Alfabeta - anno II - n. 14 - giugno 1980

1anuova UNIVERSALE Universaleletteratura Marco Polo IL MILIONE Prefazione di Giorgio Manganelli, a cura di Antonio. Lanz~ Il racconto di un viaggio in terre lontane che a secoli d1 distanza avl(ince ancora come pochi. • Universale letteratura •, L. 5.000 Federigo Tozzi CON GLI OCCHI CHIUSI RICORDI DI UN IMPIEGATO Prefazione di Ottavio Cecchi, coij un saggio di Giacomo Debenedetti Sullo sfondo crepuscolare del-la campagna toscana, la crisi di un'epoca che investe due generazioni. • Universale letteratura •, L. 5.000 Anonimo VITA DI LAZARILLO DE TORMES Introduzione di Rosa Rossi Nello splendore della Spagna cinquecentesca, le comiche avventu~e di un ragazzo a caccia del pane quotidiano. Un capolavoro della letteratura picaresca. • Universale letteratura •, L. 2.700 EditoriRiuniti Lettere Jaro Novàk: Riflessioni su i libri di Pansa e Bocca L'uscita contemporanea dei libri di Gianpaolo Pansa e Giorgio Bocca ha portato lamaggior parte dei recensori a stabilire tra i due un nesso di polarità opposte. Di difesa o, come si dice «garantista»ilprimo, di accusa, ilsecondo. Concordo con quanti ne hanno messo invece in rilievo l'impostazione differente, la materia, il metodo. Ma, a ben guardare, un inconsapevole denominatore comune questi due libri lo hanno. E si può riassumere in questa proposizione interrogativa, che è la sostanza reale di questi due scrilli e che sarà oggello di queste note: Il terrorismo ha un suo preciso momento di genesi storica, si è alimentato su teorie, testi, ha preso consistenza e forma in qualche espressione politica, in qualche gruppo operante in Italia intorno agli anni '70? La domanda non è priva di importanza ma, a secondo del tipo di risposta che si da e del metodo che si usa, si può ouenere una ricostruzione storica e un tentativo di analisi del fenomeno oppure un piallo allineamento e/o una operazione di sostegno ad una tesi tu/la giudiziaria che, con lastoria in generale e con la storia e le cause del terrorismo, ha poco a che fare. E non è una differenza marginale. Problema di metodo quindi. li libro di Giorgio Bocca, pur nell'evidente stile giornalistico, per cui storie e testimonianze di personaggi e di costume diventano storia politica, sacrificando lo spessore necessario, in ogni ricostruzione analitica, fra comportamenti soggeuivi e contesto socio-economico - pur con questi limiti, tracciaun affresco delle origini dellepolitiche presenti nella sinistra degli anni '70 cercando di affondare le radici nei sommovimenti sociali che il '68 ha determinato. Distinguendo, articolando, fornendo coordinate di le/tura, discutibili sì per i pu111di i vista espressi, ma su cui è possibile in qualche modo aprire un dibattito su una ricostruzione storica, in realtà ancora da fare, e che forse non è il momelllo più opportuno per fare; viziato com'è il presente dalla divaricazione fra chi dei protagonisti di quegli anni sta fuori e cerca di «adeguarsi ai tempi» riverniciando di rosa il più grandioso ciclo di lolla della metropoli del tardo capitalismo, e chi sta dentro e deve misurare le parole delle ricostruzioni storiche perché sotto l'occhio vigile dell'inquisizione. Dunque commentare il libro di Bocca in modo non superficiale nel fuoco della polemica fra innocentisti e colpevolisti èproblema da ripercorrere,capitolo per capitolo, dieci anni di storia. È problema aperto che non possiamo certo affrontare o esaurire in queste note. L'altro libro no, non apre, chiude. Il metodo non è sollevare problemi ma indurre certezze ripreseda un canovaccio già.scritto da altri: che si chiamano Calogero, Ventura, Fioroni etc. G(ornalismo di regime e basta. Opera di propaganda. Si badi bene: nessuno nega a Pansa il diritto di esprimere ciò chepensa sul terrorismo. Ma que~tesue «storie» non forniscono il quadro di una storia italiana del terrorismo. Ne danno un'immagine parziale, distorta, astorica. Parafrasando chi ritienespesso indefinibile oppure nullo il confine tra le idee, le ipotesi teoriche e i fatti, magari accaduti in epoche temporalmente diverse, anche oggi le parole possono diventare istigazione e trasformarsi invece che in piombo alle gambe in anni di galera. Tanto più forte poi diventa ilpeso che sulle varie inchiestesul ..