Alfabeta - anno III - n. 28 - settembre 1981

perenne della letteratura italiana ed un passaggio obbligato per un numero assai elevato di autori. Gli esempi che si possono addurre sono davvero sterminati, ma ricordiamo almeno alcuni testi canonici. L'enumerazione può agevolmente seguire la su!XCssione dei capitoli di una storia letteraria: le tre redazioni dell'Arcadia del Sannazaro; le tre redazioni del umegiano del Castiglione; Francesco Guicciardini, il quale non solo rielabora il Dialogo del reggimento di Firenze e riscrive quasi fino alla morte, per ben quattro volte, la Storia d'Italia, ma di alcuni Ricordi lascia addirittura ben quattro redazioni; le tre celeberrime redazioni dell'Orlando Furioso; il profondo rimaneggiamento dell'Adone del Marino; le innumerevoli stesure del Giorno del Parini; la quasi trentennale elaborazione delle Grazie foscoliane; le vicende, a tutti note, dei Promessi Sposi ecc ... Emblematico, tra tanti, il caso della Gerusalemme Liberata (della quale non si è riusciti ancora a produrre l'edizione critica): nella ininterrotta successione delle varie stesure, la Gerusalemme assume alla fine una «direzionalità>, per cosi dire, opposta rispetto al modello iniziale, e diventa, con la Gerusalemme Conquistata, un'opera completamente diversa. Il «distinzionismo• dello specialista dei vari territori forse non approverebbe una siffatta enumerazione. ~on vi è dubbio che «diverso• sia ogni caso rispetto a tutti gli altri: le giuste «differenze• non devono certo essere annullate in nome del demone della riscrittura! Sicuramente prevalenti (per ricordare alcuni nomi istituzionalmente egemoni di un medesimo periodo) sono ad esempio per l'Ariosto le preoccupazioni di una revisione liguistica dell'opera; il Cortegiano registra invece il processo involutivo delle corti ed insieme «amministra• la carriera del proprio autore, costretto ad aggiornare ininterrottamente la propria udienza; ed il Tasso, ancora, propone nuovi modelli di devozione mentre la Chiesa tri.dentina riscrive la propria storia ecclesiastica e la propria dottrina. Ma gli esempi (con relative «spiegazioni•) possono continuare, fittissimi, anche per i tempi piu recenti, e non solo per poeti ormai consacrati come Pascoli e Unga,-etti, ma anche per autori quali Pasolini, Bassani. Arbasino, Meneghello ecc... P arlare dei testi della letteratura italiana significa dunque parlare. necessariamente, della riscrittura di essi. Senza ipotizzare un Testo primitivo, una prisca veritas che i «linguaggi secondi• avrebbero riscritto. non si può non sottolineare come ogni «nuova redazione• rinvii a tutte le altre, precedenti riscritture. Prima di • pensare i tratti di una genealogia della testualità, la domanda, nella quale si può stringere il problema di cui si discute, potrebbe provvisoriamente essere la seguente: Perché i testi si presentano in forma di storia? La diacronia delle opere non è infatti stata consumata solo sullo scrittoio dei loro autori. Nelle élites, ristrette ma sempre in qualche modo «collegiali• (le confraternite religiose, i circoli neoplatonici, le accademie, le corti, i gruppi risorgimentali, le avanguardie ecc ...) i «primi testi• circolarono lar-. gamente, in forma di abbozzi, prime edizioni, redazioni incomplete. E furono spesso ampiamente dibattuti, produssero corpose «differenze•, interruppero linearità acquisite. I sistemi d'esclusione in.dagati da Foucault (interdizione della parola, censura, rigetto ecc...) sono procedure che attraversano l'opera, o meglio riguardano una intenzionalità non subiettiva e certamente non antropologica. I luoghi deputati dove preterizioni e interdizioni si consumano sarebbero dunque soprattutto il commento e la critica letteraria. Per gran parte della letteratura italiana, l'elisione dell'atto di enunciazione ed i suoi meccanismi possono invece essere analizzati in fieri e studiati innanzitutto nel «farsi• dell'opera. È forse anche questo il Auxerre, Ca11edrale(1334-1335). motivo per cui le pratiche interpretative di tipo sincronico hanno si attraversato proficuamente la critica italiana (accademica e non), ma per applicarsi soprattutto ad autori stranieri: le proprietà della scrittura brillano piu chiaramente infatti laddove piu visibile ed eccitante è lo scarto tra forme della letteratura e forme del potere. Questa eccitazione è largamente negata all'italianista. Ai suoi studi si offre piuttosto la supremazia del «discorso dell'ordine», perché i sistemi di censura