Giornale dei Giornali Retorica del terremoto Il 24 aprile centinaia di terremotati, disoccupati e operai occupavano a Eboli l'autostrada e a Salerno lastazione ferroviaria. La protesta «fece notizia»'.Ma era un fuoco dipaglia: stampa e televisione sembrano avere archiviato il problema fra quelli da dimenticare fino a nuovo ordine. Nel numero di giugno Alfabeta pubblicava l'Appello dal terremoto alla cultura italiana, inviato dal Coordinamento dei Comitati popolari di venticinque comuni del «cratere», cioè dell'area più colpita dal sisma del 23 novembre. Nell'Appello i Comitati Popolari denunciano l'isolamento informativo delle popolazioni del cratere e sollecitano le forze della cultura a intervenire attivamente nella questione del «dopoterremoto». Nelle settimane seguenti lo «strano» silenzio degli organi di informazione nazionale continuava. Ma qualcosa ha cominciato a muoversi. li 26 giugno uscivano sul Manifesto le prime risposte ali'appello pubblicato da Alfabeta, sotto il titolo: Dai luoghi del terremoto una sfidaalla stanchezza degli intellettuali. Per la ricostruzione urbanisti, agronomi, sindacalisti cominciano a rispondere alla domanda d'aiuto dei comitati popolari Intervenivano il gruppo «Cronaca» della RAI, Paolo Volponi, Franco Cassano, Liberato Norcia, Carmine Nardone, Giovanni Russo, Luisa Morgantini e, qualche giorno dopo, Fra11coFerrarotti. Nei primi giorni di luglio i Comitati Popolari a11nu11ciavanoin, u11aletteraai direttori dei giornali, la decisio11edi aprire una «verte11zai11formazio11e»e re11deva110 11010il testo di u11telegramma a Perti11i: « li terremoto, lo hai affermato tu, rappresenta un ba11codi prova per tutti 11ellafase dell'emergenza e, ancor di più, oggi nella fase della ricostruzione. Ma, malgrado il tuo appello, le popolazioni terremotate stanno sostenendo la loro lotta per la ricostruzione ed il cambiamento nel più completo isolamento». La stampa (tolte poche eccezioni, per esempio /'Unità del 4 luglio) decideva di ignorare anche questa iniziativa dei Comitati Popolari. Sulle colonne del Manifesto- i/ solo quotidiano che si è impegnato seriamente - affluivano però nuove adesioni e nuovi interventi. Tra gli altri, da registrare la risposta della segreteria regionale della Flm di Napoli, alla vigilia dello sciopero dei metalmeccanici dellaprovincia di A ve/- lino (Cari Comitati Popolari, /4 luglio) e l'articolo di Antonio Bassolino, segretario del Pci della Campania (22 luglio). li 18 luglio, sulla pagina culturale della Repubblica, usciva una lucida e spietata autocritica del comportamento assenteista della stampa, firmata da Sandro Viola, E il giornalista scrive al rullo dei tamburi. La rubrica televisiva di cui parla Viola ne/l'articolo è quella· del gruppo «Cronaca» della seconda rete RAI, che da mesi sta lavorando nella zona del cratere, in collaborazione diretta con i Comitati Popolari. Anche il sindacato dei giornalisti ha compreso che è in gioco la credibilità stessa della categoria. Per il 28 luglio la Federazione Nazionale della Stampa haorganizzacaoRomaunaconferenza stampa dei Comitati Popolari. Nel muro del silenzio si è aperta una breccia, si è acceso un dibattito che non coinvolge solo iproblemi del terremoto e il ruolo dei Comitati Popolari nella ricostruzione, ma tocca in profondità il rapporto fra informazione e «grandi problemi» in questo periodo della storia italiana. Alfabeta intende alimentare questo dibattito, che deve scavare a A cura di Jndex-Archivio Critico dell'Informazione • fondo nei meccanismi informativi e culturali messi a nudo dalla questione del terremoto. La retorica del terremoto, nel flusso informativo dominante, si è articolata in due tipi di discorso ben distinti: il discorso eccessivo, proprio della fase «catastrofica», e il discorso omissivo, proprio della fase «problematica». Il grafico che riportiamo mostra la parabola dell'informazione nei grandi quotidiani all'indomani del terremoto: il punto di transizione fra le due fasi si colloca fra la fine di dicembre e l'inizio di gennaio. Nella fase catastrofica si ha una eccezionale mobilitazione di risorse informative (inviati, spazio, etc.), una proliferazione dell'informazione di