Relazione al convegno «Tra bombe, babà e bonbon. Viaggio-convegno dentro forme, storie, contenuti espressivi del cabaret». Rimini 18-20 giugno '81. N ella prefazione del Così parlò Zarathustra Zarathustra tiene alla gente adunata nella piazza del mercato, in attesa dell'esibizione di un funambolo, il suo discorso sull'OItreuomo. La massa non vi presta, in verità, molta attenzione: si limita a guardare Zarathustra e a ridere: «nel loro riso è il ghiaccio» - dice Nietzsche. Intanto il funambolo si presenta a sommo di un'alta fune, tesa tra due torri, sopra la folla. Inizia il suo spettacolo, ma a metà del cammino, ecco che un pagliaccio gli balza con agile piede alle spalle, Io incalza irridendolo con atroce sarcasmo e infine, con un urlo terrificante, lo sopravanza, spiccando un salto al di sopra di lui. II funambolo perde cosi l'equilibrio e precipita giù nella piazza. Zarathustra parla al moribondo in atteggiamento amichevole e confortante. «Tu hai fatto del pericolo il tuo mestiere-gli dice-e in questo non vedo nulla di spregevole. Ora del tuo mestiere muori e per questo voglio darti sepoltura con le mie mani>. cl 1900 Emst von Wolzogen aveva fondato, un tipo di «teatro variopinto> che più comunemente viene chiamato cabaret, ma il termine con cui veniva chiamato divenuto famoso a Berlino, in quegli anni, era quello di Ùberbrettl. Mentre la parola Brelll sta a indicare la tavola del palcoscenico su cui si esibisce il cantastorie, il Biinkelsiinger, il prefisso Ober è quello stesso che compone la parola nietscheana Obermensch ( = Oltreuomo ). Varrà la pena ricordare che Otto Julius Bierbaum aveva in mente proprio questa parola e intendeva richiamarsi ad essa nella coniazione del termine Oberbrelll quasi esistesse una sia pur vaga implicazione semantica tra le due espressioni. Chi va su questa scena, quella del cabaret, per intenderci, va oltre di essa, si trova, potremmo dire, su una fune, come il funambolo dello Zarathustra. Una fune tesa tra il bruto e l'Oltreuomo. Chi percorre questa scena, fa del pericolo il suo mestiere. Deve imparare a saltare oltre se stesso, se non vuole sfracellarsi tra la folla, poichè c'è sempre un buffone alle spalle, un nemico spietato, che da un istante all'altro può superarti d'un balzo e troncare cosi, di colpo, la tua temeraria traversata. Ma il luogo del cabaret, la fune tesa sopra l'abisso, non è quello dove si prefigura la possibilità necessaria alJ'Oltreuomo, bensì soltanto la condizione angosciante e dolorosa del funambolo che per poter oltrepassare se stesso, deve ridere: deve, cioè, morire a se stesso nella sua stupida serietà da funambolo e ridere di sé come buffone. L'attore-autore del cabaret è appunto, alle origini, un doppio: un funambolo e un buffone insieme, uno eh.eprecipita e uno che va oltre. «Quel che noi celebriamo - scrive Hugo Bali in una sua opera famosa, Die Flucht aus der Zeil, riferendosi al CabaretVoltaire da lui ideato nel 1916 - è, al tempo stesso, una buffonata e una messa funebre. Buffonata e messa funebre sono il rituale, dunque, del cabaret, di una celebrazione che affonda, ad onta delle apparenze futili e innocue, nei visceri del nostro tempo, o meglio, in quella disperazione del nostro tempo che è già intera, interamente presente agli inizi del secolo e tiene a battesimo le Il cabaret avanguardie. Si tratta di una cquieta disperazione» non stemperata, ma piuttosto accesa di una luce malvagia nei suoi sarcasmi, nei suoi paradossi, nel suo apparente disincanto. La ricchezza di quella disperazione è for.;eoggidel tutto dilapidata: eppure si trattava di una disperazione ancora paradossalmente capace di trovare le vie della comunicazione tra gli uomini proprio laddove questa sembra negarsi nell'ironia del gesto dissolversi nella logica del sogno, come avviene nel linguaggio del cabaret che si frantuma e poi si lascia catturare in una fitta rete di calembours, dicouplets triviali,di sfasature sintattiche di sottili crudeltà dell'immaginazione e del non-senso. Con una singolare intelligenza d'intuito, sui cui forse anche i suoi saccenti detrattori di oggi dovrebbero darsi la Ferruccio Masini zione di stupidità e gusto di vivere, per agganciarsi a quel melanconico assurdo di cui si compedia il Kurzgefasste Lebenslauf di Erich Kastner: «Sono venuto al mondo e ciononostante continuo a vivere». L'uomo del cabaret è dunque l'uomo estromesso dal paradiso della sicurezza rappresentato dalla Spiesserwelt, da quel mondo filisteo piccolo-borghese