Cfr. Valeria Magli Banana luniére Teatro di Porta Romana 15-22 ottobre 1981 regia di Lorenzo Vitalone Il dibattito Moderno-Postmoderno non è affatto una pura querelle teorica, ma investe aspetti pratici assai precisi della produzione spettacolare. In questi termini, l'alternativa risulta molto seria: conviene ancora perseguire (dopo il deperimento delle avanguardie e delle neoavanguardie)una ricerca astratta di critica della rappresentazione, con rischi di scarsa comunicazione, comprensibilità e piacevolezza estetica, oltretutto non più sostenuti da basi ideologiche? Oppure bisogna gettarsi senza riserve sulla via della Spettacolarità, della Transavanguardia, del Recupero, della Rivisitazione, del Ritorno alla Rappresentazione «al di là delle remore ideologiche»? Un problema tutt'altro che facile, a cui Valeria Magli ed il regista Lorenzo Vitalone in Banana Lumiére, hanno dato una risposta convincente. Non si tratta di rinnegare le avanguardie in nome della spettacolarità, ma occorre invece trovare quella spettacolarità specifica delle avanguardie (soprattutto storiche), di cui non si è normalmente tenuto conto, perché ci si è concentrati eccessivamente sugli aspetti «dirompenti• e critici delle operazioni ... L'azione si suddivide in due parti: nella prima (Banana morbid), con testi di anni Balestrini e musiche di John Cage, la Magli presenta un lungo spettacolo di claquette (normalmente il tip tap dura pochi minuti; qui la performance è di oltre mezz'ora): nella seconda (Banana lumiére ), si assiste a una esecuzione meno mossa, sempre con testi di Balestrini, ma con musiche di Walter Marchetti (e qui la maggior staticità della scena viene integrata da un uso molto opportuno delle Iuci, dovute a Piero Fogliati). Lo spettacolo risulta molto equilibrato per vari motivi. Contrariamente a molti esiti del Moderno, non si dà una rappresentazione critica con significati misteriosi e inevidenti; e d'altra parte non si cede a una enfasi della spettacolarità tipicamente postmoderna (enfasi generalmente perdente: perché la spettacolarità offre il meglio di se stessa, per non trascurabili ragioni tecniche, al cinema e nei concerti rock, e mai a teatro). La performance della Magli, invece, risulta sospesa tra la rappresentazione e la sua critica. Dietro al Significante visivo c'è un significato piuttosto evidente (erotico nella prima parte, di straniamento metropolitano nella seconda), che non viene spettacolarizzato, ma semplicemente registrato, annotato nelle tre possibili articolazioni estetiche. Lo stesso discorso vale per la tecnica. dove la Magli non critica la rappresentazione allraverso una incomunicabilità radicale. ma non giunge neppure alla Rivisitazione delle Belle Forme. Ricerca invece oggeuive difficoltà tecnico-estetiche (in particolare. la fatica ideativa di una claquette portata ben oltre i suoi limiti tradizionali): si muove tra luci equilibrate. non enfatiche o illusionistiche in una economia di mezzi molto razionale che indica la ricerca di un «dopo l'avanguardia» che non sia una spettacolarità senza ritegno. 111.f U piccolo Hans n. 3 I, luglio-settembre, 1981 pp. 240, lire 4.000 Che cosa succede lungo il confine tra due organi, tra due corpi, tra due nazioni? Ecco la domanda attorno a cui ruota questo affascinante numero de li piccolo Hans, dedicato a Jacques Lacan. Il limite di questa sede non ci permette di sconfinare, come pure vorremmo, e si dovrà fare; mi limiterò quindi a tracciare la linea di confine segnata dagli interventi, tutti incentrati sul tema della frontiera, del viaggio e della fobia. Sul versante analitico sono da segnalare lo studio di Virginia Finzi Ghisi («La barriera delle tasse: l'apparato psichico e la sua rappresentazione nella storia di una fobia•) e quello di Lillian Kertész Rotter, sull'erotismo uretrale e la «permeabilità dei confini». Questa, uno dei più importanti esponenti della scuola ungherese, stabilisce un rapporto genetico tra l'enuresi e la nevrosi ossessiva la quale si configura come una «tecnica» (sostitutiva) per impedire che l'urinare, che nel suo immaginario il nevrotico vede come «veicolo liquido» (fiume lago mare), si trasformi in naufragio del soggetto. Da qui la formazione del «carattere uretrale• e i rapporti che retorica oratoria e «ducismo», per esempio, intrattengono con esso. Sempre nell'ambito analitico ma avvalendosi anche di una strumentazione estetico-filosofica Paola Mieli traccia un disegno magistrale del Diario di Jacopo da Pontormo, restituendoci una rappresentazione diversa da quella classica del rapporto naturacorpo-arte nella cultura rinascimentale e