ignorata, fraintesa, deformata, capovolta nel suo contrario. •• La questione è di grande attualità. Dall'America sono approdati in Italia, ormai tradotti, i lavori di Heinz Kohut, eminente psicanalista della Società internazionale di Psicanalisi e suo ex presidente, sul tema del narcisismo. Lo stesso tema, con altro taglio, è trattato da Cristopher Lasch, uno storico che negli ultimi due decenni ha esplorato forza e debolezze delle ideologie liberali e radicali; nel suo ultimo libro, La cultura del narcisismo, tratteggia le nuove forme di controllo sociale legate all'emergenza di una cultura caratterizzata dal tratto del narcisismo. Lo scorso aprile, il quotidiano francese Le Monde, come sempre attento ad ogni emergenza socio--culturale di qualche rilievo, gli dedicava una lunga intervista preceduta da un occhiello che la introduceva: «La società industriale, centrando ogni attività sociale sul consumo, ha prodotto un nuovo tipo d'uomo: trasparente, angosciato, completamente ripiegato su se stesso e dipendente dagli altri. È il nuovo Narciso». Lasch si appoggia alle teorizzazioni dello psicanalista Kohut per suffragare le sue osservazioni storico-sociologiche; nota, ad esempio, che la letteratura clinica del dopoguerra testimonia l'emergenza di un nuovo tipo di pazienti non più ascrivibili al quadro delle nevrosi classiche ma ad una nuova tipologia che si può definire come «nevrosi narcisistica». Allo storico importa che, fra i tratti che la contrassegnano, ci sia una specie di disarticolazione del tempo, la perdita del senso della continuità della storia, del senso del passato. La nostra cultura, sostiene Lasch, incoraggia e gratifica i tratti narcisistici attraverso la tolleranza- in realtà repressiva- dei nuovi rapporti familiari, come attraverso imass-media che aboliscono la distinzione tra immagine e realtà, infine nel privilegiare innanzitutto la rappresentazione di un'immagine di sé nella rete dei rapporti interpersonali. Un'immagine da mettere continuamente alla prova nella possiRobert M. Pirsig Lo Zen e rarte della manutenzione della motocidetta tr. it. di Delfina Vezzoli Milano, Adelphi, 1981 pp. 394, lire 12.000 Jacques Attali Les trois mondes. Pour une théorie de l'aprés-crise Paris, Fayard, 1981 11 romanzo dell'americano Robert Pirsig è l'ultimo volume dell'eco-· nomista francese Jacques Attali s'impongono insieme all'attenzione del lettore non solo perché, estendendo l'applicazione dello Zen e del Tao ad ambiti apparentemente incongrui come la manutenzione della motocicletta e la videomatica, forniscono un contributo originale a quel dialogo tra Occidente ed Oriente di cui Heidegger già negli anni Cinquanta aveva mostrato la rilevanza•, ma anche e soprattutto perché forniscono elementi importanti per confutare alcuni luoghi comuni sul significato che la diffusione della cultura giapponese tradizionale sta assumendo in Occidente. Si suole stabilire una relazione tra da un lato il successo-delle filosofie e delle religioni orientali e dall'altro un supposto ritorno all'individuo e al privato, una tendenza alla contemplazione e alla passività, una estensione e una radicalizzazione della crisi. I libri bilità di sedurre gli altri per rinforzare il proprio sentimento d'esistere. S toricamente il fenomeno data dagli anni venti per la priorità che, a partire d'allora, si dà al consumo rispetto alla produzione, con la necessità, conseguente, di convincere la gente che la soddisfazione debba ricavarsi non dal lavoro ma dal tempo libero, dunque dalla vita privata. È nella organizzazione di quest'ultima che si esercita la forma di controllo sociale alimentatrice dei consumi propagandati dai mass-media. Illusorio dunque il ritorno al privato ed alla sua autonomia: niente, all'interno della cellula familiare, ormai pura forma, può essere autorizzato senza l'intervento di «esperti» che dettano norme sull'esercizio della sessualità come sull'educazione dei bambini. Nel discorso di Lasch il «narcisismo» viene trattato come un dato comportamentale, come «narcisistico» è un aggettivo da unire a cultura, complesso, personalità. Si tratta di un approccio storico /sociologico con le sue specifiche modalità di rilievo dei dati empirici. Per la clinica psicanalitica, al contrario, non è il comportamento l'oggetto della ricerca; essa si caratterizza piuttosto per le distanze che sa prendere da ogni psicologia o comportamentismo sociologico. È appunto qqesto quello che 11011 avviene nell'approccio proposto dallo psicanalista Kohut. Le teorie che egli ha elaborato nel corso degli anni '70 sembrano progressivamente abbandonare il terreno strettamente psicanalitico per slittare in quello psico-sociologico autorizzando di fatto usi estensivi della pratica clinica. La tesi centrale che avanza, come risultato della sua lunga esperienza di psicanalista, fa davvero scalpore: ciò che sostiene, infatti, è l'aumento sempre più massiccio di pazienti affetti da nevrosi narcisistica. Si tratterebbe di soggetti dall'Edipo mal strutturato che richiedono al terapeuta un atteggiamento «empatico» nei confronti del proprio paziente. L'empatia- concetto chç modifica e sostituisce il transfert élassicamente freudiano- si'"colloca tra l'intuizione, l'immedesimazione e la simpatia; presuppone capacità di introspezione e identificazione con l'altro. Per la precisione Kohut la definisce cosl: «Empatia è quella modalità tramite la quale possiamo sperimentare i fatti psichici degli altri, quando gli altri dicono cosa sentono e cosa pensano e che permette all'osservatore di rappresentarsi cosa essi vivono all'interno anche se questo non è accessibile alla osservazione diretta». A braccetto all'empatia Kohut colloca il concetto di «Self» che può considerarsi una estensione- derivazione dell'americana teoria dell'«Ego». Di «Selb, seppure con articolazioni diverse, avevano già parlato Hartmann, Kenberg, Winnicot per citare solo alcuni grossi nomi di analisti che se ne sono occupati, ma le tracce di una sua formulazione nel testo di Freud sono praticamente inesistenti. Vero è che nell'Introduzione al narcisismo Freud parla di un «sentimento di sé», ma non lo isola come concetto; neanche nell'edizione inglese delle sue opere- la Standard Edition- redatta da Strachey ma che Freud potè personalmente rivedere. È da notare che «Self» - termine molto usato nella lingua inglese - fu introdotto, per forgiare la sua psicologia empirica, da Locke per difendersi da Descartes. La psicologia del Sei/ di Kohut si colloca in questa linea che va dall'empirismo psicologistico alla psicanalisi freudiana tentando continuamente di annacquare la seconda con le eredità del primo; sull'esempio di un'impresa già tentata e purtroppo riuscita di una psicanalisi di marca americana che pure si dichiara di eredità freudiana. La psicologia del Self di Kohut, su questa scia, ha sostanzialmente come miraggio un ideale di padronanza sull'inconscio e le imprevedibili scocciature che procura. Ma non è tutto: ciò che propone è addirittu.ra un rimaneggiamento radicale delle basi stesse della psicanalisi. Nel suo ultimo libro. La guarigione del Sè è assolutamente ~splicito '"a··questo riguardo giacché opera apertamente una rottura epistemologica con le categorie freudiane: teoria della libido, teoria delle pulsioni, transfert e resistenza sono concetti che l'esperienza clinica dimostra ormai inutilizzabili, vi si sostiene. e ome ai tempi di Jung il cuore dissonante, insopportabile, aporetico, della scoperta freudiana non passa. Per fortuna qualche voce si è levata a protestare, isolata ma sostanziosa. In Italia due riviste Psichiatria e scienze wnane e Ombre rosse hanno lasciato ampio spazio alle critiche serrate dello psicanalista zurighese Berthold Roschild, il solo, a quanto mi risulta, che si sia attentamente occupato della questione. Per la precisione questo «narcisismo d'oltreoceano» era già approdato in Francia qualche anno fa, come dimostra la pubblicazione del