occidentali della spiritualità orientale. tale soluzione non è considerata come il raggiungimento di una salvezza perS<malee privatà. ma come la creazione di un nuovo ordine sociale. Certo non è con la nipponizzazione culturale dell'Europa e degli Stati Uniti che possono essere geliate le basi della riorganizzazione dell'Occidente: come afferma Heidegger. il pensiero non è veramente trasformato che da un pensiero che ha la stessa provenienza e la stessa destinazione. La storia culturale dei popoli è stata tulio un susseguirsi di innesti e di combinazioni, o come si dice in giapponese con una parola traila dall'arte dei giardini. di 11emawashi. ma proprio l'ampiezza e la profondità delle trasformazioni in alto rende inutile un nuovo innesto o una nuova combinazione che non si interroghi sulle condizioni della possibilità di 1u11gi li innesti e di tulle le combinazioni. «L'ampliamento - scrive giustamente Pirsig-deve essere operato alle radici e non ai rami» (p. I68). Lo Zen può incidere sull'avvenire dell'Occidente solo nella misura in cui si scopre nel suo passato qualcosa di analogo ad esso. che sia srato 1u11aviapiù essenziale e più decisivo della sofistica greca. Qui emergono i limiti di libri brillanti e pieni di intuizioni acute come quelli di Pirsig e di Anali. libri che sanno alternare la scrinura saggistica a quella narrativa. il Cha111a11q11a (cioè la conversazione edificante) con il racconto della vita quotidiana. le considerazioni sociologiche con il riassumo dei romanzi (come fa Anali a proposito dell'opera di Julien Gracq. Le rivage de Syrte ). che sanno esporre con la stessa piacevolezza una teoria economica e una storia Zen. le statistiche dei tassi di incremento demografico e le cara11eris1iche storiche delle cinà capitalistiche per eccellenza (Bruges, Venezia, Anversa. Genova, Amsterdam. Londra, 1'1ewYork e 1 okio ). la filosofia di Poincaré e un viaggio auraverso gli Stati Uniti, il funzionamento di una mo1ocicle11ae la pace interiore della mente. 1 ali libri oltrepassano di gran lunga i limiti del giornalismo colto e della le11era1ura di in1ra11enime1110,ma restano 1u11avia altre11an10 estranei alla grande saggistica e alla grande narrativa, specie se si prende come termine di riferimento la solennizzazione da cui questi due generi sono stati investiti nella prima metà del ì'.ovecenlo. Essi si muovono piu11os10nell'orizzome di un nuovo genere lenerario che si potrebbe definire col termine di ,·i,/eo-libro. Sembrano infani adaui non tanto alla lenura quanto ad una visione ripetuta: infaui sono ricchi di materiali eterogenei e meritano ancnzione. ma non soddisfano un !cuore esigente. perché le immagini e le imuizioni di cui sono pieni. non hanno né sviluppo in-- 1clle11ualené rigore testuale. L'imeresse e la novità del video-libro sta nel fallo che esso anticipa un prodotto televisivo che non esiste ancora e che potrà cominciare ad esistere solo quando la diffusione uei magne1oscopi e uei viueo-dischi renderà possibile la produzione lii programmi meno effimeri di quelli anuali, suscettibili lii sopportare molte visioni. rivolti ali un pubblico che chiede qualcosa lii più del mero spcnacolo e uella mera notizia, e che è in grado di farne l'ogge110di una collezione. li video-libro si presta perfino ad essere tagliato in vari spezzoni che l'iniziativa uel video-u1e111e potrà poi variameme ricomporre inserendovi immagini di altra provenienza: l'arte della manutenzione uella mo1ocicle11a uiven:~ cosi il simbolo lii un orientamento generale che trasforma il consumatore in un manipolawre di immagini e tli informazioni. in modo da consentirgli lii prouurre Liasolo quei servizi che trova oggi nella ci11à.nella scuola, nell'ospedale: «La vera mo1ocicle1ta a cui s1a1clavoranuo - uice