Cfr. Umberto Eco, Angelo Fabbri, Renato Giovannoli «Come i quotidiani hanno trattato il caso P2» L'Espresso, n. 26, 5 luglio 1981 Lo studio di Fabbri e Giovannoli, pubblicato con una presentazione di Umberto Eco, si colloca nel rarefatto panorama di quella strana disciplina che si può chiamare «critica dell'informazione quotidiana» e si segnala in esso per almeno due motivi. In primo luogo, per il carattere stesso dell'iniziativa. Di solito la «criticadell'informazione» viene considerata una pratica esoterica cui abbandonarsi, con appositi ri- •tuali (para) scientifici, in sedi al riparo dal pubblico consumatore dell'informazione medesima (riviste specializzatissime, convegni, corridoi, etc.). Ovvero al pubblico è concesso qualche chiacchericcio, dove - nella miglior ipotesi - l'esperto eroga peregrine impressioni, solidamente fondate sull'assenza di dati e di riferimenti apratiche specifiche. Insomma una critica dell'informazione non esiste e sembra anzi che se ne possa fare a meno, anche perché la stampa stessa diffonde la convinzione che il reciproco e corporativo controllo interno sia tutto quello che occorre. Ma, si sa, cane non morde cane, e l'informazione si richiude nel cerchio magico del suo Discorso, poderosamente protetto dalla sua propria a!luvionale abbondanza. Del rc,sto, come sanno i profeti delusi della controinformazione, prodotta la critica, rimane il problema di farla pervenire al pubblico: ovvero di trovare nell'apparato delle comunicazioni il canale (o il rigagnolo) disponibile a veicolare l'immagine critica di se stesso. Proprio per questo l'iniziativa dell'Espresso, pur nella sua episodicità, è un buon segno; ma bisogna spingere la stampa a superare le proprie timidezze e la lunatica frammentarietà con cui si degna di fornire ai propri lettori quell'agognato «giornale dei giornali» che, nel lontano 1876, Il Messaggero promise nel suo primo numero e non mantenne. Il secondo motivo sta nell'impostazione stessa dello studio. Intanto c'è lo· sforzo di dichiarare un metodo e di fornire ai lettori dati precisi in base ad esso: accanto a una «mappa» utilissima per riassumere le ramificazioni della «trama» piduista, si troverà un grafico con un profilo quantitativo di cinque ~uotidiani, che - opportunamente - nisura la capacità di fornire le connes- ~ioni tra le «storie» che compongono la «trama». Unica via per rendere comprensibili avvenimenti spesso confusi e sfornati alla rinfusa dai retrobottega del «romanzo italiano». Index (C::~~•~__;_~~~= {nri iMA. ir-i 1mg: {>Dtnlt\l ·, ~l:\at·t. , Jn.nma • ~ m9\\Cyaa A~~ Uo.ii~i\$.\b.dl ~Q~ /~ ~ lt\uC:t:~cl Il ~,,~~ /;. ·---~__,/- ..1n >:·A .~ Antonio Porta Se fosse tutto un tradimento Milano, Guanda, 1981 pp. 73, lire 6500 Ecco un esempio di due diverse decodifiche pervenuteci sullo stesso libro. I testi narrativi dei veri poeti sono sempre ambivalenti: parlano di sé e insieme illumin.anopoetica e poesia dell'autore. Cosi è di questi originali racconti di Porta, dove può anche accadere una simbiosi dei due aspetti: per esempio, l'intero delizioso racconto Albero con la pianta che vola verso i monti e il tirocinante contemplatore a lei appeso è fabulosa allegoria della dichiarazione di vita e di poetica che chiude l'ultimo racconto (La scomparsa del corpo): qui la parola si configura come solo corpo che non muore, «corpo del ricordo e del futuro ... Pieno, incorruttibile, proprio come una parola esatta, come la parola albero ...» Attraverso la scrittura, cioè l'universo delle parole, Porta attende di saziare la sua avidità di comprensione del reale, dei sogni, delle immaginazioni: «Tutto quello che mi è accaduto può essere vero o falso o tutte e due le cose contemporaneamente e una cosa sola mi sembra certa: che devo scriverlo per saperne di piu» (in La bomba). Cosi la poesia salva dalla morte, fa esplodere il mondo e la vitalità della màteria diviene vitalità del linguaggio: «Il linguaggio è una rete sottile che mi tiene insieme». L'operazione dello scrivere è il percorso di una prova, il tentativo di creare una risposta alle cose del mondo nominandole. Insomma qualcosa che non può non ricordare il potere della nominatio rerum nell'ermeneutica mistica della Bibbia: forse che Dio non ha creato le cose nominandole? Il poeta con la stessa operazione le penetra: si legga il sottile e mirabile racconto Il bastone di Aliprando, dove il protagonista, partito dall'osservazione di una fotografia, finisce con lo specchiarsi nello specchio del mondo e col vedere daccapo l'immagine di un albero, simbolochiave, addirittura senhal poetico: «Dietro la finestra è apparso un albero e l'albero è grande quanto il mondo ... io sono l'albero». Proprio perché gli otto racconti vanno al di là di se stessi costruendo un discorso unitario (quello che in semiotica si direbbe un macrotesto ), spetta al lettore non perdere la segreta ragio- .nedel legame fra le singole presenze, il modello ipotetico di lettura del mondo che con accesa carica autobiografica il poeta gli ha descritto. Porta è un uomo e un artista che vuole riacquistare un rapporto autentico, quello che lui chiama di «verità», con le cose; è per questo che egli ci lasc_iasempre l'impressione di una invulnerabile innocenza, anche se scrive della necessità di sentirsi colpevoli; ci lascia il piacere irresistibile della purezza poetica. Maria Corti C'è una frase di Porta, nell'epilogo del primo racconto, Il viaggio, che racchiude a mio avviso il significato e la novità di questa raccolta: «Se il raccontare ha un senso lo ricava dall'interrogare ciò che affiora man mano che si procede o si vuole procedere narrando». Si tratta infatti di otto racconti in cui il «procedere» passa attraverso una continua convergenza, sovrapposizione coincidenzatra il piano realistico e quello onirico e allucinatorio. Ma la distanza da esperienze apparentemente analoghe -dall'onirismo romantico a quello tardo decadente, dalle contaminazioni ironiche dei surrealisti alla metafisica sperimentale o ai viaggi interiori della droga - direi che è appunto contrassegnata da quell'interrogare, che sembra muovere da una razionalità lucida, ma è in realità percorso da una impazienza febbrile, da un'ansia visionaria. Il rapporto con il sogno finisce cosi per capovolgersi: non è più il suo contenuto sotterraneo a essere decifrato dall'interrogazione, ma è quest'ultima che, accanto al sogno, diventa indecifrabile. li sogno porta la realtà dall'ombra alla luce, mentre la ragione, quando finge di interrogarsi, lo fa per arrendersi: «Solo una domanda: quanti altri amori hai rifiutato per paura? La prima risposta è: nessuno e sono sicuro che è falsa». Con questa terza opera narrativa, Porta approfondisce quel trl!ttamento del tempo che già dominava il gioco, tutto giocato prima di incominciare, di Partita, del 1967, e l'apocalisse vissuta dal Re del magazzino, del 1978: l'eternità del presente che abbaglia con la sua evidenza, e nel quale passato e • futuro si dissolvono, ma per riacquistare un senso. Ed è proprio quest'ultimo che ne consente la durata: non solo in senso interiore, ma narrativo . Giuseppe Pontiggia Gertrude Stein . Sono soldi i soldi? Saggi americani, a cura di Barbara Lanati Milano, Edizioni delle donne, 1981 pp. 195, lire 8500 Il volumetto è una raccolta di brevi articoli e interviste, due generi di comunicazione in cui può brillare in tutto il suo splendore la particolare forma di intelligenza della Stein, acuta, epigrammatica, sempre padrona di se stessa e della cosa; in piu ne è curatrice una specialista. Si va da articoli sul1'America ad altri mirabili sulla scrittura, sulle ragioni della predilezione per i romanzi polizieschi, sul problema di cosa sono in effetti i soldi. Nell'articolo Come è scriua la scriuura la Stein con sottile ironia verso i propri simili osserva come la gente, affaticata a viver dentro la contemporaneità, non desideri affatto ritrovarsela tra i piedi nell'arte: per questo i grandi artisti, che indagano il «senso interiore» del proprio tempo, non sono capiti dai contemporanei, ma lo saranno allorché apparterranno alla generazione dei nonni. Segue una pregnante analisi del processo che porta dopo tanti mutamenti formali alla «staticità» della parola artistica, che è la sua esattezza. Deliziose, illuminanti e persino didattiche le riflessioni sui soldi e la loro differenza sostanziale a seconda che sono usatida chi se liguadagna è.o! lavoro o sono stanziati dai programmatori politici: «Insomma, perfavore, tutti, tutti tutti, perfavore, sono soldi i soldi, e se lo sono, dovrebbe essere lo stesso se è unpadredi famiglia guadagnarli e spenderli o un governo, se non è così presto o tardi c'è il disastro». Non pare il ritratto di noi oggi con il nostro bravo seguito di finanzieri d'assalto, di inflazioni e di logge P2? Il grande scrittore emette messaggi che non sono mai solo formali; proprio la Stein, rivoluzionaria nelle forme, lo conferma. m.c: Vivian Lamarque Teresino Milano, Società di poesia, 1981 pp. 88, lire 6000 Teresino, di Vivian Lamarque, ha avuto quest'anno il Viareggio per la poesia opera prima. Ma Lamarque è già conosciuta come favolista, e ha pubblicato poesie su riviste prestigiose, ha avuto successo di pubbliche lettere. Dallo studio delle favole ha appreso che le favole sono esorcismi, discorsi sul filo dell'abisso, servono per far finta di distrarsi dalla paura del lupo. Farsi piccolo per sfuggire è un vecchio artificio delle creature animali; e talvolta, bisogna dirlo, riesce. Proprio come «riescono» queste poesie, tutte tessute sulla scelta di un vocabolario povero, di ritmi facili, di aggettivi consueti, di diminutivi, di