Alfabeta - anno III - n. 30 - novembre 1981

Cfr. Mario Vegetti «Lo spettacolo della natura. Circo, teatro e potere in Plinio», in aut aut n° 184-185 Luglio-agosto l 981 pp. 243, lire 6.100 Nel fascicolo di aut aut intitolato Nuove amichità Mario Vegetti ha costruito uno spaccato dei nuovi modi di approccio all'antichità classica e medioevale, con interventi di Vernant, Lanza, Sircana, Casagrande, Vecchio, Repellini, Ferrari, Crisciani, Detienne, Burkert, Sissa, Le Goff, oltre, naturalmente, al suo, che ci guida alla scoperta della Naturalis historia e del dispositivo che la anima: Plino fa girare al contrario la macchina della razionalità aristotelica, che Vegetti ci aveva mostrato all'opera sullo stesso materiale ne I/ coltello e lo stilo. Mentre lo stile di razionalità aristotelico recide i vincoli di simpatia fra l'uomo e l'animale vivo, dal momento che struttura la zoologia in un sistema tassonomico nella cui rigidità si riflette quella dei corpi morti e sezionati che la fondano, Plinio rinnova una tradizione di favolistica meravigliosa, in cui le essenze vitali animale ed umana non solo mantengono rapporti di continuità e complicità, ma addirittura si scambiano fino ad identificarsi. In realtà i materiali aristotelici non sono spariti nella Naturalis historia, ma Plinio ve li ha occultati dopo averli decostruiti, come le tessere di un mosaico sottratte al loro disegno originario e ricomposte in un gioco delirante di libere associazioni e sequenze metonimiche. Ma Vegetti, che ci ha abituati alla sua diffidenza per l'apparente «debolezza» ed estraneità dei saperi bassi o comunque altri rispetto ad ogni principio ordinatore, riservato alla ragione «forte», non crede alla casualità ed arbitrarietà del testo di Plinio. E infatti, sotto gli effetti di distorsione prodotti dalla rete metonimica, viene fatto riemergere il modello del nuovo disegno: il principio ordinatore esiste anche qui, ed è precisamente l'esperienza della esibizione degli animali nel circo. Fra il macrocosmo della natura e il microcosmo del circo esiste una corrente analogica profonda, che Plinio percepisce in un modo del tutto originale: nella sua opera non è il circo ad essere una metafora della natura, ma è la natura che, contaminata dal rapporto di scambio simbolico col circo, finisce per apparire come grande spettacolo. Il catalizzatore dello scambio è il potere: come la natura offre spettacoli crudeli o comunque indifferenti ad ogni motivazione finalistica, così la regia del potere che ne guida le «repliche» nel circo si sottrae ad ogni logica che non sia quella del vizio, del piacere crudele. Il potere diviene così anche il mediatore fra una zoologia ed una antropologia radicalmente pessimista; la scambiabilità di ruoli fra uomo e animale che si estende dal circo a tutti gli aspetti della vita non determina una rivalutazione dell'immagine animale ma una radicale svalutazione dell'immagine umana. Tutto ciò che vive finisce così per funzionare sul modello di un potere tirannico, crudele, ma, soprattutto, istrione. Carlo Formenti Len10 Goffi Un sabato di febbraio Milano. "Socielà di poesia ... 1981 pp. I 13. lire 6000 Usufruendo di un·immagine danlesca si polrebbe dire che questa notevole raccolta di poesie di Lento Goffi sia «esemplata sul libro della memoria»; senonché qui la memoria ha duplice singolare funzione, quella di rivisitare il passato «a scuotere un'inerzia di molti anni» e l'altra di agire da precipitalo nei riguardi del presente; per nulla quindi copista, classico o romantico, dal libro della memoria il nostro Goffi. Donde l'originalità dei testi, che non hanno avuto la dovuta risonanza in ambito recensorio forse proprio perché di originalità sottile, e non vistosa, si tratta. Goffi collega, nella paziente, acuta ma anche sospettosa ricerca della propria identità, il presente dell'invenzione lirica a un bouquet di passati, da quello personale, luogo dove i giochi sono fatti, a quello della sua terra bresciana, al passato stesso della poesia (Jacopone, Petrarca, Foscolo, Gozzano, Montale, Sereni, e lo stesso Lento Goffi di anni fa). Due prelievi a