manierista. Su quello letterario, invece, Giuliana Morandini parla di Trieste. di questo «buco» ai cui bordi vertiginano gli Svevo i Joyce i Michelstaedter, gli affanni di una borghesia irredentista e slavofoba che si placheranno nel grande conflitto mentre Italo Viola percorre i confini che separano e uniscono corpo e memoria, mettendo «in balia della propria leuura» il Viaggio inwile di Rossana Rossanda e Sopra il viaggio di 1111 principe di Ottavio Cecchi, contornando quel dirupo - «negato ad ogni deriva» - che forma la materia e la condizione dello stile, della verità (politica, storica, morale ecc.) da provarsi nello stile. Mario Spinella segue invece il passaggio dalla Cina alla luna, quello che si snoda dalla estensione nello spazio delle vicende (la forma del viaggio) al tempo «astratto» dell'avventura, attraversando la frontiera che nel « mondo prodigioso» del Furioso divide finzione e storia, il tempo «magico» della narrazione e quello «storico» del racconto. Dalla frontiera che perimetra il corpo indistinto della Terra a quella che fraziona il corpo dell'Uomo (frontiera viene da fronte, volto) Nadia Fusini ci introduce nella «tana» di Kafka, analizzandone i Diari e le Leuere e riuscendo in una impresa impossibile: perimetrare l'abisso senza fondo in cui r «abitare» di K. ha precipitato la modernità. Sempre nel nome di K. è da segnalare un intervento di Carlo Cristiano Delforno e un altro, dello stesso, sul Benito Cere110 di Melville. La rivelazione del Desiderio, l'esperienza dell"Altro, il segreto del Nome sono le tappe dell'ltalia11iscl,eReise di Goethe nella leuura di Ellis Donda. Ne esce un G. inedito, incrinata la rappresentazione ufficiale che lo vuole inchiodato nella contemplazione di una bellezza senza aggettivi e in preda a un"innominabile fascinazione del «ritorno» verso il Mistero. Infine. sempre in questo numero. Paolo Volponi «raschia» nelrofficina della sua in onnia (è presente con un diario di lavoro) e Ermanno Krumm analizza la strunurii e i nomi nella poesia di Giuliano Gramigna e Tomaso Kemeny. 1·.h. B1bliotecaginoo1anco Hanna Arendt U futuro alle spalle Bologna, Il mulino, 1981 pp. 294, lire 12.000 Di Hanna Arendt, grande intellettuale ebrea tedesca morta nel 1975, il lettore italiano conosceva esclusivamente la pubblicità politica: una riflessione attraverso cui passava tutta la vissuta esperienza del totalitarismo e della persecuzione. Il fwuro alle spalle offre un'altra Immagine della Arendt, quella di saggista e studiosa della letteratura. L'ampia presentazione di Lea Ritter Santini mette felicemente a fuoco i reciproci rimandi tra questi due campi di interesse, che in lei, come in Benjamin - un autore che ella particolarmente amava e a cui è dedicato un acuto saggio del 1968 - si intrecciano e si intersecano in un nodo indissolubile, che era anche un progetto di cultura. La presenza della tradizione ebraica è vivissima, sin dalla scelta dei temi e degli stessi autori prescelti, da Heine a Kafka, a Benjamin (come si diceva), a Hermann Broch, a Chaplin: cui si aggiunge quel Bertold Brecht che, per le sue amicizie e i suoi incontri, con tale tradizione ebbe un rapporto intimo e profondo, filtrato del resto, attraverso to stesso Marx. Ciò che più colpisce in questi saggi - e lo nota la Ritter Santini- è lo sforzo di penetrazione intellettuale. Si vede e si tocca, quasi materialmente, in essi, il lavoro di un pensiero che scava, delimita, include, con il moto sottile etagliente di una lama, o di un trapano, nel complesso universo della cultura e della poesia. Mario Spinella Michele Spina Passo doppio Milano, Scheiwillcr, 1981 pp. 189, lire I5.000 Questo libretto elegante, che riproduce in copertina una litografia di Luigi Grosso e a,lato del frontespizio un ritratto dell'autore di mano dello stesso Grosso e inoltre ha una stimolante introduzione di Guido Almansi, ripropone al pubblico uno scrittore che fu molto stimato da Vittorini e la cui firma i lettori di Politecnico ricordano. Negli ultimi anni Spina con rara discrezione è ritornato a dare segni di sé in riviste italiane e inglesi (insegna Storia dell'arte nell'Università di Leeds). Passo doppio è una raccolta di tre testi di grande intelligenza che non so nemmeno se chiamare narrativi: in tutti e tre infatti Spina parte con un andamento narrativo, mostrandoci cosi che lui raccontare sa benissimo; a questo punto però, per un processo che gli è connaturale, i personaggi come tali scompaiono con una tecnica di dissolvenza e al loro posto veri attori sulla scena diventano i pensieri, le idee a loro appartenenti. Sicché il volumetto fa pensare a