IlsignoCr arlo,t,arx,suppongo <:: .:; .,, <.!::. -· Lettera del centro sociale S. Marta di Milano in Alfabeta n. 12, aprile 1980 Jaime Semprun Précis de récupération - illustré de nombreux exemples tirés de l'histoire récente Paris, Editions Champ libre, 1975 Donella H. Meadows, Dennis H. Meadows, Jorgen Randers, William W. Behrens Ili I limiti dello sviluppo Milano, Mondadori, 1972 pp. 160. lire 2.000 Area (International POPular Group) «ZYG (Crescita zero)» in Caution Radiation Area Milano, Cramps records, 1974 N on mi ha sorpreso che la lettera del centro sociale S. Marta di Milano sia stata accolta dal generale silenzio dei destinatari-sarà bene ricordarli: Sandro Pertini (Presidente della Repubblica); Carlo Tognoli (sindaco di Milano); E. Scalfari e G. Bocca (Repubblica); F. Di Bella e W. Tobagi (Corriere della Sera); E. Deaglio (Lotta Continua); G. Rognoni e G. Galli (Panorama); P. Mieli e M. Scialoia (L'Espresso); U. Eco e N. Balestrini (Alfabeta). La lettera è stata pubblicata solo da Alfabeta. Cosl, quelli del S. Marta si sono presi le loro ragioni a man bassa quando hanno scritto: «Sono dieci anni che giornali, televisione, radio, sociologhi e politici, non fanno altro che parlare di noi, del nostro movimento. Siamo stati usati, sfruttati, strumentalizzati, una volta da un partito, una volta da un altro; ci hanno preso iri giro, ci hanno fatto promesse mai mantenute». Quando si tratta di parlare addosso ai giovani e a loro nome c'è la folla, quando si tratta di dare loro la parola, perché sono loro a scrivere, si fa il vuoto. Non solo: ma nessuno si è preso la briga o il rischio di rispondere a una lettera imbarazzante per la franchezza degli argomenti, per la semplicità con cui erano esposti e, insieme, per la complessità dei problemi messi in gioco: l'esito del decennio seguito al '68, la condizione delle nuove generazioni alla svolta degli anni Ottanta. Una volta tanto mi trovo d'accordo con i personaggi citati; hanno fatto meglio a tacere. Per rispondere alla lettera del S. Marta bisogna criticarla, criticare quanto viene ancora accettato della «cultura» che si vorrebbe rifiutare, che una intera generazione rifiuta. • L'accostamento fra la lettera e i Limiti de/lo·sviluppo non ha niente di stravagante. Sono due documenti che racchiudono, da capi opposti, un decennio. Sono i poli della dialettica entro cui si è mossa la società del capitale dopo che l'ondata rivoluzionaria della fine dei Sessanta l'aveva scossa fin dalle fondamenta. Sono documenti di due «circoli» a~ capi opposti del pianeta. Uno che riuniva (e riunisce) alcuni fra i nomi più illustri della cultura borghese cosiddetta «illuminata» su scala mondiale, l'altro che mette insieme alcuni dei grandi sconosciuti della nostra .I \ \ 111 H ..... '11 , ' \ .. ::: .__ ______________ _, epoca, un gruppo di giovani proletari in un quartiere alla periferia dello Impero. Il legame che collega questi antipodi è il filo d'Arianna che serve a dipanare la trama tessuta dalla Cultura dominante. JI Club di Roma fu fondato in una riunione presso l'Accademia dei Lincei, nel 1968. Gli illustri esponenti convenuti da tutto il mondo posero di fronte a sé nientedimeno che i dilemmi de/l'umanità. Su invito del Club di Roma e con il finanziamento della Fondazione Volkswagen, il System Dynamics Group del Massachussets lnstitute ofTechnology (MIT) mobilitò i suoi elaboratori elettronici e i modelli matematici più avanzati per simulare, in un «modello globale» del mondo, il futuro della società umana nel secolo seguente. Nel 1972 il rapporto del MIT era pronto e divenne ben presto celebre internazionalmente con il titolo / limiti dello sviluppo. Il verdetto è noto: lo sviluppo economico è condannato. Scrisse Adriano Buzzati Traverso: «/ limiti dello sviluppo verrà probabilmente citato negli anni a venire come il punto di partenza di un profondo riesame dei valori che hanno retto le società occidentali in questi ultimi due secoli». L'anno seguente, il 1973, vedeva esplodere, con una coincidenza fin troppo stretta, la cosiddetta «crisi energetica». Le fosche previsioni del MIT si incarnavano in modo sconcertante. I valori dello sviluppo e del consumo venivano rapidamente sostituiti dai valori della crisi e dell'austerity, le masse incitate alla penitenza e al sacrificio, l'apologia del Progresso sostituita dalla celebrazione dell'ecologia, della Natura e delle antiche civiltà «zodiacali». Nasceva, insomma, la Cultura della Miseria. e ome ha reagito l'intellighentzia occidentale? Bisognerà dirlo netto: si è adeguata freneticamente e freneticamente ha prodotto le merci adeguate agli imperativi della nuova epoca. Anziché inchiodare la società del capitale ai suoi limiti, pubblicamente ammessi, e proclamare la necessità vitale del suo superamento, si è volta a dimostrare il contrario. Qualche