Alfabeta - anno III - n. 28 - settembre 1981

tema che ha profondamente colpito larghi strati dell'opinione pubblica-se non altro nelle regioni meridionali - può diventare benissimo un argomento da prima pagina, un fattore di attenzione più capace di presa di tanto «sensazionalismo,. ripetitivo. Insomma, se i giornalisti sono «pigri,. l'apparato è più «pigro,. di loro ed eleva la «pigrizia infomuuiva» a modello di comportamento. Il rapporto tempo/risultato conta per i singoli giornalisti, ma conta ancor di più per l'apparato. In definitiva, la destinazione del tempo- redazionale non è un'autonoma decisione del singolo redattore. È interessante. da questo punto di vista, che Viola accomuni «l'attualità più incandescente,. a «quella di routine (Montecitorio, i partiti, ecc.),.: che cosa hanno dicomune se non un rapporto «redditizio» fra fonte e apparato in termini di tempo/prodotto? Aprire e consolidare nuove fonti dovrebbe essere la carta vincente di ogni competizione fra le testate. Se i giornali preferiscono «stabilizzare,. una struttura di fonti - grosso modo ugualeper tutti - e lavorare su titolazioni, turgidi commenti, polemiche fragorose, anzichè competere sulla produzione di informazione reale, è perché l'economia degli apparati giornalistici ha imboccato una strategia malthusiana che consente di ridurre tempi e costi. Evidentemente, la maggior parte dei giornalisti si adegua a questo standard produttivo, che stimola la pigrizia e il facile guadagno di prestigio: ma non è semplicemente una «motivazione soggettiva... È piuttosto la conseguenza di un'economia dell'apparato e dell'organizzazione del lavoro che ne deriva. A gennaio, parlando del terremoto, dicevamo che i grandi mezzi di informazione sono stati scoperti dagli eventi senza mezzi, senza risorse per seguire il processo sociale scatenato nel Mezzogiorno dal terremoto, ben oltre la fase catastrofica. Un tipo di apparato e di organizzazione del lavoro ancora basato sul mito della «professionalità della penna,. non riuscirà mai ad allargare i propri rapporti informativi con vasti strati di popolazione, che si tratti di terremotati meridionali o di giovani lombardi. Dubitiamo fortemente che un giornalismo incapace di raccogliereinformazione presso questi strati sia poi in grado di venderla loro, «allargando finalmente il numero dei lettori,.. La «crescita continua del volume sonoro,. di cui parla Viola non basterà a nascondere che dietro il fumo manca l'arrosto. Piccola antologia del discorso catastrof"ico "···Difronte al dolore e allapaura, tace anche la polemica. Organizzare i soccorsi, rompere l'isolamento, garantire la solidarietà, è compito del governo, delle Regioni, di tutto il Paese. Il resto, in queste ore di angoscia non conta e non vale. Ma il cronista del Sud e che sente in questi momenti la sua lontananza come un'insopportabile esclusione, ha il dovere di ricordare alle forze politiche che la tragicarealtàdel/'en- ·,nesima catastrofe nel Mezzogiorno sottolinea la gravità della questione morale, la ripropone nei giorni di scandalo, come un dovere civile. Le speculazioni ingorde e gli intrighi senza nome appaiono ancor più squallidi alla luce delle sofferenze e dello sma"imento in cui sono piombati ieri decine di migliaia dt nostri infelici concittadini. «E guai a noi se, anche in questa circostanza, ripeteremo la prova di inefficienza e di cinismo che abbiamo offerto negli ultimi dieci anni allepopolazioni del Be/ice». E on non sia un altro Belice di Antonio Ghirelli (Corriere della Sera, 24 novembre 1980) "··· Mfl crediamo chesia nostro diritto appellarci al senso di responsabilità dei nostri