numero speciale della Nouvelle revue de Psychanalyse del '76 col titolo di «Narcisses». Ma lì l'influenza di Lacan che al tema della specularità immaginaria ed alle sue identificazioni alienant\ dedicava i suoi primi, fecondissimi seminari fin dagli anni '50, faceva ostacolo all'attecchimento delle nuove tesi. Roschild che è, come Kohut, uno psicanalista ·della Società internazionale di psicanalisi, mira sparando senza esitazione sulle nuove teorie. Senza fare complimenti sgrana pesanti critiche nei confronti di Kohut. Nota che la gente più stupida si è servita delle sue teorie e c'è da domandarsi quindi come mai esse si prestino tanto a volgarizzazioni e banalità; che l'introduzione di valori «positivi» come empatia, autenticità, genuinità ecc. ha un sapore moralistico da evitare; che se la teoria del «nuovo narcisismo» rappresenta una mutazione nella storia della psicanalisi c'è da chiedersi quali siano i suoi rapporti con la teoria precedente, cioè i suoi effetti sulla metapsicologia e sulla clinica; infine, questione cruciale, si chiede se questa pretesa nuova patologia narcisistica sia causa di una nuoVideo-zen di Pirsig e di Attali mostrano una realtà sociale completamente differente ed opposta a tali affrettate connessioni. Non si tratta affatto di proporre un'impossibile restaurazione del soggetto, del privato, dell'individuo, ma al contrario di fornire una risposta adeguata alla domanda di socializzazione dell'immaginario che proviene dalla società contemporanea: il compito che è stato svolto negli ultimi due secoli dall'ideologia economica e politica passa ormai all'estetica. Scrive Attali: «non si tratta più, per cambiare il mondo di dominarlo, né di farlo ragionare, ma di sedurlo» (p. 259); «mentre tutte le teorie sembrano false, mentre la ragione e la forza sono insieme universali e disprezzate, l'estetica resta la sola forma tollerabile del vero». La crisi che a partire dal 1965 scuote l'Europa e l'America, attraverso la saturazione dei mercati e l'aumento enorme della spesa pubblica, trova la sua soluzione, non già nel ripiegamento su modi di sviluppo e concezioni del mondo proto-capitalistiche, ma al contrario in «una nuova generalizzazione della legge del denaro agli scambi che sono ancora regolati al di fuori della sua legge». Tale generalizzazione implica il superamento sia delle teorie economiche basate sulla nozione di equilibrio del mercato, sull'autoregolazione o sull'eteroregolazione di questo, sia di quelle fondate sul concetto di valore, sulla endoproMario Pernio/a duzione o exoproduzione di questo. Un terzo mondo si annunzia e già si manifesta in Giappone e nell'Ovest americano: la sua caratteristica fondamentale sembra proprio una industrializzazione dell'immaginario, del sapere e della medicina, mediante la videomatica, cioè mediante l'uso avanzato della televisione e dell'elettronica. _g Mentre l'ideologia politica oscilla in modo inconcludente tra estrema destra ed estrema sinistra, è proprio la cultura orientale, e quella di ascendenza taoista in particolare, a costituire il punto di riferimento fondamentale di questa rivoluzione: non solo perché il Giappone sembra ad Attali per ragioni storiche, linguistiche e sociali in condizioni privilegiate per portarla avanti, ma anche perché proprio la cultura Zen soddisfa contemporaneamente due esigenze apparentemente opposte: l'abbandono della concezione scientifica del mondo e il distacco da se stessi, il ripudio insieme della ragione analitica e del soggettivismo. A questo proposito scrive Pirsig: «Il Buddha, il Divino dimora nel circuito di un calcolatore o negli ingranaggi del cambio di una moto con lo stesso agio che in cima a una montagna o nei petali di un fiore. Pensare altrimenti equivale a sminuire il Buddha- ilche equivale a sminuire se stessi» (p. 28). T utto ciò non ha niente che fare con la passività o con un quietismo meramente contemplativo. Anzi, secondo Pirsig, la fuga dalla tecnologia e l'odio nei suoi