non riguardano la dialettica Autorità-oggetto letterario, ma piuttosto un processo di limitazione e rarefazione interno all'opera. La quale spesso è stata consegnata alla posterità nelle forme di un corpo linguistico intimamente sedato, da cui sia stata espunta ogni temuta alterità. Ali' «ultima redazione•, emendata e purgata, a una versione cioè senilmente placata, è affidata la perpetuazione dell'eredità letteraria. Non ci si deve dunque meravigliare se una dottrina potenzialmente eretica come il neoplatonismo diventa addirittura una delle basi teoriche della Controriforma, né se il suo furor si sottomette alla Carità cristiana. E non si spiega nulla invocando la misteriosa Kato Paphas, Cipro (IV Sec. d.C.). re» la storia della cultura italiana è di scriverne, generazione dopo generazione, la storia degli intellettuali. «Fare la storia» in tale prospettiva non è certo soltanto una brillante operazione di sociologia della letteratura per agganciare lo specifico letterario alle situazioni economiche e politiche, e mediare cosi abilmente tra testo e contesto. Dalla parte dei testi, la storia degli intellettuali è la storia (interna ed insieme esterna) dei testi stessi. Ancora un esempio: lo stesso Ariosto, la cui scrittura è certo d'altissima invenzione, guarda non solo alla lingua, quando riscrive l'Orlando Furioso, ma ridiseg"na- nelle tre redazioni - la geografia del potere delle corti, assegna e toglie funzioni a poeti, cancellieri ed eruditi, miniaturizza le vicende dei suoi anni e ridefinisce il proprio giudizio rispetto ad esse. L'intellettuale italiano è stato ovviamente un produttore di testi, ma il produttore di testi è stato quasi sempre anche un intellettuale (nella accezione classica, gramsciana della parola), pronto a partecipare ad un progetto di egemonia, a concorrere ad una qualche forma di protagonismo o solo a sognarlo. L'incontro e la tendenziale sovrapposizione della scrittura critica Un nuuvu giuw delruca, xilografia (111e1dàel seicelllo). forza, «in sé» vischiosa ed inglobante, della Tradizione. La tradizione macina ciò di cui è nutrita: sono gli oggetti smussati e levigati che l'hanno alimentata a farne - cosi come ci appare - un grande deposito di materiali sempre citabili e variamente utilizzabili, cioè infinitamente manipolabili. Queste sparse ossevazioni sulla riscrittura, per la letteratura italiana, implicano una sorta di uniformità di ispirazione (per usare un'espressione di Lotman), ma riferita al versante testuale. In esse non vi è altro che la conferma, speculare.e in filigrana, che il modo piu persuasivo di «modellizzae della scrittura cosiddetta creativa, valgono perciò anche per i cnt1c1 m senso stretto non meno che per i poeti. Per illustrare la S1oria del De Sanctis, per esempio, è doveroso affermare che il grande storico si proponeva, sulla base di una precisa ideologia, di plasmare una rinnovata coscienza intellettuale per una certa classe dirigente, ecc... Ma per quanti autori tutto ciò non si può dire? La trattazione di quasi ogni altra figura letteraria deve iniziare nello stesso identico modo. Il potere della parola, nella cultura italiana, si rovescia costantemente nella parola di un potere mitizzato ma tenacemente Sens, Cauedrale (l 122-ll80). perseguito. Lontana da esso (e dal progetto civile che la parola annuncia), la scrittura sembra svilirsi e diventare muta. lf astratta «opera modello» è dunque in perenne e difficile equilibrio tra entità referenziali ed entità linguistiche, tra protagonismo pedagogico-civile e culto della forma, il cui archetipo o Architesto è forse la eterna protrazione di un modello per definizione inimitabile come quello petrarchesco. I due poli entro i quali si potrebbe tipizzare la suddetta «opera» sarebbero cosi da un lato l'auctoritas letteraria, la quale legittima solo certi esercizi (o il loro contrario in chiave subalterna e parodica), e dall'altro l'Autorità politica, nel cui ambito l'intellettuale-scrittore è attratto a giocare un ruolo di volta in volta variante tra «omaggio» e «supplenza». Uno dei tanti punti d'incontro tra le censure dell'auctori1as e i dettami del1'Autorità è anche necessariamente il livello tematico dell'«opera», ciò che essa suggerisce ed addita ad esempio. E se l'intellettuale-scrittore tende a situarsi nel «cuore» del «contratto sociale», soggetto dell'opera inevitabilmente sarà una figura sociale, variamente difesa, contrastata o mitizzata. Nella cultura italiana, la storia delle forme