modo di esempi: il testo Nòstoc è una bellissima sestina, dove le sei parole-rima (nebbia, vemi, pioggia, fiumi, valli, ghiaccio) provengono dalla sestina petrarchesca «L'aere gravato, e l'importuna nebbia», ma sono subito trasferite nell'universo di una Lombardia fantasmatica, quasi a costruire un malinconico e vagamente ironico ponte fra due terre e due poesie così lontane. Il procedimento con le dovute variazioni si attua nella suggestiva sezione Cronachetta ,che già conoscevamo nell'elegante edizione di Scheiwiller accompagnata da sei incisioni della ben nota scultrice bresciana Franca Ghitti. Qui le poesie ricostruiscono qualcosa di lontanissimo, i gesti e le parole affioranti da vecchi documenti bresciani della cultura contadina povera e quello che non c'è, ma c'è stato, sicché solo con altri orizzonti percettivi può esserci ancora, entrar.e a costruire il verso. Lavoro paziente di recupero poetico che passa alle altre sezioni del libro, dove la fonte è magari più vicina, è la scena familiare stessa, col padre e la madre, la vecchia casa e il poeta ragazzo e le cose che muoiono senza essere riuscite a mostrare la loro verità. Goffi però non cade mai in quelle che lui stesso chiama le «trappole d'antan»: a salvarlo c'è la lieve ironia e !'«ostinato vizio/delle parole» (non si ignori che una sezione si intitola L'arte della parola). I mondi della poesia di Lento Goffi entrano gli uni dentro gli altri in modo che non c'è particolare che non racchiuda in sé un universo e non c'è universo che a un certo punto non valga come particolare, superati tutti i limiti di spazio e di tempo. ''>.:_ ~~ d \.,,-'- !'-- -· .,' J ,~~ S. Spielberg I predatori dell'arca perduta Sembrano tornate di moda le dispute tra i critici sui film che bisogna difendere e quelli che bisogna rifiutare. Segno della vitalità o della fiacchezza del cinema? Dopo il gran calderone sul film spazzatura, ecco il busillis sollevato da Kezich e da Del Buono. Divertirsi al cinema o no? Imparare o emozionarsi? Se l'alternativa fosse così semplice la risposta sarebbe facile (e diversificata). Dipende dal masochismo di ognuno. Eppure due parole vanno forse spese, partendo dal concreto, cioè dal film tema del contendere, I predatori dell'arca perduta. Che, a mio avviso, è non solo un film d'avventura molBibliotecaginobianco to divertente. ma è anche intelligente. Perchè: I) dimostra una consapevolezza della centralità dello spellacolo come modello di percezione della contemporaneità e di concezione delle relazioni intersogge11ive; 2) riflelle la consapevolezza della saturazione del simbolico. del fatto. cioè. che tutto o quasi è già stato dello e che ci si muove in un orizzonte di codici comunicativi ipersviluppati e usurati nello stesso tempo. La riduzione del cinema a spettacolo totale. operata. tra gli altri. da Spielberg. si fonda quindi su un·accumulazione di materiale già simbolizzato. che mentre diverte ed emoziona (perchè. è innegabile. diverte e emoziona). palesa apertamente i meccanismi dello spellacolo e ne esibisce il caraltere fi11izioe la finalità ludica. Non si vede / predatvri del/' arrn perdwa come si vedeva il vecchio cinema classico hollywoodiano: oggi c'è nei film dei giovani autori (ma anche di alcuni anziani come Donen) un'evidente sapienza mediologica che aggiunge alla fruizione immediata un altro spessore, che è uno spessore culturale. Per questo la nuova Hollywood dei Coppola, dei Lucas, degli Spielberg rappresenta qualcosa di diverso dalla vecchia Hollywood. Perchè viene dopo la crisi della narratività filmica omologata. dopo la fine dell'ingenuità dello spellacolo e l'avvento della vague strutturalistica e semiologica, e dopo l'esplosione dell'imbecillità di tanto (non tutto) cinema d·autore (italiano soprattutto). È per questo che non ha senso una contrapposizione tra progetto ameriI cano (divertimento puro) e progetto europeo (riflessione critica sul presente). L'alternativa è tra film vecchi che ripetono con varianti poco significative le solite cose, con i privati 1u11i uguali e i Grandi Temi dei media (e provate a divertirvi se ci riuscite), e film