confronti portano alla sconfitta. Il modo di risolvere il problema non consiste nel fuggire la tecnologia, ma nel comprendere la sua vera natura, oltrepassando gli ostacoli che il pensiero analitico oppone ad una tale comprensione. Queste considerazioni evocano la distinzione heideggeriana tra la tecnica e/' essenza della tecnica: quest'ultima non è qualcosa di tecnico, cioè non ha niente a che fare con quella prospettiva meramente strumentale, calcolante e programmatica in cui il pensiero occidentale l'ha intesa'. La concezione umanistica dell'uomo come padrone del mondo e della tecnica come mezzo di tale dominio va elaborazione teorica o se no_nsia piuttosto la pregiudiziale teciiìca che la causa come effetto. Problemi di non poco conto che porre va ascritto alla serietà ed onestà scientifica di quest'analista zurighese allarmato dal consenso facile ed entusiasta con cui la penosità della scoperta freudiana, riciclata negli «States», sbarca in Europa in versione (s)empatica. Predire la fortuna delle tesi di Kohut in Italia non è facile: da noi la ricerca clinica non ha mai brillato né per esuberanza né per vivacità di confronto: gli analisti preferiscono ignorarsi o fingere di farlo piuttosto che confrontarsi o polemizzare. Apparteniamo ad una categoria esemplarmente, silenziosamente rispettosa al suo interno, almeno su ciò che concerne la specificità del nostro lavoro quotidiano e sulle sue durezze. In questo vuoto di trasmissione e di insegnamento che non sia esoterico e cenacolare, un crudo realismo farebbe prevedere che la ammiccante (s)empatia di Kohut attecchisca proprio là dove urge la necessità di una formazione - rapida - di terapeuti, cioè nelle istituzioni, specie in quelle inaugurate dalla riforma psichiatrica come luoghi supplenti di cura. Con una etichetta facile, «nevrosi narcisistica», si può classificare praticamente chiunque e confortare, con questo autorizzato revival della diagnosi, ogni aspirante medico dell'anima ché voglia prudentemente stare alla larga dalla psicanalisi. Ciò che Kohut teorizza, d'altro canto. Aggiungendo che occorre farlo perché le categorie classicamente freudiane sono ormai inservibili. Piacerebbe poterlo credere, anche a quelli che devono constatare, al contrario, quanto siano ancora tutte da esplorare. Il soggiorno negli «inferi della psicanalisi», come dice Freud, non è piacevole e non suscita suggestionati consensi perché non ha gratificazioni da offrire. Certamente offre qualcosa. Che non sia gratificante non toglie che sia squisitamente prezioso. eprime una valutazione estremamente riduttiva sia dell'uomo che della tecnica. «Sul Buddha - dice Pirsig - che esiste indipendentemente da qualsiasi pensiero analitico è stato detto molto, anche troppo secondo qualcuno. Ma del Buddha che esiste all'interno del pensiero analitico e gli dà la direwme, virtualmente non è stato detto rtiente, e questo ha i suoi motivi storici» (p. 86). Del resto la stretta connessione tra Zen ed effettualità pratica orientata sia tecnicamente che politicamente, sta scritta nella storia del radicamento e dello sviluppo di tale filosofia in Giappone: basti pensare al rapporto tra lo Zen~ le arti marziali>o al grande ruolo politico e commerciale svolto dai monaci Zen nel medioevo rtippo-- nico. Non è un caso che l'alrerego del protagonista del romanzo di Pirsig consideri i sofisti molto vicini alla soluzione dei suoi problemi; il nostro pensiero va del resto immediatamente ai sofisti quando leggiamo che i maestri della setta Zen non facevano propria una dottrina immutabile alla quale attenersi sempre e comunque, ma fornivano l'insegnamento di volta in volta richiesto dalla situazione e predicavano secondo l'occasione St nza una norma fissa•. In terzo luogo, Pirsig e Attali considerano la diffusione dello Zen in Occidente non come l'espressione di una crisi, ma come la soluzione di questa: a differenza tuttavia dei vari apologeti
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