della quiete e dell'ordine, dell'obbedienza servile e del possesso materiale, in cui ingrassano funzionari e poliziotti, profittatori e ben pensanti, ccuore di cera e sedere d'acciaio» (K. Tucholsky). Costui ha lasciato alle sue spalle le «porte auree dei valori», non sa forse neppure più la direzione del suo cammino. Se pensiamo all'avanguardia storica come al tentativo compiuto in modi non sempre ideologicamente univoci, Lucas von Valckenborch, Paesaggio primaverile (1587). pena di riflettere, il giovane Brecht di un superamento dell'inadeguatezza, sottolineava nel suo cmaestro», Karl di quella maledizione cioè, che intacca Valentia, la crisata interiore>, unari- non solo il senso del nostro esistere sala cche non ba nulla di particolar- sociale, ma la ragion d'essere di ogni mente bonario: giaccbè si tratta dell'i- possibile ricerca del fondamento e nerzia della materia, dei più sottili go- quindi anche di una parola fondante, il dimentiche mai si possano suscitare,.. cabaret, questo minuscolo palcosceniE aggiunge: e Viene messa in chiaro co, piantato come un mauvais sujet nell'inadeguatezza di tulle le cose, com- la sincronia degli adattamenti e dei presi noi stessi». Non potrebbe essere compromessi biopositivi di una morale questa definizione del cabaret come di· classe, quasi a troncare sul filo di luogo dell'inadeguatezza? una tranquilla, ma irriducibilità «diL'inadeguatezza tragica, ma intrisa versità» il ritmo forsennato degli audi comicità, del funambolo zarathu- tomatismi produttivi, ebbene questo striano che vacilla sulla corda, insegui- cabaret anticipa la conclusione di una to dalla irridente baldanza del buffone parabola. L'arco delle avanguardie è soprannaturalmente agile: l'inadegua- già tutto percorso, come per un fulmitezza dell'uomo di fronte all'abisso da nante corto circuito, dal gesto nervoso, varcare: forse solo un acrobata demo- scattante e cattivo del cabaret. «Il noniaco può riuscirvi. Ma è anche l'inadeguatezza di chi gioca la carta di una comunicazione impossibile, di un coinvolgimento teatrale i cui margini di credibilità sono premeditatamente valutati, di un'operazione, dunque, che fonda l'effetto dellapointe satirica sullo straniamento e oscilla sul sottile discriminetrapurodivertimentoe l'atteggiamento freddo, distaccato, non patetico, di chi, come diceva Kastner, attraversa ci giardini dei sentimenti che sono moni e li pianta a battute di spirito». 11 cabaret letterario degli «anni venti» è attraversato da una brutale sfa- ~atura, quella appunto dell'inadeguatezza, il cui significato più profondo va al di là della sofisticata associastro cabaret è un gesto - diceva Hugo Bali - Ogni parola che qui viene pronunciata e cantata, afferma, se non altro una cosa, e cioè che quest'epoca degradante non è riuscita a estorcere il nostro rispetto». Certamente un'analisi sociologica del cabaret come medium letterario avrebbebuongiocoa rilevarnei limiti oggettivi stemperandone le componenti da quella di una parodia scenica di una improvvisazione di artisti di varietà a quella dello show aggressivo, da una sorta di dépendance teatrale a sfondo politico-agitatorio, all'altra, più sofisticata, di performance intellettuale, ancorata al suo humus di conventicola o di bohème. Eppure sullo sfondo di quella breve stagione che dai Ga/genlieder di Morgenstern e i couplets di Wedekind, da «Schall und Rauch» di Max Reinhardts al «cabaret Voltaire» e alla «Pfeffermiile» zurighese, vanta nomi come quelli di Reingelnatz e di Brecht, di Tucholsky e di Walter Mehring, è riconoscibile, sia pure nella sua riduzione alla cifra ludico-grottesca, la stessa logica della decostruzione antiumanistica propria dell'avanguardia. Per questo il freddo microcosmo del cabaret poetico-letterario e dello stesso «cabaret politico» assume quella medesima speuralità che possiamo cogliere negli itinerari contraddittori dell'avanguardia, incapace di oltrepassare, appunto, quell'inadeguatezza tra essere e apparire, tra rivoluzione del linguaggio e emancipazione reali dell'uomo, a cui è possibile ricondurre il nodo più intricato e significativo di una vocazione solo potenzialmente rivoluzionaria. Questa spettralità non è soltanto uno spectrum di possibilità di comunicazione intese a rompere la prigione di un linguaggio destinato a presidiare l'intangibilità delle istituzioni sulla base della serietà univoca, spietata con cui la razionalizzazione capitalista impone i suoi codici di comportamento e le sue