intelligenti, all'altezza dei tempi, della complessità dei problemi del simbolico, aldilà di tutte le opzioni rappresentative e umanistiche (quindi Spielberg, Coppola, Lucas, ma anche Altman, Kubrick e Bogdanovich, insieme ad alcuni europei come Wenders e Chantal Akermann. Rohmere il vecchio Buiiuel, ad es.). Si dirà forse che non c'è consapevolezza mediologica e intenzione decostruttiva nel film di Spielberg. Ebbene, a parte l'evidente costruzione del film su modelli narrativi e visivi già ampiamente conosciuti del cinema e dei fumelli, citati con evidente esibizione del gioco interspettacolare, a parte questo, come è possibile non accorgersi che l'iperbole su cui è costruito il film. esemplificata in particolare dal comportamento del protagonista Indiana Jones, è non tanto una scelta narrativa ingenua, quanto uno strumento esplicito di decostruzione narrativa, quanto uno strumento esplicito di decostruzione narrativa, di esibizione della finzione. di ribaltamento dello spellacolo? Ne I predatori dell'arca perduta l'iperbole è la forma dello straniamento, il segno del distacco critico, ma non inibente e sterile, dell'autore, la soluzione linguistica che impedisce una pura e semplice- fruizione ingenua. Pensate alla sequenza dell'inseguimento della colonna motorizzata nazista da parte di Indiana Jones su un cavallo bianco. Siamo in un cinema goduto e smontato nello stesso tempo, immediato e straniato. Non è un cinema della nostalgia. È il cinema del disincanto. Altro che trash movie. Paolo Bertetto TV Venezia. la laguna e gli orti Quegli anitnali degli italiani Preme110che guardo troppo poco la TV per sapere se siano messi in onda molti o pochi programmi di livello; per livello intendo: sostenuti da almeno un.idea forte. Tra questi mi sembra bello poter segnalare quello di Francesco Carlo Crispolti dedicato a Venezia seguendo il filo conduttore di alcune fotografie che Carlo Naya ha ripreso intorno al 1880. L'idea è quella del cibo, della fame: la città della luce, la città maga e puttana. la città del silenzio e dei brusii, la città fatta di specchi, percorsa da bare a remi (le gondole) dove ci si dondola con infinito piacere (e stratosferica spesa), è vista dalla parte dello stomaco, con gli occhi di chi la nutre, dai contadini ai mercati, dai coltivatori di peoci (le cozze) ai banchi del pesce che viene venduto pulito da mani esperte e allegre. Venezia sarebbe già scomparsa senza questo proletariato del cibo, senza questo «sporco». F.C. Crispolti trascura la Venezia «cartolina» (ma Venezia non è mai una cartolina, anche se gliene vengono sovrapposte infinite) per quella intestinale. Forse ci voleva un po' di coraggio in più e aggiungere visioni di ristoranti e canali fogneschi, ma non credo che alla TV sia concesso tanto. L'altro programma da segnalare (è cominciato domenica sera sulla Terza Rete, alle ore 21.40) ha un titolo gradevolmente ironico «Quegli animali degli italiani». Di fatto, come ha detto il direttore del Parco Nazionale degli Abruzzi, l'essere più pericoloso per gli animai i, oltre che per se stesso, è senza dubbio l'homo italicus: circondati da questa specie nefasta gli animali in Italia cercano di cavarsela e il programma dirello da Riccardo Fellini (sì, mi par proprio che sia il fratello, la faccia sembra quella di un gemello) ci dice come. Viene una stre11a al cuore: fino a quando riusci~anno gli animali a arginare l'ondata di homi11esitalici travestiti da sciatori? L'homo italucus ama infatti sciare nei deserti di neve e calpesta ferocemente tutto ciò che intralcia la sua marcia vandala. Che importano gli alberi? Sono pericolosi per lo sciatore. Vanno sostituiti con esemplari di gomma ... C'è solo da sperare nelle valanghe ... Oltre le immagini il programma ha di notevole il testo, opera del solitamente avaro di sé Alfredo Giuliani: vale davvero la pena avere dei buoni testi e incitare all'opera anche i più pigri tra i poeti. Ci si ripara, almeno per un breve lasso di tempo, dall'analfabetismo petulante di troppi giornalisti televisivi. tra i quali insuperabili gli come ormai tristemente Gianpiero Comolli La foresta