colleghi della stampa, della radio, della televisione; e insomma di tutti i cosiddetti mezzi di comunicazione perché fin da domani non si cominci a parlare, come purtroppo si è fatto in altre occasioni, di 'rabbia' dei sinistrati per la mancanza di servizi di emergenza, per la lentezza dei soccorsi, per le baraonde che fatalmente si verificheranno sulle strade intasate, per lentezze della burocrazia eccetera (...) Di deficienze e inefficienze ce ne saranno anche stavolta, anzi più di allora perché nel frattempo i servizi pubblici, lungi dal migliorare, sono peggiorati (...) Quindi prepariamoci a ogni sorta di ritardi e sfasature, che noi ci riserviamo di segnalare e criticare. Ma senza rabbia. Perché di rabbia questo non è tempo. «'Che non sia un altro Be/ice', ha scritio a botta calda un giornale. E noi non siamo d'acc-,rdo. Ma non siamo d'accordo sul sottinteso polemico di queste parole perché dobbiamo affrettarciad aggiungerecheper fare un altro Belice, lo Stato non basta( ...) Lo Stato, è vero, non fece nel Be/ice tutto quello . chepotevaedovevafare. Ma nemmeno la popolazione fece tutto quello che D coraggio dell'autocritica Giovanni Russo «Ieri sera, alle 19,32, erano esattamente 2 I giorni dal terremoto. Per Natale mancano solo dieci giorni. L' Italia consumistica si dimenticherà, sui campi di sci o accanto al panettone, delle papa/azioni campane e lucane così gravemente colpite. Anzi, è triste constatarlo, sta già rimuovendo il problema e crede di essersi messa la coscienza aposto avendo soffocato i paesi dell'Irpinia o della Basilicatasotto tonf!ellate di latte in polvere, coperte e magari abiti usati. Intanto il governo annunzia nelle aule parlamentari semideserte stanziamenti di centinaia di miliardi, senza indicarecome impiegarli». Terremoto, il rischio di dimenticare (Corriere della Sera, I 5 dicembre 1980) «Durante il rapimento del giudice D' Urso, il Corriere e buona parte della stampa decisero di resistere al ricatto delle Br, rifiutando di pubblicare i comunicati dei terroristi. Altri giornali (pochi) si comportarono diversamente. Quello che impropriamente fu chiamato il 'black-out' suscitò un dibattito autentico sui diritti e i do veri dellastampa. «Un vero 'black-out' è ora, invece, totalmente riuscito: quello sul terremoto del 23 novembre I 980. Non ci sono stati nè dibattiti nè polemiche di garantisti. Per una tacita intesa è stato puramente e semplicemente deciso che il terremoto non c'è mai stato. Migliaia di morti, decine di migliaia di feriti, 35 comuni della Campania e della Basilicata annullati dalla faccia della terra, tre città semidistrutte, altre centinaia di comuni danneggiati gravemente sono stati dunque un'invenzione dei giornali e della TV? Il silenzio è interrotto solo dalle cronache sui tumulti dei nuovi 'lazzaroni' di Napoli, i 'disoccupati organizzati', ma il buio cala appena sembra che La loro rabbia si sia placata. Anche Napoli non c'è mai stata in Italia, e emergesolo per i delitti di onore o della camorra?». D terremoto? Non è mai avvenuto (Corriere della Sera, 3 aprile 1981) poteva e doveva fare... » Niente corvi sul disastro di Indro Montanelli (li Giornale, 25 novembre 1980) « ... noi siamo una terraballerinanon solo nel sottosuolo ma anche sopra: generosi e volubili, gli italiani si commuovono, accorrono, offrono. E poi dimenticano, mentre i sopravvissuti restanosoli a raccattarepietre eschegge di masserizie su cui è incisa la storia parsimoniosa di intere generazioni». «C'è un meccanismo nellamente dell'uomo, per cui il dolore di chi è sempre vissuto nel dolore suscita meno pietà, e la miseria di chi è sempre stato