anno di duro lavoro ed ecco il nuovo, stupefacente risultato; la crisi in atto era quella del marxismo! L'idea di una rivoluzione sociale era morta, la crisi non era quella del Capitale ma quella della Civiltà Moderna. Woytjla era già alle porte. La cultura italiana «di sinistra»farebbebene a non scagliare la prima pietra. Ha discusso seriamente di Glucksmann e di «nuovi filosofi», assiste quietamente _alleesequie del marxismo solo perché sono crollati pateticamente i miti che i marxisti coerenti hanno sempre combattuto e che nessun proletario intelligente ha mai preso sul serio. Occorrerebbe scrivere questo catalogo demenziale: il «modello cinese» e l'arte di arrangiarsi, la guerriglia guevarista e i viaggi in India, il movimento studentesco e la macrobiotica, il Santo Spinello e la «lotta armata», la predicazione operaista e la Scoperta della Sessualità, Capanna e Valcarenghi, il militantismo e lo Sballo. Non c'è uno solo di questi brandelli di menzogna che la nostra cultura non abbia accettato, discusso, preso sul serio, riprodotto in libri e rotocalchi. Inutile dire: io ero contro X a favore di Y, di pere si occupava Tizio, io mi occupavo di mele, sostenevo Deleuze ma combattevo Glucksmann. Il prodotto globale si compone della somma dei frammenti, gli effetti della macchina c..ulturale importano più delle responsabilità individuali. Si trattava di combattere il meccanismo, di criticare il programma culturale di restaurazione e di sottosviluppo successivo alla scoperta dei Limiti dello Sviluppo. Chi lo ha fatto? Mentre «a destra» si schieravano con sempre maggiore successo Solgenitsin e i nuovi filosofi, Testori e Miiton Friedman, Woytjla e la Febbre del Sabato Sera, a «sinistra» si procedeva per miscelazioni sempre meno caute, ma sempre furbesche: accogliere su un punto la critica rivoluzionaria del movimento operaio tradizionale per dimostrare la nefandezza del Socialismo, recuperare da una parte per sfondare sulla destra da un'altro lato. La cultura della nuova miseria è essenzialmente una cultura di recupero. L'Italia manca ancora di un libretto prezioso come quello di Jaime Semprun. Il suo «manuale del recupero,. si esercita innanzitutto sulla produzione francese e accoglie con gli insulti del caso, in ordine alfabetico, Attali e Castoriadis, Deleuze e Foucault, Franklin e Glucksmann, Guattari e Lyotard, e cosl via. Ma dal momento che la cultura italiana degli scorsi anni ha vissuto pesantemente sulle importazioni francesi il manuale finisce per colpire anche i recuperatori di casa nostra. Il punto di vista di Semprun è quello di chi ha ben presente la pratica e la teoria del Maggio, è consapevole della contromanovra messa in atto dalla cui1 l .r \ \ I ( of:'.'--11 1 U~t 11I \ lt1 dn, •h ,I J 1 ""I• I tura capitalistica (il libro è scritto nel 1975) e ne indica impietosamente il percorso, i complici, i trucchi. Non intendo recensire il libro di Semprun, preferisco che venga letto. Ne dò come assaggio quanto basta per liquidare molti deliri sulla «crisi del marxismo». La teoria rivoluzionaria, dice Jaime Semprun, «non è una novità intellettuale, non è al di là del marxismo, alla maniera degli innumerevoli 'superamenti' lanciati periodicamente sul mercato da tutti i nani del pensiero, ma innanzitutto l'intelligenza delle condizioni pratiche necessarie per cominciare a uJilizzarlo. Fino ad ora il marxismo è servito quasi a tutti, tranne che ai proletari stessi (d'altra parte è proprio questo lavoro di renderlo così inutilizzabile che viene comunemente chiamato marxismo). La teoria che configura la sua formulazione e la sua comunicazione come un unico compito storico, quello di offrire alla vita reale proletarizzata il suo linguaggio critico autonomo, ci riporta contemporaneamente le idee rivoluzionarie che erano state conservate separatamente come ideologia, prima d'essere recuperate nella frantumazione culturale dominante». Semprun si riferisce soprattutto alla teoria dell'Internationale Situazionista - il cui saccheggio da parte di tutti i «filosofi» alla moda costituisce effettivamente uno dei segreti più gelosamente custoditi delle cucine culturalima l'area del recupero è certamente più vasta e si esercita precisamente verso le idee e gli uomini che la Cultura si è sforzata costantemente di respingere ai margini. Chi si scandalizza della critica al vetriolo di Semprun ' dovrà dirci come si intende spiegare e criticare - una cosa non essendo possibile senza l'altra - il comportamento culturale-,:irevalente degli anni Settanta. l'operazione compiuta a sostegno del capitale nell'epoca in cui esso scopre i limiti del proprio sviluppo storico. R ecupero e frantumazione sono parti dello stesso meccanismo produttivo; per recuperare alla Cultura dominante i risultati della critica radicale occorre necessariamente frantumarla. occultarne