intelligente Bologna, Cappelli, 1981 pp. 175, lire 7.500 Nella notte di carnevale, un soldato di stanza in una piccola città riceve inaspettatamente un permesso di libera uscita. Per le strade, e poi in una taverna e al Comando Militare, il soldato fa strani incontri (un uomo che lo segue in automobile; una donna sconosciuta di cui si innamora; persone mascherate da procione, da coyote, da orso ...) Il protagonista intuisce che gli eventi della notte costituiscono una oscura anticipazione del suo destino. Da quel momento, infatti, la sua vita è percorsa da avvenimenti irrazionali o misteriosi. La routine del reggimento rivela lotte nascoste. trame. deviazioni: strani personaggi gli predicono un avvenire oscuro-e denunciano la precarietà della sua situazione. Finalmente. in primavera. il soldato incontra il destino intravisto a carnevale. Sottratto al suo lavoro di scrinurale, viene incorporato in una spedizione diretta nelle foreste del nord, alla ricerca di un distaccamento scomparso in circostanze poco chiare. Il libro si chiude registrando i sogni del protagonista, che in piccole città ai margini della foresta si prepara alla spedizione. Come osserva Franco Rella nella postfazione, il libro di Comolli è la metafora consapevole di una crisi della ragione. Le istituzioni militari sono attraversate da un vento di follia; il protagonista si imbatte in figure inconsuete e stranianti, come animali, donne sconosciute o la foresta settentrionale che presumibilmente lo inghiottirà; la vicenda è regolata da un destino irragionevole, privo di leggi riconoscibili. Ma, oltre alle inclinazioni teoriche molto esplicite, il libro di Comolli presenta una grande ricchezza letteraria. Non si registra alcuno scarto tra le intenzioni saggistiche e quelle narrative, per cui le considerazioni teoriche sono sempre integrate e figurate nella diegesi. Vi è poi un gioco molto consapevole con gli archetipi letterari presenti nel romanzo: dal Conrad di Cuore di 1e11ebra, a Proust per certe riflessioni sull'amore e per le scene di vita militare;da Kafka, per la presen:za degli animali, le strane figure femminili, l'organizzazione del Comando Militare, a Musi!, per il protagonista, a metà tra il giovane Torless e l'uomo senza qualità. Soprattutto, Comolli riesce a trattare con distacco, ironia e generalità temi come il destino, l'amore, l'irrazionalità e la crisi del soggetto che, specialmente nella «letteratura giovanile», a cui Comolli appartiene solo da un punto di vista anagrafico, sono caratterizzati dalla insistenza su stereotipi culturali, oppure dall'autobiografismo, dal richiamo alla immediatezza della esperien:za vissuta, dal cattivo umore. m.f Nicolò Ferjancic Polonia Milano, L'erbavoglio, I ~81 pp. 296, lire 9.500 La Polonia da cui trae il titolo questo romanzo, opera prima di Nicolò Ferjancic, è un luogo della fantasia. L'itinerario del giovane Boleslao Dlugo-Gnijewicz, detto, per semplicità, Boles, dalle «foreste che circondano la città di Vilno», attraverso città grandi e minori, incluse Cracovia, Varsavia e Danzica, si conclude tuttavia, e non casualmente, nel «nulla». In un nulla così totale da investire il nome stesso dell'autore, che nella parola ultima del romanzo diverrà «nulljancic». Ma questo non è che un esempio dell'estro, dei giochi, delle invenzioni, dei quiproquo e delle bizzarrie che Ferjancic ha assunto come institutivi della sua narrazione a partire dal grande gioco del tempo, che. nel paese di Copernico, non può che andarsene, a sua Iibito, su e giù per la cronologia, investendo l'arco di un millennio come fosse la punta di uno spillo sulla quale il protagonista Boles, i suoi incontri. le sue avventure, le sue considerazioni e riflessioni parafilosofiche, danzano una danza ora sfrenata ora lenta. Un estro che coinvolge, al livello del lessico, della aggettivazione, della sintassi, la stessa lingua del romanzo, rendendola obliqua e distorta quel tanto che occorre per giustificare e rilevare, dall'interno del testo, il tono picaresco e surreale della narrazione. Mario Spinella

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