dettaglio, un eccesso retorico che si di altri processi sociali analoghi, risponde alle leggi impersonali dell'eco- • nomia informativa che regola il funzionamento dei grandi apparati, alle spalle dei singoli giornalisti e, spesso, di editori e direttori. Ciò spiega il carattere paradossale delle autocritiche emerse nei due grandi quotidiani: Corriere della Sera e La Repubblica giungono a mettere sotto accusa il proprio comportamento, ma non a modificarlo. Esiste una «logica di apparato» che investe in egual misura le diverse testate e che si rivela più forte della «buona volontà» degli individui. Nel suo articolo del 18 luglio, Sandro Viola tenta di analizzare i meccanismi che stanno alla base di questa logica perversa. Ne elenca sostanzialmente tre: « I) Il quotidiano italiano non ha le pene, è talmente vorticosa che la memoria del giorno prima diventa difficile, scalzata com'è continuamente dall'eruzione dell'ultimo disastro,.. È questo uno dei rarissimi casi in cui la stampa scende a discutere i propri funzionamenti davanti al proprio pubblico, perciò vale la pena di approfondire l'argomentazione di Viola. Il terzo punto è - apparentemente - quello che ha meno bisogno di spiegazioni. Si situa nella logica, che da tempo critichiamo, del «romanzo italiano»: in effetti, non sta scritto da nessuna parte che la stampa italiana debba ridursi al ruolo di mero organo di affabulazione della «puntata del giorno», in base alle indiscrezioni e ai colpi di scena più o meno «pilotati>. I giornalisti avrebbero anche la possibilità di ricostruire la trama del 9 Quotidiani nazionali • Media dello spazio e del numero di inviati 8.5 8 7.5 7 <,.s 6 5.5 5 4.5 4 3.5 3 2.5 2 1.5 ... 0,5 . ... . . . .. ... .. . .. . . numero medio p;,igine - - - numero medio im·iati 24 25 2<, 27 28 29 30 I 2 3 4 5 6 7 K 9 IO 11 12 13 14 15 16 17 IK 19 20 21 22 23 24 27 28 29 30 31 novembre 1980 dicembre I IJ80 riflette nel tono enfatico dei commenti e delle titolazioni. Tutto «fa notizia» ed è amplificato al massimo: anche il più piccolo «rumore» è trasformato in informazione. Di questa fase sono testimonianza eloquente gli editoriali e gli articoli di fondo nei giorni successivi al sisma. Rileggerli oggi è come visitare un museo abbandonato: ne offriamo una piccola antologia che si commenta da sola. Nella fase problematica, che si avvale dell'apparato informativo di routine, subentrano una estrema rarefazione di mezzi, la soppressione strutturale della notizia, la paradigmazione degli eventi come normalità. Ogni informazione è considerata come parte del «rumore di fondo» (noisy o noiosa). Il black-out della fase problematica a metà dicembre è stato previsto e più tardi esplicitamente denunciato sia da Giovanni Russo sul Corrieredella Sera sia da Sandro Viola sulla Repubblica (vedi le rispettive «finestre»). È l'altra faccia del museo, quella più consapevole: l'apparato giornalistico accusa clamorosamente il proprio silenzio e la propria impotenza. Siamo ai limiti del paradosso. Un terremoto da dimenticare tra il titolo con cui questa rubrica si occupò per la prima volta dell'argomento nel mese di gennaio. La nostra tesi era che la retorica del terremoto, come quella in questa fase alcuna vocazione per i 'problemi'; 2) I giornalisti italiani men che meno, perché occuparsi d'un problema' nel suo complesso - piuttosto che dalla sua faccia visibile' quel dato gior- . no' - costa un bel po' di fatica; 3) In Italia, 'in questo stato' (per usare l'espressione di Alberto Arbasino), la girandola degli scandali, dei crolli politici e morali, dei delitti e delLabirimo figurato di Francesco Segala (I 500). «romanzo,., anzichè limitarsi a raccontare ogni giorno un nuovo e insensato capitolo. Almeno potrebbero provarci. Se non lo fanno, dipende certamente anche dalle forze che si muovono nel «romanzo» (la vicenda della P2 ha chiarito molte cose in merito). Ma dipende anche da ragioni endogene al sistema informativo: alcune si ricollegano al secondo punto indicato da Viola, cioè alla scarsa vocazione che i giornali hanno in questa fase per i «problemi,.. «Secondo tale mentalità, l'immobilismo in cui versa il mercato dei quotidiani in Italia (che conta, com'è