certa letteratura quasi trattatistica del Settecento, anche se tipico dello Spina rimane un procedimento o meccanismo metonimico per cui le idee nascono, crescono, muoiono a catena, generate per l'appunto da puri rapporti di contiguità. Per esempio, nel secondo testo Baldanders il protagonista perde il treno a Chiavenna e mentre gira per la cittadina in attesa del treno successivo si accorge d'un tratto della «realtà del viaggio in sé». Non importa più allora se una flebile zia morente lo aspetta; quello che conta è l'ingresso dell'idea di viaggio nell'universo ragionativo. A differenza però della ragione illuministica. quella di Spina è una ragione a volte nutrita di capricci. a volte barocca. minacciata e insieme eccitata da fantasie. situata sempre sullo spartiacque fra visione filosofica del mondo e suggestione artistica.Non ultima dote di questo libro. che ci intrica profondamente. è un'ironia quasi anglos1ssone che si innesta su un tronco siculo producendo saporosi frutti. Maria Corti Blaise Cendrars Dal mondo intero a cura di Rino Cortiana Milano, Guanda, 1980 pp. 238, lire 12000 Leggendo questo Cendrars annotato, tradotto, introdollo, sapientemente curato da Rino Cortiana, mi veniva un'idea, una sorta di riflesso laterale - che non c'entra - ma che centra, vorrei, quella che con parafrasi potrebbe dirsi una tipologia della rimozione. C~me è noto, oltre quella del mutismo la rimozione a volte prende la via non solo della chiacchiera, del bavardage ma anche - per quel che qui concerne -, della ripresa, del repechage, della riproposta o riedizione o edizione in prima assoluta, come si dice al cinematografo, di libri usciti alcuni lustri innanzi, insomma: il comportamento tipico dell'industria culturale. La prova. Di Cendrars, in Italia, ci si è occupati sino alla fine degli anni cinquanta, con Montale anche che nel '52 rendeva omaggio al poeta «nomade e pagliaccio». Poi, il silenzio, l'oblio - e qui la dico: ciò che lega le avanguardie tra loro è l'odio, la esclusione, la modalità propria dell'amore: o lei o io... - sino, appunto, all'ultimissimo anno in cui sono stati proposti un paio di Cendrars tra cui questo Dal mondo intero, che comprende tutta la sua produzione poetica, o quasi, e praticamente passato inosservato. Il fatto è che Cendrars non era solo un vagabondo, uno che girava per il mondo, che ne ha viste tante - come è detto-, era anche un «callivo poeta», uno di quelli che hanno rovinato la poesia, che l'hanno snaturata (ne ha scritto anche di «poemes dénaturés») - sui banchi di scuola scriveva col temperino i nomi di Lautreamont e Laforgue -, trasportandola nel doppio fondo della sua valigia come una volgare merce di contrabbando da Alessandria (il verso, beninteso), via Mosca - la sconquassata Mosca pre e rivoluzionaria - potete leggervi in questo libro la prosa della Transiberiana - e Panama, nei bordelli di Montmartre, da dove non si è mai allontanato, in effetti, perché erano Il gli Apollinaire i Picabia gli Chagall gli Abel Gance (quello di Napoleon) e la pubblicità e i lampioni e i cristi appesi ai fili del telegrafo e i telegrammi e le cartoline e ... mancano solo le schede perforate ma a quel tempo non erano ancora state inventate le IBM. Giusto dunque proporre questo Dal mondo i111ero. Un tracciato e una mappa ben disegnati da cui emerge, e Cortiana fa emergere (vedi la sua introduzione) l'entrata o shandata della poesia nelle maglie di ferro della modernità e di questa che trasporta in quella la magia e !"insensatezza dei suoi tempi, la violenza e la grazia del nuovo. Del nuovo? Ora vogliono farci credere che la modernità è cenere, che bisogna bruciare alle fiamme della post. Bene. L'importante è non scordare che esistono i fuochisti, e che uno di questi, il fuochista Cendrars, ci ha perso un braccio ad accendere quel fuoco. Vincenzo Bonaz;,.a Rivista di fumetti e d'altro Anno XVII - n. 11 (200) novembre 1981 lire 1800 lprlmal MENSILEDI EDITORIA Informarsi per capire meglio l'informazione In edicola a metà mese Abbonamento: 27.500 (undici numeri); estero 55mila. Indirizzare assegno sbarrato intestato a Nuova Società s.r.l. via Boccaccio 35 - 20123 Milano oppure servirsi del conto corrente postale n. 38329207 intestato a Prima Comunicazione via Boccaccio 35 20123 Milano Mensile a cura del Comitato Regionale Lega Cooperative del/'Emilia Romagna Cooperazione. Tanti ne parlano a sproposito. Noi no! Abbonamenti per il 1981 I I numeri Lire 15.000 Inviare assegno o vaglia postale a: Comitato Regionale Lega Cooperative Via Alt/o Moro, 16 • 40127 Bologna
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