaruga e Zagajewski sono redallori e collaboratori di riviste «samizdat'• che fino a ieri hanno condolio una difficile campagna contro i compromessi cd i ricatti del potere, per la libera circolazione delle idee. Il '68 però non è una data di trapasso solo sotto il profilo biografico-esistenziale dei suoi protagonisti: al tempo stesso viene sconvolto un mondo Stanislaw B■ranczak Stanislaw Baranczak ( I 946 -). Capofila della «NowaFala• poetica, è un attivo collaboratore delle rivistedel dissensopolacco Zapis e A11,ks.Traduttoredi D. Thomas. E.E. Cummings,dei poeti metafisiciinglesi, oltre che di O. Mandelstame di J. Brodskij, ha pubblicalo numerose raccolte di versi, prima in patria, poi all'estero (Correzio11,facciale, 1968; /11 u11soffio, 1970: Giornale del mattino. 1972; lo /oso che non è giusto, 1977; Respirazione artificiale. 1978). Particolarmente attento ai nuovi fenomenidella cultura di massa, alleevoluzioni della lingua e della leueralura contemporanea (anche nei suoi generi «minori». come il «giallo•), è autore di una serie di acuti ed interessanti saggi, molti dei quali ancora inediti (Diffidenti e fiduciosi, 1971; Eticae Poetica, 1979; Il bavaglioe la parola, 1980 ccc.). Rcccnlcmenle è slalOreintegrato nelle sue funzioni di assistente presso l'univcrsit~ di Poznan, dove lavorava fino al 1977. assestalo di riferimenti, di valori, anche sul piano culturale. I giovani scoprono intorno a sé il vuoto, la finzione. la retorica: si trovano costretti a ridefinirsi, a trovarsi uno spazio di espressione non contaminato. Prima di questa data, infatti, la «nuova• poesia era una specie di appendice - in un tessuto mediano tra «grande» letteratura e giornali studenteschi - nel vasto corpo della «poesia linguistica», la corrente legata ai nomi di M. Biafoszewski e T. Karpowicz. Nei bizzarri corsi e ricorsi delle tendenze letterarie, la poesia degli anni '60 - di cui i «linguistici» erano gli ultimi eredi- aveva riscoperto. dopo le inquietudini ed i disagi del «disgelo», la dimensione «privata», le ansie esistenziali, in una riduzione dell'agire a pensiero, ricordo sogno o nostalgia. I «linguistici• in particolare avevano individuato nel linguaggio l'unico oggetto poetico possibile, da smontare e rimontare come un meccano, attraverso un'attenta utilizzazione delle metafore, delle assonanze, dei giochi· di parole. La costruzione poetica diveniva cosi una sorta di negazione della realtà esterna a favore di quella interiore, accoccolandosi così negli angusti spazi lasciati liberi dalle restrizioni della censura. È all'ombra della corrente «linguistica» che nascono molti degli esponenti della «Nowa Fala», sia emulandola che rinnegandola: ma, verso la fine degli anni '60 le varie formazioni «giovanili•, sorte qua e là in tutta la Polonia, sono già un «movimento• a sé stante, estremamente fluido ed aperto a tutte le esperienze e verifiche 1 , quanto l'altro è ormai consolidato e rigido. Il '68 giunge a spezzare questo ormai logoro cordone ombelicale. introducendo nel patrimonio acquisito dell'esperienza «linguistica» qualcosa di più della scoperta dell'enorme potenziale espressivo della lingua, vale a dire la coscienza di una profonda dissociazione del linguaggio; non a caso Prigione di L. Szaruga riporta in un verso l'atmosfera specifica di quell'anno: «Gridavo la stampa mente bruciavo i giornali», avvolta in una cupa aureola di incubo. L'elemento di separazione Ira poesia «linguistica» e la nuova poesia era infatti - come ebbe a scrivere R. Krynicki - il passaggio da «uno stato di sospetto» della lingua ad un vero e proprio «stato di minaccia»: la manipolazione dei mass-media durante la protesta degli studenti aveva svelato in tutta la sua ampiezza la totale degradazione di una lingua schiava, negata alla verità ed alla fantasia. degradazione che non si poteva più ignorare, neanche nel mondo delle «belle lettere». Per i poeti della «Nowa Fala• la lo11a contro questo metamorfico corrompersi del linguaggio non poteva prescindere dalla realtà che la sottin1endeva, quella stessa che la «lingua della propaganda», nelle sue idilliche rappresentazioni, contribuiva a mistificare. Contro la «poeticità» dei «linguistici» il gruppo «Adesso• di A. Zagajewski- uno dei più significativi della fine anni '60- sosteneva l'aspetto «dialettico» della poesia: un fenomeno in instancabile evoluzione, pronto a dar vita a situazioni poetiche sempre nuove, legate «dialetticamente» al nascere di nuove situazioni storiche. Assolutamente no In quelle strade che tall/e volte Si trattava perciò di un appello al realismo. condiviso da molti altri esponenti della nuova costellazione poetica: «rautentismo», il «realismo poetico» o «non ingenuo» (secondo le molteplici definizioni di «movimento»), rispondevano