infa11iPirsig - è una moto che si chia111avoi stessi» (p. 313 ). Sebbene Anali definisca col 1er111ine lii «organizzazione» l'aspcllo fondamentale del terzo 111onuoal1erna1ivoai pri111i due. cara11crizza1i rispe11ivamcn1e dalla regolazione e dalla produzione. la nuova cultura viueomatica ha ben poco che fare con l'umanismo e il _ volontarismo impliciti nel conce110 di •• organizzazione. Alla società vidcoma1ica sembra piu11os10 essenziale la dimensione di una ripetizione che svuota di ogni significato e di ogni identità le parole e le azioni. Essa è mimetica e simulativa; la video-ca111era è stata infa11igiustamente paragonata ad uno specchio, proprio perché duplica e dercalizza. Secondo Anali è illusorio e pericoloso pretendere di anribuire alla vita sociale un senso univoco e fisso: perfino la persistenza lii una lingua dipende I lettorisenzavoce G uido Da vico Bonino, fino a qualche anno fa tra i più apprezzati editorialisti italiani (segretario generale alla Einaudi) e ora professore ali' Università di Torino (Facoltà di lettere}, brillante conduttore di una rubrica lelevisiva dedicata ai libri («Finito di slampare», ma non so se adesso abbia lasciato questo incarico), suadente persuasore di «Notizie leuerarie», la pubblicazione mensile del Club degli Editori (il più importante club del libro italiano insieme ali' Euroclub }, saggista, poeta, critico tearrale.... (e vorrei che questo rapido elenco fosse letto senza ironie, come pu~a informazio~e) ha esordito come collaboratore di Panorama con Ufl servizio, «li be/l'addormentato», dedicato a certi intellettuali e seri/lori che avrebbero il torto di stare troppo«zi11i e buoni» di fronte a quello che succede in Italia e nalllralmente nel mondo. Quello che colpisce in questo servi- :io (26./0.JQ8/, 11. 810) è l'obsolesceflza del punto di vista. Molti degli intellettuali e scrittori interpellati sono più o meno «impegnati» (per usare 1111 lermine super-obsoleto, ma in q11esto caso 11011lo si p11ò sostilllire con 1111 altro) ma certamente sono consapevoli del fallo che il tipo di «intervento» cui Davico Bonino si riferisce non li riguarda più, per un'infinità di ragioni, alc11nedelle quali l11cidamenteespresse da Enzo Siciliano («Potremmo scrivere ogni giorno verità terribili e molto pesanti, ma ci trai/iene lo sgomento che qllLilunquenostro discorso possa essere strumentalizzato sulla base di 1111laogica interpretativa molto strelta, asfissiante») e da Giorgio Manganelli («Sapremmo di cosa parlare ma rivolgendoci a quale interloc11tore?A potilici che non fanno politica?»). Altri hanno fatto o stanno facendo i deputati (Sciascia e Sanguine/i), ecc. ecc. Ma da questo quadro di ragioni che in parte giustificano l'estraneità di c11i si è dello, manca quella fondamenlale, e questa rimozione fa obsoleta l'inchiesta: da tempo molti intellettuali e scrittori hanno capilo che un modo di inlervenire è ancora possibile solo se dire/lo a indicare e a costituire alternative precise al cirCLlito11fficialedell'informazione. Queste alternative sono visibili e utilizzabili (e di fallo sono uliliuate da un sempre maggior numero diciltadini italiani) e tra queste sarebbe sciocco tacere di Alfabeta (e occorre aggiungere che lacere di Alfabetaè una sorla di parola d'ordine per molti e fa eccezione proprio Panorama), ma è doveroso segnalare che sul 1emagenericamente affronta/o da Davico, è intervenu/o con precisione il numero 18-198/ di Astrolabio, il quindicinale della sinistra indipendente, con un servizio notevole («Se i 'chierici' 1radisco110»). Esi deve proseg11irel'elenco positivo con la rinascita di Le (Lotta co111in11a), con la sempre maggiore affermazione de il manifesto, col s11ccessostrabiliante de L'illustrazione italiana diretta da Giovanni