letterarie è infatti all'incirca anche la storia delle precise figure sociali che in esse si incarnano: il filosofo nel '400, e via via, con il mutare degli scenari storici, il principe, il poeta (tutto il petrarchismo è autoapologia del poeta come figura sociale), il cardinale, il Giovin signore ecc..., siano a Renzo, il buon suddito seicento-ottocentesco. E non sarà superfluo ricordare che lo statuto sociale di Renzo (tra buon villano e buon padroncino) _ fu per il Manzoni questione non mar- •ginale nell'opera di revisione del romanzo. Il poeta-scrittore-intellettuale italiano, pervicacemente intento a correggere i propri scritti ed a nutrire la Forma, oltreché- beninteso- di valori estetici, anche di finalità politiche e civili, rivela spesso un'adesione non soltanto ideologica, ma oserei dire estetica verso quel mondo elitario che solo può consentirgli di esercitare appieno la sua funzione di educatore e di guida. Se volessimo grossolanamente tipizzarlo, lo scrittore italiano ci apparirebbe in una continua ricerca di una legittimazione politica e sociale sempre inseguita ma anche sempre insidiata. Nella riscrittura dei propri testi, dai quali teme artisticamente di staccarsi, l'«autore modello» continua a ridefinire, oltre alla propria opera, la propria posizione e funzione, ed inevitabilmente anche il proprio pubblico. L'ideale percorso deil'«opera modello» che ho ipotizzato si può esprimere come passaggio dalla materialità verso l'astrazione, da residui d'empiria verso l'allegorizzazione, dall'invenzione verso l'artificio. La perfezione e politezza della redazione seriore (come dicono i filologi) ridefinisce anche il destinatario come sempre piu docile e omologato, a misura della maggiore omogeneità testuale che sia stata raggiunta. Queste osservazioni vogliono solo accompagnare la semplice constatazione della senilità della memoria letteraria di cui siamo portatori, una senilità stratificata nei secoli secondo una successione lineare «vecchio-vecchio», e che quasi ogni generazione ha contribuito ad irrobustire. È anche evidente che quanto sopra s'è detto dello scrittore-tipo (il quale ha interiorizzato ogni censura) e del fortissimo sigillo formale (ma all'interno di un progetto politico) da cui è segnata gran parte della nostra letteratura- i nodi in definitiva della questione, come è stata posta, della riscrittura -, vadano individuati nella nostra cultura rinascimentale, e precisamente nella ideologia della storiografia umanistica. La stessa possibilità della riscrittura nasce in una concezione progressiva dell'operare, là dove l'autocoscienza umana può essere riprodotta, cosl come vengono riproposte le storie degli autori antichi. Se infatti la storia non è ab ae1erno ma è processo multiforme e dinamico, può essere continuata e riscritta, e può registrare le accelerazioni del mondo ma non fermarle. I termini del problema a questo punto potrebbero essere invertiti. Se il modello di cui parliamo (anche a proposito della,riscrittura) è ancora quello rinascimentale, è lecito affermare che ~sso «continua a funzionare» nei secoli successivi, o non si tratta piuttosto di un-appiattimento su quel modello della successiva letteratura? Lasciamo, almeno per ora, inevaso il quesito, il quale rinvierebbe alla mancanza di una destrutturazione dei nostri codici capitali (il lirico e il cavalleresco) ed inevitabilmente immetterebbe nelle «ambiguità» della tradizione e nel terreno minato della «crucialità» del tempo. Per finire, una proposta. Oltre alle edizioni critiche o interlineari (di difficile, per non dire impossibile lettura), si ristampino anche le prime edizioni, si compilino antologie dei passi poi cassati dagli autori, si pubblichino le stesure piu significative delle opere, in forma separata o secondo gli opportuni artifizi tecnici. Si legga delle femmine omicide nella prima redazione del Furioso, o il capitolo sul bacio nella prima edizione degli Asolani del Bembo. Solo riscoprendo la violenza verbale del (non ancora purgato) Giorno pariniano, o gli infanticidi della Monaca di Monza del Fermo e Lucia, o le prime prove pascoliane o il non emendato Ungaretti (per attenermi sempre agli stessi autori), si ricostruiranno le mille diacronie interrotte (con l'alibi spesso della cosiddetta «questione della lingua»), e si riporteranno alla luce i tanti cadaveri letterari che l'autocensura dell'invenzione ha disseminato nella nostra ~toria.

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