forme di legittimazione. Seri oggi sono solo gli assassini - dirà Brecbe non a caso quella del cabaret è una serietà inimmaginabile. «Soltanto il riso - scrive Hans Ricber- ha garantito la serietà con cui noi abbiamo esercitato la nostra anti-arte sulla via della scoperta di noi stessi». «La faccia funerea» di Valentia risulta così molto di più di una maschera: è l'avvertimento della presenza clownesca e metafisica insieme di quell'uomo dell'avanguardia che ha perduto la fede e la presunzione del possesso, che gettato nella feccia della metropoli, stretto dai relitti della civilizzazione, condannato alla logica inesorabile dei «tempi morti» in un mondodominatodal diktat del sovraprofitto, preferisce, per usare una felice espressione di Tucholsky - «pensare a ritroso». Scivola sulle tavole della sua ribalta discreta e sconvolgente, s'arrampica sulla corda tesa tra il bruto e il superuomo, piuttosto che assidersi sul trono della ragione ragionante e giudicante, un trono costruito sulla «grandiose feste di sterminio e sulle azione eroiche da cannibali» - co_mele chiama Bali - che hanno proI sperato nella civile Europa del ventesimo secolo. L a marginalità del cabaret letterario è significativa, e forse proprio in questo momento, in cui le forme indirette di comunicazione o di comunicazione sospesa o cifrata acquistano un senso in rapporto ai fenomeni di emarginazione sociale,anche il discorso sul cabaret acquista un suo preciso rilievo. Tuttavia le caratteristiche tipologiche del cabaret, dalla prostituta, al vagabondo, all'outlaw, segnate da un progressivo accentuarsi dell'intenzione politica e quindi all'esaurirsi della cosidetta «biografia lirica» non possono essere viste nell'ottica di una periodizzazione tutta impostata sulla progressiva eliminazione dell'inadeguatezza politica delle forme letterarie o subletterarie cabarettistiche. Occorre invece, a mio parere, tener fermo proprio il momento dell'inadeguatezza in rapporto al quale anche la distanza tra le tipicizzazione asociali di un Ringelnatz, da una parte, e di un Brecht o di un Walter Mehring, dall'altra, non risulta né decisiva né imponente come potrebbe sembrare. A questa fondamentale inadeguatezza si riconducono quelle varianti dell'asociale che agisce nel cabaret sotto molte maschere, da quella del parassita criminale alla Baal a quella dell'agitatore politico, ma che sempre sta dalla parte di chi si guarda bene dal voler neutralizzare nella forma, per usare un 'espressione brechtiana - le disarmonie e le dissonanze della vita sociale. Indubbiamente, con Piscator, l'oltrepassamento dei limiti individualistici-nichilisti del cabaret si realizza nell'appello ad un'organizzazione politica della lotta rivoluzionaria, ma non per questo il nodo ombelicale che lega il cabaret all'avanguardia viene troncato. Si tratta di accertare se proprio i limiti nichilisti del cabaret non nascondano invece oscuri punti di forza capaci di intaccare l'asse di quel «mondo rovesciato», in cui è compreso anche il dominio di una ragione su cui pesano troppi diktat e mistificazioni del potere, troppi alibi del progresso. Diceva Hans Arp - e credo che il filo rosso dadaista nel cabaret degli «anni venti» non debba essere in alcun modo, sottovalutato- che «Dada è per il Senza-Senso dell'arte, la qual cosa non significa insensato. Dada è senza senso come la natura». Le parole di Arp ricordano stranamente quel che Flaubert diceva dei capolavori dell'arte che sono betes inerti e stupidi come la natura. Torniamo ancora una volta alla connessione intravista da Brecht in Valentia tra «placidità, stupidità e gusto di vivere>, alla «quasi frivola» inadeguatezza. Ma il cabaret è questo: guai a irrigidirlo o modificarlo nella formula di una conciliazione e nella certezza di una liberazione raggiunta. Su queste tavole sconnesse dove Valentia racconta la favola vera della nostra inadeguatezza il buffone può soverchiare il funambolo, ma quest'ultimopotrà sottrarsialla paura solo se riuscirà ad incarnarlo in sé, nel suo ~ gesto, a guardare, cioè, con la necessaria ironia, anche la propria complicata 1( insufficienza, e vedersi con il distacco E di quel superiore umorismo che filtra ~ ~ dalla scipitezza del quotidiano e dalla 00 oscura magia dell'insignificante, come "' nel piccolo sogno di Tucholsky: «Viaggiavo in sogno per Kottbus e li ~ dimenticai la mia borsa. Ora devo tor- ~ nare a sognare, e riprendermela». <'l
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