Roboni, riviste scritte /111/dea scrittori e 11011da giornalisti, ecc. ecc. Q11ando poi alc11niseri/lori e it11ellett11ali collaborano a grossi giornali, occorre rilevare che lo fanno in funzione di,con 1111parospettiva che ègiusto il cofltrario del «gli è lttllo sbagliato, gli è tuJtod_arifare»,,tli barto/iana memoria, ma per S11ggerireche cosa poter fare al posto di, invece di .... Mi chiedo d1111q11coeme mai questo cambiamemo, che è nelle cose e Ilei falli, sia sfuggito a Davico Bo11i110al momemo del suo esordio a Panorama. La mia prima ipotesi l'ho scartala (discende da 11110vecchia [1Ssazio11e,che vivere a Tori110sia pericoloso, si fillisce con l'arrivare sempre in rilardo, è la città con l'establishmem più temo ti' Italia, basti pellSare alla Fiat, che sta viaggiando con 1111 rilardo di tre anni sulla concorrenza francese e tedesca) perché troppo rid1111iv(a1101c1redo che Da vico Boniflo sia 1111 «bell'addormemato» ); la seconda è forse piLÌplausibile: 1101è1 possibile pensare che campi alternativi vengano promossi dai cirC11itmi aggiori dell'informazione oltre un certo limite. Davico ha a11accatoil cavllllo, come si suol dire, dove doveva essere attaccato. Ma le responsabilità 1101s1ono lttlle di Da vico Bonino, anzi solo in miflima parte: il peso più grosso rimane sulle spalle di quasi lit/li gli i111elle1111ianl-i terpellati (salvo eccezioni, tra le quali la bella invettiva di Luigi Malerba, invettiva mica ramo, però, perché c'è molta verità nel suo risentimento). Basti pensare che la piLÌtreme11datra le preocc11pazioni di molti seri/lori da 1111 alino a questa parte era e rimane il co111in110 s11ccessodel romanzo di Umberto Eco, li nome della rosa. Credo che il Premio Strega 011e1111to da Eco sia s11onatocome liii intollerabile, pro/1111gatissimopernacchia napoletaflo diretto alla Società Lelteraria, e non si capisce bene perché. Di un'opera come q11elladi Eco bisogna solo gioire: non si è affatto «improvvisato» romanziere, come Enzo Siciliano ha incautamente scritto, ha impiegato t11ttala vita a preparare questo romanzo e alcuni anni a scriverlo. Più da premiare di così! Invece flO. Premiare li nome della rosa me/le in pericolo, anche questo ha scrilto /'i11ca1110il, ft1t11rodella «vera» lelleratura, l'arte della scrittura... Allora viene il sospetlo che molti intellellllali e scrittori siano sfati «zitti e Bibl1otecag.nob1anco Antonio Porta b11011i»(ma fino a pochissimo tempo fa 1101s1i diceva che parlava110troppo, che erano dei «tu11ologhi»? Per fort1111aci ha pensato Giovanni Mariotti a fare l'elogio del «111ttologo»nel s110libro molto bello che coflsidero «alternativo», Dizionario del libertino) perché 11011 sapevano e non sanno ancora bene dove a/laccare il cavallo ... Forse è q11es1ala verità« vera» del servizio di Da vico Bonino, e chissà che 11011fossero queste le sue vere imenzioni (ne ho abbastanza stima per 1101s1cartare l'ipotesi ...). Giuliano Gramigna scrive sul Corriere di domenica 1 18 ottobre '81: «Qua/c11no suppone che 11011esiste neppure più (il lellore, 11.d.r.) e che, sorpassata perfino l'ipotesi che le due categorie coi11cida110o,ssia che gli scrittori siano i lettori di se stessi, tutti scrivano e nessuno legga». Parole che aggiungono w, motivo ù1più a giustifica- :io11e di evenwali silenzi da parte di certi intellettuali e di certi scri11ori,ma so11oli11ea11a0nche quella necessità che Franco Fortù1i defi11isce«critica dell'editoria», nello scrilfo con cui ritorna, dopo a1111ia, collaborare al Corriere della sera, il medesimo giomo. Occorre, prima di tutto, gioire per la decisio11e di Fortini che ft1 di nuovo semire la sua voce s111lepagine di 1111 quo1idia110 di primaria importanza nazionale e internazionale, in w1 momemo difficile, wmo più difficile perché