---------------------------------, Terrorismo esercita ormai la stampa, 177 - 178 Maggio-agosto 1980 nuova serie autaut A PARTIRE DA LACAN diventata il vero luogo deputato in cui avvengono le istruitorie, si formulano e si anticipano accuse, si pubblicano documenti, alti istrullori, si operano deformazioni, si esprimono giudizi o precondanne. Non credo di forzare la realtàcon queste affermazioni; tutto ciò è sollo gli occhi di ognuno. Gianpaolo Pansa, in un diballito sulla Repubblica con Giorgio Bocca, si premura di ricordareai le/lori che «non è vero che solo Potere Operaio o solo il gruppo Negri è souo inchiesta. In questo momento sono in corso molte inchieste sul terrorismo e quindi non vedo una persecuzione particolare nei confronti di un gruppo». Questa affermazione è-.quasi vera. Ma viene poi smentita dal suo libro il quale percorre per le prime 68 pagi,;e una storia di Potere Operaio ripresa in parte da alcuni spezzoni di articoli pubblicati sul- /' omonimo giornale e, nella sua .<truuura più .corposa, da quello che, a giusto titolo, viene volgarmente definito il memoriale Fioroni. Non c'è un dubbio, un interrogativo, un forse. La storia di quegli anni diventa tu/la il Winchester di Morucci, le «bocce» del dicembre del '71, quel «povero idiota» di Feltrinelli; qualche scazzo tra Negri e Curcio, due botti del Faro. Insomma la storia personale di Fioroni e la miseria della sua interpretazione degli avvenimenti assurgea storia collelliva di quegli anni. Intorno è •ilenzio, non accade nulla. Tuuo ciò che è occulto o pseudo tale o che è miseria diventa la realtà;ciò che è realtà diventa occulto. Con un colpo di spugna, con una rimozione senza pari scompare tutto quanto ha carauerizzato quegli anni. E non solo la storia di Potere Operaio ma anche sopra/lutto il fauo che essaera interna, parte attiva di un movimento di massa che si poneva il problema di sbocchi politici di potere dalle fabbriche, dai quartieri, dalle scuole. Lolle di fabbrica, consigli, comitati operai, grandi manifestazioni di massa, occupazioni delle case, lolle contro la nocività del lavoro, nelle università, nelle strullure sanitarie, nel mezzogiorno. Questi sciocchi episodi non hanno rilevanza sociale; ciò che conta sono le peregrinazioni di Fioroni tra un pullmino e un viaggio in Svizzera. Mi chiedo cosa possa pensare e capire di quel periodo un ragazzo di venti anni che legge questo testo per cercare di scoprire cosa c'è dietro (le cose reali, non i comploui) lestorie italiane di violenza e terrorismo. Accanto a questa ricostruzione «storica» alcune storie di vi11ime;agghiaccianti, legate da una logica distruuiva senza senso ma ovviamente prodo110 del «mito dell'insurrezione». Un altro senso che manca è proprio quello del legame temporale e direi fisiologico, tra il «mito de/l'insurrezione» coltivato in un periodo storico di grandi sommovimenti sociali, di richiesta di trasformazione e di cambiamento, di bisogni emergenti che non rientravano ne/l'ordine delle richieste «acceuabili» equegli episodi fruuo di una violenza barbara e senza scopo. Con lo stesso atteggiamento manicheo si potrebbe affermare che quegli episodi sono esclusivamellle il risultato della incapacitàdel movimento operaio istituzionale di gestire e valorizzare qua/I/o veniva espresso da quelle lotte dentro un grande progetto di tipo riformista. Una risposta violenta e cieca appunto alle speranze deluse che, nel tempo, si erano caricatedi «impazienza». Ma sarebbe una mistificazione. Così come lo è il libro di Pansa che risponde esclusivamente (si potrebbe dire «oggettivamente») alla logica di dare un sostegno, auraverso l'accostamento mfccanico, atemporale, alogico tra la storia di P.O. e quella di alcune vittime del terrorismo, alla tesiper cui è necessario un punto fermo da cui partire, un pulr di cervelli, un gruppo in grado di costituire allora e nel tempo, e passando ovviamente auraverso uno scioglimento «fi1tizio», una «associazione politico militare mirante a soV'- vertire violentemente gli ordinamenti economici e politici costituiti nello Stato. a provocare la guerra civile e l'insurrezione armata contro i poteri dello Stato. mediante l'attività di una serie di bande armate diretta emanazione di tale associazione ed operanti sotto varie sigle ( ...) e dialetticamente coordinate al livello formale dei predetti organismi, così da costituire nel loro complesso un'unica organizzazione perseguente, in accordo tattico ed operativo con le Brigate Rosse ed altri gruppi armati operanti con finalità eversive nel territorio nazionale, la citata strategia insurrezionale». Questa la tesi sottesa: una tesi che ha la dignità di un brogliaccio giudiziario di questo tipo e che mostra già i segni di una usura veloce dovuta a quanto sta accadendo in questo ultimo periodo e per cui si incominciano ad intravvedere i primi accenni di un ripensamento critico se a proposito di una indagine socioeconomica sulle ultime inchieste relative al terrorismo torinese si può leggere che «le caratteristiche di questo 'campione sociale' sono tali da sconvolgere