povero non fa impressione. Voglio dire, chiaramente; il pericolo è che ci dimentichiamo presto di questa catastrofe nel Sud. In fondo, essa aggrava ma non modifica L'immagine tradizionale, secolare del Sud, trasforma in indigenza quel che però era miseria, crea dei lutti reali per delle donne che però han porlato il lutto fin dalla nascita. E c'è il pericolo, che è poi l'altra faccia di questa medaglia, che il Sud si rassegni a vedersi abbandonato, perché si è sempre sentito abbandonato. E c'è poi un terzo pericolo, il più grave di tutti, ma secondo me il più probabile di tutti, e che dobbiamo pur esprimere se vogliamo essere sinceri fino in fondo: il pericolo che dopo un certo tempo, di fronte alle immagini delle conseguenze ancorapersistenti del terremoto, lagente da Roma in su pensi che era chiaro che doveva finire così, che col Sud finisce sempre tutto così, perché il Sud t fatalista e rinunciatario. . «La verità, ripetiamo, è che questo terremoto non crea una situazione bisognosa di aiuto là dove c'era prima una situazione normale, anche la situazione di prima era bisognosa di aiuto. La situazione di prima vedeva terre vaste, ma ignorate dai mezzi di informaSandro Viola « ... Ma ora che il resoconto è completo ecco profilarsi nuovi pericoli. E prima d'ogni altropericolo che il terremoto scivoli via dalla memoria degli italiani, come sin da qualche giorno ha cominciato a scivolare dalle prime pagine dei giornali e dai titoli di testa dei notiziari televisivi. «Il rischio che, incalzato da nuovi avvenimenti drammatici, da altre angustie e preoccupazioni, il quadro della catastrofe sbiadisca poco alla volla, sino a divenire uno di quegli avvenimenti di cui ci si rammenta solo a lunghi intervalli, un giorno per una manifestazione di baraccati dinanzi a Montecitorio e qualche mese dopo per l'af fiorire di un mostruoso peculato. « Ebbene, questa volta le cose devono andare diversamente che in passato. Se nel Palazzo c'è davvero - come si sente dire - qualcuno che s'aspetta che la memoria del disastro declini, che tra un mese o due i giornalisti non vadano più a vedere che cosa accade (ciò che si fa e ciò che non si fa) nei paesi terremotati dell'Irpinia e della Lucania, questo qualcuno si disilluda. Per quanto riguarda, infatti, l'impegno del nostro giornale è sin da oggi quello di impedire che il terremoto del 23 novembre finisca -com'è accaduto per altre sciagure nazionali - nel dimenticatoio. L'impegno di impedire che tutto si restringa ad un episodio locale gestito da autorità note soltanto per i pessimi trascorsi, ad un traffico d'injluenze elettorali, ad una vicenda di ritardi, di inefficienze e di corruzione, di cui l'opinione pubblica abbia notizie vaghe, parziali e saltuarie». Governo stavolta ti terremo d'occhio (Repubblica, 12 dicembre /980) «I curatori di una trasmissione televisiva vennero a intervistarmi sul problema terremoto-informazione, chiedendo una risposta a questa precisa domanda: come mai, per quali ragioni il terremoto del 23 novembre (o più . .esattamenteil suo 'dopo': vale a dire la quantità di questioni connesse al reinzione, una massa umana chiusa, con la sua cultura arcaicae squisita, in piccoli centri sovrappopolati in mezzo a campagne vuote (...) Qui bisogna fare qualcosa di nuovo. Bisogna inventare una forma di intervento diversa dalle solite, perché le solite, che non bastavano altrove, a maggior ragione non bastano qui». Dolore a dolore di Guglielmo Zucconi (Il Giorno, 25 novembre 1980) La doppia sventura del Sud dimenticato di Ferdinando Camon (Il Giorno, 26 novembre 1980) «Ora i notabili accorrono, stringono mani, recitano parole