la «co11correnza», facendo il suo mestiere, come ha seri/lo Giorgio Bocca, che hll indossato per l'occasione la maglietta della «sq11adra corse» del Principe Caracciolo in difesa del «suo» giomale (Giorgio Bocca lo vedevo più in veste di cuoco che di passista o di scala1ore), ha mostrato preoccupa11ti sintomi di ca1111ibalisnwc11/t11ra/cehe 1101g1iovano certo alla stampa italiana (che appw110 non fa che cascare, in parte 1101p1er sua colpa, dalle padelle alle braci). Dunque con gioia ho letto lo scritto di Fortini e ho provato s11bitoil desiderio di fare alc1111eprecisazioni (anch'io inseguito, come Ili/li, da Seflsi di colpa). Se è vero che «che llltti scrivono e 11ess111l1e0gge», e vero lo è in molti casi, di imelletlllali e scrittori, io credo che una crilica dell'editoria libraria possa essere davvero efficace, perché andrebbea sommarsi come ejfetto benefico, a quella critica costame che da lempo è già in atto all'interno di molte case editrici, ·almeno per una ragione: che tutte so110state colpite da una crisi, che forse è storica, in 11111i0l mo11do occidentale, dagli USA all'Italia. lo però foglierei la qualificazione di «libraria», all'editoria, e temerei 1111caritica geflerale della parola s/ampata, con l'impegno di leggere lttllo, o q11asi,di llltti, o almeno di molti. Perché un motivo fondamentale per farlo sussiste: che lettori ce ne sono, e parecchi, tra la geme di media e più che media C11lturae i111elligenza,e questi lettori sono lttlli lettori critici, ma anche senza voce, nella maggior parte dei casi, e s'indignano che nessuno si prenda la briga di fare della critica costante, mi11uziosa, pedantesca, di lll1'informazio11e che definire approssimativa è poco, e alla quale mancano q11asisempre q11eglieleme111di i analisi che invece sono i più richiesti; e tali elementi mancano a ca11sadi quella 11emen,zialedecisione iniziale, che quasi tulli i giornalisti ass11mo110come un dogma, di quel che deve fare notizia e di quello che 11011 lo fa, nel giro di pochissime ore, poi il vuoto, il silenzio, forsennatamente riempiti"con altro vuoto, altro silenzio, ., o altre grida, o altri sussurri, nel giro di altre srrozzarissùne ore. Ciò che mi sento di condivivere in pieno è, in ogni caso, l'affermazione di Fortini che così suona: «Credo avremmo bisog110che liii giorno in set1ima11ala critica sapesse va/ware osservare illlerpretare il senso delle diverse vie che ogni libro indica con la sua semplice presenza; la posizione che l'editore gli attribuisce 11elcomplesso della sua llttività e quella di cui l'investe il p11bblico:la portata 1101s1olo scientifica o letteraria ma ideologica, economica e politica che anche il più modes/o nwnullle convoglia accanto o sotto q11el che reca scritto nelle Slle righe». Certo, non possiarno acco111e11rarci, dice Fortini, dell'ironica descrizione di Moravill che rece11sisce Bagatelle per un massacro di Céli11e,p11bblicato ora da Guanda, anche perché lo scritto di Moravia 1101c1ontiene nulla di più che antichi luoghi comu11i S11ll'argome1110 e, cosa molto più grave, non trasmeue un'informazione incfopensabile, che il 111assacrodi cui Céli11eparla non è quello c11i gli ebrei furono poi sottoposti da Hitler ma, nella mente di Céline, quello cui gli ebrei hanno sottoposto I' imero mondo occidentale. Informazione invece co111enutanello seri/lo, per altri versi criticabile perché frai11tende le a111oiro11iemasochistiche di Céline prendendole «alla lettera», di Sandra Teroni Menzella (il manifesto del IO Ottobre 8/ ). Già, ma chi è questa Sandra a petto di Alberto Moravia? Che cosa conta che trasmella informazioni precise se 1101f1a notizia? E non è forse per questa ragione, tra l'altro, che u11aSandra Teroni Menzella non può emrare in w1 servizio giornalistico