parecchie delle analisi, delle certezze che finora si erano accumulate sul terrorismo e sulle B.R. in partioolare». Come dire, forza Pansa, ancora uno sforzo. Rimozione, occultamento, cultura dell'ipocrisia e della doppiezza. «Quesii erano i terroristi che cominciammo ad incontrare all'inizio degli anni '70. Ma fra le molte sinistre non si volle ammettere che erano facce note e alcune. un tempo. anche facce amiche. Circolò una tacita parola d'ordine: rifiutare il 'problema terrorismo' come problema della sinistra e negare che un certo numero di compagni s1 fossero messi a sparare, a rubare, a sequestrare. Così gli opportunismi di partito, la paura di essere coinvolti in un discorso amaro, è un'invincibile tendenza ad autoingannarsi, strinsero alleanza e generarono un doppio errore. Il primo fu quello di non voler riconoscere l'identità politica delle bande clandesti- . ne e di classificarle come semplici gruppi criminali. Questo avvenne soprattutto con le bande marginali, prima fra tutte quella del 22 ottobre di Genova, che non fregiavano della leadership di laureati a Trento, bensi della guida più modesta di operai e sottoproletari». Un a/limo caro Pansa, dividiamoci equamente le responsabilità. A noi, la tua, la vostra cultura dell'ipocrisia ci è sempre stata estranea. Quando esplose il caso della 22 ottobre, non ci fu un solo compagno della sinistra «extraparlamentare» che si nascose dietro l'ipotesi di un gruppo di criminali senza motivazioni «politiche». Si può discutere casomai sul ritardo ne/l'apertura di un'analisi critica su quella esu altreesperienze ma non di aver negato o occultato l'identità politica di quelle «bande». Se non altro in P.O. questa individuazione di identità politica è sempre stato chiaro e abbiamo continuato imperterriti su quella strada biasimati ovviamente dal milieu della cultura di sinistraper quella spicciafranchezza adottata ad esempio alla morte di Feltrinelli; così come non ci sarebbe accaduto di indignarci per la morte di Guido Rossa e poi far parte della direzione delle B.R. Questo è casomai un atteggiamento che ha per padrino tutta la cultura comunista del doppio binario. Cultura dura a morire se, ancora oggi, un moderno Machiavelli così può scrivere: « Il movimento non accectala legictimitàdello Stato, lo Stato non acce/la la legalitàdel movimento. Questo si riconosce nel rifiuto e nella violenza, quello si riscopre repressivo e autoritario. Il partito comunista di oggi non può sopprimere il problema, deve giocarlo: contemporaneamente, sui due tavoli». Rimozione, occultamento. Prendiamo una delle vittime protagoniste del libro di Pansa, Carlo Castellano, dirigente dell'Ansaldo e militante comunista, vittima oltre che delle B.R. di quella che con voluta insistenza chiamo, di volta in volta, cultura della doppiezza o de/l'ipocrisia. «Ma costoro (si riferisce alle B.R.) sono sempre stati poco nelle fabbriche e le conoscono male. Non dico che non ci siano mai entrati: hanno certo avuto dei contatti, dei postini, forse degli esecutori. Però il loro progetto di violenza è sempre rimasto estraneo alla classe operaia e tanto estraneo che agli operai ha portato solo danni e danni gravi. Qualche tempo fa, un compagno operaio del1'Ansaldo mi diceva: 'Pensa, Castellano, se in questi anni non ci fosse stato il terrorismo. Certo. noi comunisti abbiamo problemi. difficoltà, contraddizioni. Però sarebbe stato possibile elaborare una cultura in grado di far confrontare operai e dirigenti sull'organizzazione del lavoro, sulla direzione delle scelte strategiche, sulla gestione delle risorse in fabbrica, sul rapporto tra fabbrica e società e tra fabbrica e stato. Se non ci fossero state le Brigate 1 Rosse ci saremmo potuti dedicare di più a queste cose. Invece' ... > Dentro questo quadretto bucolico c'è tutto e manca tutto. C'è (e mi si passi la battuta: c'è il sospetto che quel/'operaio sia delle B.R.) l'estraneilà delle B.R. alla fabbrica (e la loro potenza demoniaca), magari qualche contattino, qualche postino, forse degli esecutori. Quattro gatti che rompono questo dialogo fecondo che parte dalla elaborazione di una cultura in grado di confrontare operai e dirigenti per arrivare in un crescendo fantozziano al rapporto tra fabbrica e società, tra fabbrica e stato. In sottofondo si odono le note di Bandiera Rossa e di Fratellid'Italia che si armonizzano in una dolcissima melodia. L'assenteismo? Non ·esiste. Il doppio lavoro? Guai a parlarne. I cortei operai in fabbrica? Scampagnate o al massimo opera di quattro provoca- /Ori. La bassa produttività? Si alzava dopo aver elaborato una cultura. I die-

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==