Michail Bachtin L'opera di Rabelais e la cultura popolare Torino, Einaudi, 1979 pp. 524, lire 18.000 Dostoevskij. Poetica e stilistica Torino, Einaudi, 1968 pp. 355, lire 1800 Vladimir Lenin Materialismo e empirioaiticismo (1908). Voi. 14 delle Opere complete Roma, Editori Riuniti, 1963 pp. 385,lire 2500 Q uaodo, all'inizio degli anni '30, a Kustanaj, una cittadina situata al limite tra la Siberia e il Kazachstan, dove era stato confinato in seguito alla pubblicazione del suo libro su Dostoevskij (Problemy tvortestva Dostoeskogo), Bachtin cominciò il suo lavoro su Rabelais (Tvortestvo Fransua Rable i narodnaja kult'tura srednekov'ja i Renessansa) nell'Unione Sovietica si chiudeva una stagione culturale caratterizzata da una notevole esplosione di fermento artistico e di creatività in quasi tutti i campi. In un'atmosfera stimolata dalla rivoluzione e non ancora inibita da una qualsiasi dottrina «ufficiale» scrittori e poeti come Pastemak, Babel', Ole~a. Kataev, Fedin, Esenin, la Achmatova, Solochov, Zamjatin, Leonov, Pil'njak, Bulgakov, Mandel'~tam e Majakovskij produssero gran parte delle loro opere principali: Eisenstein, Vertov, Pudovkin e Dovzenko aprirono la strada al cinema moderno; le produzioni sperimentali di Mejerchold e Tairov rivoluzionarono il teatro e Tatlin, Rodrenko, Malevil:, Ginzburg, i fratelli Vesnin e i fratelli Sternberg, Mel'nikov, Leonidov e molti altri crearono la moderna pittura, architettura e design. Materialismo e dialettica Tra il_l918 e il 1929 particolare rilievo ebbe la prosecuzione, in forme nuove, di una discussione che aveva avuto come promotori e protagonisti Plehanov e Lenin, concernente il nesso da istituirsi tra materialismo e dialettica. Lenin, com'è noto, già nella sua opera Materia/izm i empiriokritizm, scritta nel febbraio-ottobre 1908 a Ginevra e a Londra, aveva indicato nell'idea di «riflesso», per un verso, e nella categoria di «approfondimento», per l'altro, gli strumenti di cui servirsi per avviare a soluzione il problema della relazione tra i concetti che l'uomo elabora nello sforzo di «impadronirsi teoreticamente> della realtà e questa medesima realtà. Questa indicazione era stata messa in discussione fin dal 1909 da una allieva e collaboratrice di Plehanov, L. A. Aksel'rot, nota anche con lo pseudonimo di Ortodoks, la quale, recensendo il libro di Lenin, aveva criticato duramente la teoria del riflesso, giudicando l'asserzione secondo la quale le nostre sensazioni sono un'immagine approssimativamente vera delle cose, una sorta di platonismo rovesciato. «Ritenere le sensazioni immagini o copie degli oggetti significa istituire nuovamente un abisso dualistico insormontabile tra il soggetto e l'oggetto». La corretta soluzione materialistica del problema, secondo l'autrice in questione, era stata invece fornita da Plebanov con la sua teoria dei simboli: «Tale teoria»,.ella scriveva, «afferma l'esistenza sia del soggetto, sia dell'oggetto e unisce entrambi i fattori, considerando il soggetto come oggetto di un enere particolare e le sue sensazioni . ,. erazione di due oggetti, uno e1 qu tempo anche soggetto» {cfr.· Sovremennyi mir. li mondo contemporaneo, 1909, n. 2, p. 208). Plehanov, in effetti, in tutta la sua produzione filosofica aveva messo in forte rilievo l'importanza di una prospettiva rigorosamente monistica che, a suo parere, era l'unica in grado di contrastare efficacemente le pretese dell'idealismo nelle sue più diverse manifestazioni e si era spinto, nella sua rivendicazione di tale esigenza, sino al punto di considerare il materialismo dialettico una variante dello spinozismo. Questa impostazione rigidamente monistica lo aveva spinto a ritenere che gli uomini non dispongano, per conoscere il mondo, di nient'altro all'infuori delle azioni esercitate dal mondo esterno sui loro organi di senso. Le sensazioni vengono così elevate a strumento fondamentale di conoscenza (cfr. oggi l'ed. di Mosca delle ..... Ilrealism1._grottesco «Opere filosofiche scelte», 1957, voi. li, p. 445 e seguenti). Lenin riconosce alla teoria dei simboli il merito di aver contribuito a mettere il luce il vizio fondamentale del fenomenismo, vale a dire l'idea «che la nostra coscienza sia bell'e fatta e invariabile» e che i dati di essa (sensazioni, percezioni, rappresentazioni ecc.) costituiscano l'oggetto del conoscere. La teoria dei simboli capovolge giusta- • . lt/t/111,. 