le fonti. la coerenza originaria. La frantumazione culturale degli ultimi dieci anni si spiega in questo quadro. Ogni nuovo prodotto è stato «superato» con disinvoltura sconcertante. decomponendo un cadavere per fabbricarne un altro. coprendo la menzogna della settimana prima con quella della settimana dopo. La cultura attuale ha escogitato l'ingegnoso espediente di evitare ogni resa dei conti, ogni autocritica facendo autocritica ogni quarto d'ora, così che ogni critica diventasse materialmente impossibile per la rapidità stessa del processo. Questa spudorata produttività approda così alla propria assoluzione con indulgenza plenaria. Nella confusione generale che ne risulta si proclama infine la Crisi della Ragione: si spenga la luce, tutte le vacche diventino nere, tutte le bestialità ammesse, tutti i deliri linguistici ammirati come sublimità filosofiche. In questo «perisca Sansone con tutti i Filistej» la Cultura giunge al disprezzo più totale di sé, incurante anche del rifiuto sempre più consapevole e globale che le oppongono le nuove generazioni. Il successo del momento, il controllo dell'ultima situazione, la vendibilità, la dissoluzione tli ogni alternativa pratica sono la sua ultima spiaggia, il vuoto e la disperazione il suo prodotto autentico. È questo prodotto che essa legge compiaciutanellaletteradel S.Marta, in questo i ragazzi del S. Marta restano i suoi figli obbedienti e debbono essere criticati. «Ci sono troppi giovani che muoiono per niente, troppi giovani che muoiono oggi». Scrivono: «Chi con una siringa, chi con una pistola in mano. Non è una scelta di vita, ma una condizione imposta dalla disperazione di non vedere nulla davanti a sé. Il meglio della gioventù italiana se ne sta andando». La frase vale da sola come condanna dissolvente di tutti i sociologismi e di tutte le dottrine dell'emarginazione. Le «condizioni materiali» non sono la causa di tutto ciò, perché è proprio ad esse che ci si ribella. La disperazione è quella di non «vedere nulla davanti a sé»: è la ribellione che è tolta. Pistola e siringa sono il prodotto della Cultura degli anni Settanta, la loro necessaria conseguenza. Per combatterle, occorreva distruggerne le premesse, criticare l'ambiente culturale dove diventavano necessarie, opporsi alla cultura del suicidio, del sottosviluppo, della miseria. Insomma: comprendere la Miseria della Cultura per combattere la Cultura della Miseria. I ragazzi del S. Marta e quelli come loro pagano di persona per non averlo fatto, perché nessuno poteva farlo al posto loro. Ma bisogna prendersela anche con quelli che hanno continuato a coltivare un alone di sacralità attorno ai prodotti di questa miseria, a quelli che, accogliendo nelle sfere dell'Alta Cultura i bramini del recupero e del nuovo irrazionalismo, hanno giustificato e protetto le bassezze perpetrate nelle sfere inferiori. Nel conto bisogna mettere, fra l'altro, la Menzogna del Terrorismo che ha dato le armi del Terrorismo della Menzogna. Nella nostra cultura, chi non ha giovato alla prima ha servito il secondo, ed entrambi il potere. Solo la stupidità dell'Autonomia Operaia (che non a caso si scrive con le maiuscole, rivelando la diversità essenziale con l'autonomia del proletariato che vorrebbe rappresentare) può distinguere fra Giorgio Bocca e Leo Valiani, mentre essi non fanno che avallare l'opposizione immaginaria fra Terrorismo e Potere nei confronti del proprio pubblico. D i fronte a tutto questo, l'insufficienza critica e, spesso, la complicità con i miti della cultura mi sembrano non estranee ad A/fabeta. Ciò è grave per una rivista che intende opporsi ai miasmi del riflusso e della restaurazione. La disorganicità e la libertà che mi consentono di scrivere questo articolo sono però le stesse che consentono la mancanza di rigore, l'adesione alla velocità di frantumazione dell'orizzonte culturale. Diamo spazio alla lettera dei ragazzi del S. Marta insieme ai prodotti che ne consacrano l'impotenza. La quantità stessa dei prodotti messi in circolazione assicura agli specialisti la sicurezza di non essere contraddetti, nessuno è in grado di analizzare chimicamente tutta la produzione: se contenesse diossina nessuno se ne accorgerebbe. Ma ce ne accorgiamo dagli effetti tossici, ed è ora di cominciare ad occuparsene. Si dirà: era meglio lasciare alle nuove generazioni la consolazione delle Illusione Cadute, l'inevitabile progresso del proletariato. le magnifiche sorti della rivoluzione socialista? La volgarità dell'obiezione è tipica. Si tenta di accreditare le attuali operazioni di cultura come un necessario repulisti dei miti crollati. Ma non si ripulisce proprio niente. Si liquidano le verità che debbono essere ancora realizzate, che sono all'ordine del gior- 'fl\A ,,J.'lt(1R \I
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