sugli intelle11uali che parlano o 1acciono? (Che cosa ne dice G11idoDavico Bonino?). ual fa110che i suoi fondamenti sfuggono a coloro che la parlano. A della di Lao Tseu è il vuoto che fa procedere il carro. Questa ritualità senza fondamento sembra del resto costituire il punto di arrivo del libro lii Pirsig: le is1i1Uzioni pubbliche e sociali «sono sorre11e da rapporti s1ru11urali persino quando hanno perso ogni altr7l' significato e ogni altro scopo. La gente va in fabbrica· e dalle 0110 alle cinque si dedica senza fiatare a mansioni assolutamente prive lii senso. perché la s1ru11ura esige che sia cosi ... e nessuno è disposto ad assumersi l'arduo compito di cambiare la s1ru11urasolo perché non ha senso» (p. 1U4). Note (I) Mi riferisco al colloquio Ira un giapponese e un Interrogante raccolto nel volume In cammino verso il linguaggio. Milano, Mursia. 1973. serino da Heidegger in occasione della visi1a resagli dal professor Tezuka dcll'Universilà di Tokio. (2) M. Heidegger, Saggi e discorsi. Milano, Mursia, 1977. (3) K. Tokitsu, Lo Zen e la via del Kara1é. Per una teoria delle arti marziali. Milano, Sugar. 1980. (4) T. Hoover, La rnlwra Zen, Milano. Mondadori. 1981. p. 85. Temo che l'ideologia del «ciò che fa 11otizia»possa contamiflare anche quella critica dell'editoria che tutti auspichiamo insieme a Franco Fortini. Fa notizia Moravia che recensisce Bagatelle per un massacro, scriva p11requel che gli pare senza avere nepp11re/elio il libro (da come ne parlasi capisce che lo ha solo sfogliato q11ie là), tanto nessuno lo leggerà, come ci ha ricordato Gramigna (e i pochi speranzosi che lo leggono, nonostante llltto, avranflo 11n motivo in più per prolestare e disprezzare). Una civiltà culturale e letteraria è fatta di riscontri, come è noto; da q11esro pu1110di vista la nostra è spesso pseudociviltà: domande e risposte sembrano cadere tra sordi. Scrive Fortini, nello stesso articolo: «Co111ein tutte le Clllture di tradizione mendarinale o clericale, illlomo al libro -di forte status simbolico e di debole stato economico - gli schierame111i corporativi ha11110tendenza a prevalere sui conflitti concorrenziali. Questo elemento si aggi1111gaei tanti altri, ben più grevi, che negli scorsi anni hanno discreditato qualsiasi acce1111a0 riprendere il discorso sulle istituzioni del sapere e della cultura. Chi ne parlava era subito accusa10 di volere il pe11sieroin catene, la poesia di stato o la scienza assembleare. Oppure era deriso come patelico difensore di umanesimo ridicolo. Sarà q11estala sorte della perplessa richiesta che avanzo, di una critiCll della produzione editoria/e? Forse il vento sta cambiando». I sordi, app11nto, rispondono solo co11accuse a semplici richieste di chiarimenlo e ancor pilÌ a ogni esercizio di critica: 111egliodi così Fortini non avrebbe potuto restilllirci, in sintesi, tutte le posizioni delta sordi1à (che sono. poi sempre quelle che «fanno notizia» ...); 111enofelice mi pare l'uso della 111etaforadel vento. Tomo a Gramigna, quando ci ricorda che lo scrittore deve prima di tutto rispondere alta domanda «che cosa voglio», q11a/1111qsuiea il vento che lira, e il vento tiri p11redove v110/ema 1101c1i possono essere posizioni di compromesso-in presenza di remativi di ritorno autoritario nella critica (critica e autorità stanno ai poli opposti, come sappiamo ...) della cultura. Non è ùna q11esrione di vemo: quanto è sfato detto o scri110 finora (cioè prima di questo n11ovoesordio di Fortini sul Corriere) era dello male e in modo largamente fraintendibile. Guido Davico Bonino, li bell'addormentato, in Panon1ma n. 810, 26/10/ 1981. Articoli di Giuliano Gramigna e Franco Fortini, in Il Corriere della Sera, 18/1O/198 I.
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