'Ì I .1 11r. però che a Plehanov sia mancata la comprensjone del fatto che l'elaborazione dei dati osservativi non comporta necessariamente una frattura insanabile nei confronti del materiale di partenza, al punto da dover postulare la radicale eterogeneità del prodotto dell'elaborazione (il simb.olo) e del fattore iniziale (il dato osservativo). Una impostazione del genere scredita la ragione, anziché esaltarla, in :;. L11igi Hi,·I. 1.-,. K:1m1n~rtr. del fenomenismo, dell'immediatezza del percepire, la seconda è necessaria per ribadire che il fatto di andare al di là dei dati percettivi non ci allontana dalla realtà, ma anzi ci approssima maggiormente ad essa. Alla base della teoria dei simboli Lenin scorge quindi lo stesso presupposto che costituisce il fondamento del fenomenismo. Sia l'uno che l'altro indirizzo sono incapaci di comprendere che una conoscenza 'l'a ,·. I, XI.· 4. :\lfo:. Incisione dall'atlante del volume Uomo delinquente di Cesare Lombroso (1885). mente l'interpretazione dei dati dicoscienza, spostandoli dal rango di oggetti conosciuti a quello di strumenti rivolti ad afferrare qualcosa di diverso da essi (e in questa «diversità» consiste appunto, secondo i sostenitori della concezione in questione, il loro carattere «simbolico»). In questo modo si colpisce la pretesa di considerare le sensazioni e le rappresentazioni nella loro singolarità come «elementi» a se stanti, e si sottolinea la necessità di inserire i «dati della coscienza> all'interno della dinamica globale del conoscere. Lenin ritiene quanto finisce col negare dogmaticamente ogni valore agli sforzi che la scienza ha compiuto e continua a compiere al fine di condurre a una comprensione più soddisfacente dei dati. Proprio la necessità di ribadire questo fatto, che cioè elaborare non significa necessariamente stravolgere, porta Lenin a ribadire, contro Plehanov, l'esigenza di una stretta connessione tra la rivendicazione della dinamicità del conoscere e l'idea della conoscenza come «riflesso» della realtà. Se la prima rivendicazione vale a contrastare efficacemente l'esaltazione, da parte mediata, frutto di un'elaborazione teorica, è pur sempre conoscenza: diverse sono soltanto le conseguenze che ne derivano, nel senso che il fenomenismo ne trae lo spunto per assolutizzare i dati percettivi al fine di rimanere entro l'ambito dell'immediato, mentre la teoria dei simboli è portata a considerarli come il risultato di un'attività originaria formativa, e non semplicemente riproduttiva, e di conseguenza pone unilateralmente l'accento sulla discontinuità e sulla rottura tra i contenuti immediati della coscienza e le astrazioni teoriche. La risposta corretta al problema, a giudizio di Lenin, non può invece che essere basata su due presupposti: l'estensione della teoria del riflesso dalle sensazioni alla coscienza, presa nella sua globalità, e la rivendicazione del carattere attivo del riflesso. Il primo punto porta a escludere qualsiasi privilegiamento delle sensazioni, in quanto la capacità di riflettere la realtà è delegata ai processi conoscitivi nel loro sviluppo complessivo. Il secondo aspetto è direttamente collegato al primo, nel senso che una volta riconosciuto che il rispecchiamento non può essere attribuito alle sole percezioni, ne