noto, più o meno gli stessi lettori di trentaquarant'anni fa) può oggi essere finalmente rotto. Si tratta di rendere il quotidiano sempre più appetibile, stuzzicante, 'avvicinandolo' a strati di pubblico che sinora rifiutavano di acquistarlo. Dunque operare chirurgicamente per asportarne ogni residuo paludamento, ogni possibile noiosità, tendendo ad argomenti e linguaggi che siano accessibili a masse di nuovi lettori... Per il momento le attese d'espansione stanno producendo una serie di effetti negativi. Elenco a caso: la crescente fragorosità, un tipo di titolazione ormai misurabile in 'decibel'; la straripante polemicità; uno stile (un linguaggio) quasi perennemente forzato; un'ossessione della tempestività che produce troppe (e spesso gravi) imprecisioni; l'eccesso di emotività>. i:. probabile che questa sia, come scrive Viola, la visione editoriale che domina attualmente. Se è così, si tratta di una visione ingannevole ed ideologica che può preparare qualche amara delusione per i nostri editori: in fondo una visione non molto diversa era alla base di progetti come quello dell'Occhio, finito nel modo che sappiamo. 'Non si comprende, infatti, quale contraddizione esista fra l'avvicinare nuovi strati di pubblico, l'affrontare i grandi problemi della vita sociale e l'abbandonare linguaggi paludati e noiosi. Tutto sommato, si potrebbe sostenere il contrario. Forse la motivazione di questa «visione> è un'altra: produrre informazione sui «problemi» è, per gli apparati giornalistici, più difficile e più «costoso» che sfruttare l'attualità a sensazione che il «romanzo italiano,. offre in gran copia. È un meccanismo perverso che - alla lunga - può generare nel pubblico nausea e frustrazione (qualcosa di simile è già accaduto nella stampa settimanale). Questa ipotesi si ricollega al terzo punto, che Viola mette a carico dei giornalisti: «C'è poi la resistenza dei giornalisti a distaccarsi dall'attualità più incandescente (l'ultimo scandalo, il grande attentato) o da quella di 'routine' (Montecitorio, i partiti, etc) ... C'è il fatto che una ricerca risulta sempre faticosa, mentre il 'pezzo di getto' sull'avvenimento del giorno si presta molto spesso all'inveuiva contro il potere, oggi di gran moda specie tra i giornali e i giornalisti che sino a qualche anno fa erano estremamente rispettosi del potere. C'è poi la questione del linguaggio: l'inchiesta su un tema ampio e a suo modo statico non consente infatti il linguaggio turgido, sempre in bilico tra commozione e indignazione, che domina attualmente nei nostri giornali. E c'è il fatto che il 'problema', le volte (rare) che viene affrontato, trova posto nei luoghi più in ombra del giornale, cosa che evidentemente non invoglia i giornalisti ad occuparsene ... Ecco affiorare quindi una specie di circolo vizioso tra le ragioni editoriali e le motivazioni soggettive-dei giornalisti, il cui risultato è una crescita continua del volume sonoro dei quotidiani a scapito dello spessore e della credibilità dei materiali>. Qui ci accostiamo al nocciolo del problema. Fare inchieste costa tempo e fatica, richiede di sostituire l'invettiva a tavolino (scomoda solo in apparenza) con l'informazione in profondità (questa sì invisa al potere o ai poteri). Ed ~ vero che l'adeguamento dei giornalisti alle mode correnti e alle «visioni editoriali> è un fattore decisivo. Ma siamo meno sicuri di Viola nel definire questi comportamenti come mere «motivazioni soggettive» dei giornalisti. Sono «motivazioni» largamente indotte dal funzionamento dell'apparato. Facciamo un esempio, tratto proprio dalla vicenda del terremoto. Il grafico mostra che già alla fine dello scorso dicembre i grandi quotidiani stavano completando il rientro degli inviati dalla zona del disastro. Il giornale che avesse mantenuto un inviato sul posto avrebbe avuto fra le mani uno scoop autentico, un'informazione aggiunta che avrebbe fruttato molto materiale esclusivo. essuno ha del resto comandato ai direttori di relegare inchieste di questo tipo «nei luoghi più in ombra del giornale», disincentivando i giornalisti ad occuparsene. Una inchiesta esclusiva su un
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