di consolazione, ma nella memoria di tutti ci sono immagini troppo simili a queste, nella stessa Irpinia, nel Be/ice. Salvo poi scoprire, .dopo, che i miliardi dei contribuenti sono finiti in opere inutili o, peggio, in speculazioni( ...). Qui occorre dare, subito, sin dall'opera di soccorso, un segno nuovo che incoraggi gli italiani più pronti e generosi. Bisogna rassicurarli che non si ripeterà, ad esempio, il Be/ice, che la cultura italiana, chiamata a dare .un contributo essenziale per ricostruire, oltre che case o paesi, un intero assetto socio-economico, saprà calarsidavvero in queste realtà di terre fragile e avare. «Anche di fronte alla tragedia'gigan-' tesca del terremoto che infierisce sul Mezzogiorno_più depresso ritornano i problemi della 'moralizzazione', dell'efficienza della democrazia, del buon sediamento dei terremotati, alle opere di ricostruzione, al funzionamento delle leggi e al meccanismo della spesa) è sparito dalle pagine dei quotidiani italiani? « La domanda è noiosa, e quindi faccio un paio di tentativi per defilarmi. Ma i curatori della trasmissione sfoderano un argomento decisivo: in un articolo dei primi di dicembre de~anno scorso, un paio di settimane dopo la catastrofe, avevo appunto scritto che il terrembto e i suoi problemi erano destinati a scivolare via velocemente, e poi addirittura a scomparire dalle pagine dei giornali. E dunque: da dove nasceva quella mia previsione, come facevo ad essere così sicuro che le cose sarebbero andate come poi, effettivamente, sono andate? (...) Il terremoto? Benissimo i primi giorni, quando un' occhiata ai luoghi del disastro serve a scrivere un pezzo di grande vivacità. Ma dopo, quando si tratterebbe di leggere documenti, interrogare personaggi grigi e sconosciuti, costruire pazientemente il quadro del problema, allora il terremoto diventa una croce, un incarico al quale-se appena è possibile -sottrarsi. (...) Un articolo sui terremotati si farà dunque alle prime piogge d'autunno, non alesso, perché è allora che ci saranno i primi casi di polmonite e si potrà tuonare con più forza contro l'incuria del governo. Così, quando tra qualche settimana si saprà che gli enti locali mancano di fondi per le opere di ricostruzione, si leggerannosicuramente articoli di generosa e fremente pro.testa; ma nessuno ha dato conto, intanto, del fatto che nei quaranta giorni della crisi di governo c'è stata una sola (dico una) riunione del Cipe, l'organismo che deve appunto provvedere allaspesa per la ricostruzione». E il giornalista scrive al rullo dei tamburi (Repubblica, 18 luglio 1981) governo, del saper pianificare con la gente e in mezzo allagente, del far politica con pulizia» Nell' «osso» d'Italia è tutto più drammatico di Vittòrio Emiliani (li messaggero, 25 novembre 1980) « ... Quella gente non ha mai avuto niente da noi, italiani iscritti alle anagrafi della repubblica. Discorsi, promesse, retorica, tasse, libere elezioni per mandare in Parlamento chi userà i loro voti per disegni e strategieche non la riguardano mai, mai. «Cafoni sono nati, cafoni restano, se non partono per Torino o Milano o Roma. Cafoni che servono ma non contano. Il terremoto è una catastrofe che viene dalle viscere della terra, nessuno ne ha colpa. Ma attenti, uomini del Palazzo: questa volta non potete sbtfgliare il conto neppure d'un centesimo e non potete scordare il calendario neppure d'un giorno. Questa volta, se dovesse ripetersi la storia del Be/ice, ·noi, uomini d'ordine, andremo nelle piazze a incitare contro lo Stato e ci sentiremo, nonostante, a posto con la coscienza. Deve cominciare da oggi, da subito, una grande opera di