segue che esso «non è un rispecchiamento semplice, immediato, totale, bensì è il processo di una serie di astrazioni, di formulazioni, della formulazione di concetti, leggi ecc., i quali concetti, leggi ecc. abbracciano anche condizionatamente, approssimativamente, le leggi universali della natura eternamente in movimento, in sviluppo». Da questo punto di vista al centro dell'attenzione veniva ad essere posto il problema del significato delle mediazioni, cioè degli elementi attraverso i quali la coscienza umana si sviluppa elaborando il materiale di partenza: oggetto privilegiato del discorso gnoseologico diventava così la valutazione complessiva della dimensione teorica e dell'astrazione. Le discussioni tra Plehanov e la sua scuola, da una parte, e Lenin dall'altra, e le altre che seguirono dopo la scomparsa dei due protagonisti principali del dibattito erano valse soprattutto ad evidenziare come tra dialettica e materialismo vi fosse eterogeneità e tensione, più che omogeneità e immediata similarità, per cui la fondazione e la legittimazione di un'indirizzo filosofico che si riconoscesse, contemporaneamente, nella-gnoseologia materialistica e nel metodo dialettico andavano considerate compito tutt'altro che agevole. La materialità sembra infatti essere correlata a una fisicità e naturalità primarie e irriducibili, che evocano il senso della fissità e ripetizione della cosa materiale, della sua autoidentità indipendente dall 'osse~vatore; mentre la dialettica implica l'idea di un procedere attraverso determinazioni opposte che, proprio in quanto tale, si configura come distruzione di ogni forma di cosalismo e di naturalismo. Questa distanza teorica pareva proporre un dilemma ineluttabile: o un pr_ivilegiamentodel materialismo, con le sue esigenze di tipo monistico, al prezzo di una evidente attenuazione dell'incidenza della dialettica (come aveva fatto Plehanov) o una rivalutazione di quest'ultima che sacrificasse la purezza dell'originaria assunzione materialistica come sembrava aver fatto Lenin con l'avvicinamento a Hegel attuato nelle Filosojkie tetradi (Quaderni filosofici). Un realismo non statico Il Rabelais di Bachtin vuole essere anche ( e non soltanto. ovviamente, data la ricchezza di temi presenti in quest'opera) un tentativo di risposta a questo problema filosofico cosi ossessivamente presente nel dibattito culturale sovietico. A giudizio dell'autore la tensione teorica tra materialismo e dialettica è la conseguenza dello sna, turaniento del realismo e della sua degenerazione in empirismo naturalista, che si verifica in seguito all'affermarsi della percezione borghese del mondo con le sue caratterizzazioni improntate a una rigida staticità. La comprensione spontanea dell'esistenza, chiaramente riscontrabile all'interno della tradizione medievale e rinascimentale (e in particolare nella cultura popolare carnevalesca) è materialistica e dialettica, in quanto espressione di un realismo per nulla statico, ma che si sforza, al contrario, 1~ ; e nelle sue immagini il piutezza e l'indeterminatezza ·e stenza; è per questo che nelle sue immagini esprime entrambi i poli del ..., divenire, contemporaneamente, ciò ss che va e ciò che viene, ciò che muore e .5 ciò che nasce; mostra due corpi all'in- ~ terno di uno solo, la riproduzione e la :; divisione cellulare della vita». ~ L'immagine grottesca, di cui il reali- --. smo medievale e rinascimentale (ma g anche un'intera serie di fenomeni basi- ~ lari degli stadi successivi del realismo) ·;;;, si nutre, cerca di cogliere il fenomeno ~ nel suo cambiamento, nella sua meta- " morfosi ancora incompiuta, nello stato l:! di crescita e di divenire: il rapporto con ~ il tempo, con il movimento e il muta- <!:!, mento, è, di conseguenza, un suo tratto si
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==