infalli a una comune esigenza di un rapporto «sincronico» con la storia, con gli oggelli, senza trasformarli in estetiche costruzioni di parole, dove la realtà diveniva finzione e le cose giochi di cartapesta. In questa chiave la poesia diveniva uno strumento per riconoscere le cose, nel caos di una dolorosa tabula rasa dove i nomi avevano perso significato ed i valori l'identità: nel silenzio delle omissioni e delle cemure, il richiamare, nominandoli, gli oggelli dal nulla.si traduceva in un atto dalle profonde implicazioni etiche. Si scopriva così il risvolto della retorica, la «piccola» realtà quotidiana: un mondo spesso squallido e brutale visto sotto la lente d'ingrandimento del riso, della parodia, del grottesco. In questo mondo il testo poetico si poteva attorcigliare attorno al bla-bla di un comizio (Un'epoca determinata di St. Baranczak) o all'operaio che picchia la moglie per ricordarle «che esiste la dittatura del proletariato» (Operaio di J. Bierezin) o dove ancora, in un clima che ci ricorda l'assurdo di Piccoli omicidi di Feiffer, bisogna sprangare le fineslre perché c'è il vicino-guardone in agguato col suo binocolo. (Se 110ft puoi fare a meno di St. Baranczak.) La scelta di privilegiare la realtà «della gente, della coscienza, delle riunioni e delle colonie estive, la realtà della doppia fede e delle speranze, delle riunioni di partito e delle partite di calcio, delle gare per la pace e delle battute politiche• era quella da affrontare in una materia caotica per me11erne in risalto gli aspetti più straniati, agli antipodi delle idilliche rappresentazioni dell'apparato di propaganda. La «fella» di vissuto che acquisiva il diritto ad esistere nella poesia emergeva come risposta alla profonda crisi dei giovani poeti e scrittori: con stupore si accorgevano che «le varici a linea retta» di una vecchia abbrutlita e stanca, erano «più rette di tutte le linee del verso». La materia del reale finora «ignota» alla cultura, e per questo «incompleta, vergognosa o brutta» investiva cosi la poesia di tutte le sue potenzialità innovatrici: il quotidiano, il banale, tutto ciò su cui siamo abituati a scivolare con gli occhi, veniva risvegliato da un linguaggio provocante, pieno di espressioni gergali, sincopato. La parodia della «lingua della propaganda», il suo ribaltamento e l'ironia si trasformavano in un'arma contro stereotipi e «fedi collettive», la cui portata superava i confini dell'innovazione poetica. Ancora una volta si dimostrava l'assoluta potenza del riso rispetlo al potere: infatti-come ha scritto M. Bachtin- «il riso distrugge la paura cd il rispetto di fronte all'oggetto, di fronte al mondo, fa di questo l'oggetto di un contatto familiare e cosi ne prepara l'analisi assolutamente libera». Giovanna Tomassucci I) Molli degli esponenti della «Nowa Fala»sono anche traduuori: a loro si deve la conoscenzae la diffusionedelle opere di E.E. Cummings,D.Thomas, A. Ginsberg e della Beai Generation da un lato e di O, Mandelstame J. Brodskij dall'altro. Restrizioni temporanee (1977) l'anno si coprono di un drappo di festa (e rosso è il suo color perchè .. .) davallli a quei grandi ritrai/i Che ne è stato dei nostri mobili: con i nostri mobili ha11110piallato dipillli (e bruno è il lor color perché ...) accanto a quelle /euere di polistirolo portate ad ogni corteo (e il lor color è - per cause ignote - bia11co11eve). Assoluwme111e no, 11011c'è posto per uno così che ha un cervello così inso/iwme/1/l' grigio, 11011hanno bisogno di lui quelli che nelle albe d'inverno vanno al lavoro in tram, le loro numi troppo sono impegnate a stringere cartelle con la colazione, perchè possano tirar fuori 1111 libro, e poi fa troppo buio; 11011 ha bisogno di lui la vecchia che ciondola come la rete della spesa, sulle sue gambe corrono le varici a linea rei/a, , più rei/a di tulle le linee del verso; 11011ha bisogno di lui il giovane dal cappollo di skay che rimanda i dubbi al dopo le speranze al libre/lo di risparmi e non ad un libro qualunque. Assolutameme 11011011c'è posto per lui eppure c'è: 111'i1 1concepibi/e os1i11azio11e sempre gli impone di tirar su da parole muri che per bulla, giù basta un gesto della mano. tribune; che ne è stato della nostra carne: la nostra carne è stata,scambiata con dei megafoni; che ne è stato dei nostri appartame111i: i nostri appartamellli si sono moltiplicati in medaglie; che ne è staro dei nostri cervelli: con i nostri cervelli hanno passato la 111isurac, on i nostri cervelli hanno allevato il silenzio, i nostri cervelli sono stati ,ducati nel silenzio, i nostri cervelli sono stati sepolti nel silenzio, sono saggi perché taciturni Wcilllmi, perché morti. b .. ~tecaginobianco

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