rinnovamento e di solidarietà (...). «A vere uno stato che distribuisca su tutta la nazione il carico di sofferenza che tutti dovremo portare: questo vorremmo e questo temiamo di non avere. Ma quando catastrofi di talidimensioni accadono, forse la nazione si fa più forte sotto la sventura e riesce a rinnovarese stessae lo Stato. E questo Stato, per quanto sta in noi, lo trascineremo per i capelli, stavolta, a compiere il suo dovere insieme a noi tutti». Questa volta non permetteremo un altro Belice, editoriale (La Repubblica, 25 novembre 1980) «Ma non si può trascurare che l'odierna 'questione morale' nasce da un sincerissimo disgusto, una protesta, una indignazione che sale dal Paese. Pertini se ne è fatto interprete. Guai se, di fronte a tanti scandali, prossimi e remoti, non ci si indignasse. Aveva ben ragione ]emolo di dirci, l'altro giorno, che la mancanza di indignazione è il sintomo più grave del male del Paese. Già Colajanni, quando attaccava la politica crispina, deplorava l'atteggiamento 'apatico, indifferente, corrotto' di tanta parte del Paese. Non ci-si dica che questo sdegno incontenibile può turbare precari equilibri politici. Tale rischio è preferibile alla indifferenza e all'inerzia. « Corruzione e terrorismo sono oggi i due grandi mali di questa nostra Repubblica. Non c'è più tempo da perdere. Ci aspetta una prova decisiva: o re- • stituire un volto pulito e serio e forte al nuovo stato, o assistere al suo inabissarsi. Qualcuno, in questi giorni, ci ha riferito versi ancora inediti di Montale: 'Pare/non debba dirsi Italia/ma lo Sfascio'. Ma c'è per fortuna un'altra Italia, che proprio in queste ore tragiche si sta prodigando nel Sud in uno slancio di meravigliosa solidarietà. È l'ora di scegliere». Dalla parte degli onesti di A. Galante Garrone (La Stampa, 30 novembre 1980) <<.. Responsabili siamo tutti, per leggerezza e per incuria; gravissima è la condotta di chi ci governa, e nòn sa indirizzare nè le proprie, nè le nostre condotte (...). Si scatena un terremoto, e il nostro fallimento appare in tutta la sua completezza: così fu per il Be/ice; così è stato per il Friuli; così è per la Irpinia. La furia della natura, oltre a restituirci alle nostre infinitesime dimensioni, smaschera - in modo solenne - i nostri errori e le nostre colpe. La più grave delle quali, quella che più indigna, suole rivelarsi nei 'dopoterromoto': ecco l'inverno; ma quanti inverni dovranno passare perché iterremotati di ieri abbiano una nuova casa?' Dopo' non siamo più importanti di fronte alla maestà del creato: possiamo, quindi dobbiamo farci creatori, nel senso terreno e modesto del termine; dobbiamo raccogliere e destinare tutte le risorse perché questi cittadini possano sentirsi tali, cioè serviti dal Paese e, come uomini, avvertano il nostro calore. « Guai se, trascorse le giornate di lutto, quest'italiani si sentiranno abbandonati. Certo, la vita continua; ma deve continuare anche per loro! Ciascuno di noi deve ricordare, ricordare, ricorda.- re;e non defletterefino a che le traccedi questo come dei precedenti disastri non siano cancellate. «Ora, nell'agenda dei nostri governanti, la sorte dei terremotati si colloca al primo posto; auguriamoci che non faccia la fine degli altri, e pur gravi, problemi ali'ordine del giorno. D'altra parte, stiamo in guardia che il terremoto non offra ai nostri politici alibi provvidenziali per distogliere l'attenzione dalle magagne e per non ricondurre la indi/azionabile opera di bonifica». O dovere di ricordare. Sgomento e rabbia di Elio Fazzo/ari (li Tempo, 25 novembre 1980)

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==