iterazioni; dove si intende perché il solenne avverbio «reciprocamente», a qualificazione di «innamorati» possa far girar la testa («Di due persone»), o le parole possano assumere la forma di rebus, «facile» o «difficile» che sia, o di indovinello («Destra o sinistra>). • Con questa materia verbale Vivian Lamarque costruisce un universo sempre pericolante, nel quale tuttavia la parola rappresenta ancora un margine di salvezza, al di là del quale si spalanca l'orrore della regressione totale («Infanzia/età del non parlare»). Con una facile parafrasi si potrebbe quasi dire che la scrittura è l'ultima salvezza prima del grado zero; e queste poesie sanno ricordarcelo, con una loro intrepidezza. Mario Spinella August Strindberg Solo Bergamo, Moizzi editore, 1981 pp. 126, lire 3200 Strindberg scrisse questo romanzo nel 1903, quando aveva 44 anni e il suo terzo matrimonio era già-in crisi. Nelle intenzioni doveva essere un contributo a quella che egli chiamava la sua «autobiografia», e il curatore, Franco Perrelli, nella sua nota «Solo, l'occhio di Narciso», ci fornisce tutti i numerosi riferimenti culturali atti a decifrare taluni tra i riferimenti dell'autore, da Balzac sul piano della scrittura, a Schopenhauer e all'occultismo su quello ideale (o forse meglio, in questo caso, ideologico). Ma giustamente osserva che, liberata la personalità di Strindberg dalle incrostazioni di una critica che volle fare anche di lui (e di chi no?) un caso patologico, oggi possiamo leggere Solo come una ricerca del soggetto moderno e della sua sensibilità. Del soggetto, si potrebbe precisare, nella città moderna. Ed è in fatti la città, il paesaggio urbano, le sue strade, i suoi interni che qui giocano il ruolo di luogo della solitudine, e di sua custode. Troppo scarsamente narcisista per realizzar.;iinteramente come jlaneur e come voyeur, Strindberg tuttaviasiavvicinada pressoa questafigura, «scoperta» da Baudelaire e teorizzata da Benjamin. In quest'ottica Solo è un capitolo di un lungo rincorrersi (citarsi) di testi della modernità, e, a ottant'anni di distanza, ha acquisito, semmai - lontana ogni ipotesi di lettura psicologistica e naturalistica - un ulteriore smalto. m.s. Bertolucci Sereni Zanzotto Porta Conte Cucchi Sulla poesia Conversazioni nelle scuole Con due interventi di Cesare Segre e Lucia Lumbelli Parma, Pratiche Editrice, 1981 pp. 232, lire 6500 • Il sapere fare versi, il fare poesia anche come fatto tecnico artigianale, le avventure dell'immaginario, il rapporto tra il linguaggio poetico e la vita, la possibilità o l'impossibilità della poesia di vivere o sopravvivere in un «mercato delle parole» largamente dominato dai mass media, perché fai il poeta?, quando hai cominciato a scrivere poesie... Queste e cento altre questioni sono state poste dai ragazzi nelle scuole di Parma (Scuola media inferiore di Colorno; ITSOS di Fornovo; Scuola media inferie «G. Pascoli>, Parma; I.T.I.S., Parma; Scuola media inferiore cG. Ferrari>, Parma; Liceo Scientifico cG. Ulivi>, Parma; Liceo scientifico cG. Marconi», Parma; Istituto tecnico per geometri «C. Rondani>, Parma.) a cinque poeti e scelti senza alcuna pretesa 'antologica', ma sulla base di un criterio elastico di 'rappresentatività'» come avverte l'editore del libro, pubblicato in collaborazione con l'Assessorato alla Pubblica Istruzione e Cultura dell'Amministrazione Provinciale di Parma. Invitare cinque poeti a leggere nelle scuole medie inferiori e nei licei e negli istituti tecnici ha permesso di mettere in rilievo la straordinaria prontezza e capacità di adattamento di molti ragazzi e nello stesso tempo la carenza di idee e di iniziative (e naturalmente di programmi) per quel che riguarda l'insegnamento della lingua (e delle lingue) nella scuola italiana. Sembra quasi che sapere una lingua sia un cdi piu> e che il leggere versi sia un obbligo fastidiosissimo, non per i ragazzi, naturalmente, ma per le Supreme Autorità Scolastiche Ministeriali (al contrario Presidi e insegnanti di Parma si sono prodigati nel cogliere il meglio dall'occasione propizia). Ora il libro edito da Pratiche comincia a colmare una notevole lacuna in questo campo e gli insegnanti di buona volontà (su chi altro si può contare?) potranno utilizzarlo come un manuale di introduzione alla poesia contemporanea e alle problematiche generali della poesia (e si sa quanto il linguaggio poetico moderno sia legato alla lingua di tutti i giorni in un rapporto di dare-avere continuo). Sorpattutto, si spera, si comincerà a guardare alla poesia come a un territorio fecondo per una pos_sibiledignitosa formazione umana e civile, punto d'incontro di molti"tra i piu importanti momenti di formazione linguistica e culturale dentro il tempo della nostra storia. Antonio Porta A
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