Alfabeta - anno II - n. 14 - giugno 1980

Linguaggieocambiament(o Il ) 6) Francesc:o Muzioli: Lo scaa:o. la partita, le mosse M i pare opportuno il termine cscacco,.-adottatodaLeonetti a titolo del suo libro ultimo - nella situazione letteraria attuale, inteso come minaccia di chiusura che rende necessario muoversi; non fallimento definitivo, però, ché allora «scacco matto,. sarebbe, e la partita perduta. Mi pare opportuno perché, se c'è «scacco,., vuol dire che c'è un gioco, una conflittualità, un avversario. È proprit ciò che oggi si tende a rimuovere in parentesi, in una specie di interclassismo e corporativismo culturale che vede bardi e cantori di tutte le scuole e tendenze compatti e rappacificati, auspici antologie generazionali e pubbliche letture, nel segno della suprema vocazione alla Poesia. Certo, in passato lo abbiamo demonizzato, il luogo dell'avversario, dandogli veste assoluta di Sistema, Ordine, Repressione totale; e contro di esso gettavamo la formula magica della Rivoluzione, fantasmatico anatema inefficace. E tuttavia, ponendo obbiettivi «possibili,. come la mutazione o il cambiamento, è-importante rammentarsi che, nel linguaggio letterario, in apparenza cosi specialistico e separato, il porli, è, nondimeno, una questione politica. Parlare di politica nella letteratura (quanti ricordi di «impegno» sembra richiamare ...) significa, a mio avviso, preliminarmente definire la specificità del testo come intervento in una economia (politica) del linguaggio letterario. Esso infatti è un apparato istituzionale che funziona riproducendo i propri valori ideologici attraverso codici stereotipati, opposizioni convenzionali, ricette farcite di suggestioni e ammiccamenti, meccanismi ben oliati che precipitano verso l'auctoritas di un responso sulla vita, verso l'apparizione di un senso riconoscibile. In questo spazio limitato e probabilmente marginale il testo fa quello che può fare. in ogni modo (quando conferma i valori. quando li incrina un poco). Politicità e specificità sono la base teorica, corroborata dall'altro binomio (benjaminiano) tendenzaqualilà, su cui abbiamo lavorato in questi anni, con gli altri compagni del gruppo Quaderni di critica (Bettini. Bevilacqua, Carlino. Mastropasqua, Patrizi e Ponzi). Invece la Poesia, dopo essere stata irriverentemente deposta dai sessantotteschi nell'immondizia borghese, pare che adesso voglia prendersi la rivincita ribaltando diametralmente quella sommaria negazione (ma producendo un'analoga indistinzione). È un'idea di poesia che circola largamente (dai reporters ai teorici eleganti, con la «barba francese», per dirla alla Celati): non come modo di scrivere ma come modo di essere, linguaggio privilegiato. voce dissenziente che si oppone alla politica (divenuta, radicalmente, sentina di tutte le distorsioni e di tutte le angherie organizzate sul sacro individuo). on inesatta mi pare, per molte delle nuove ipotesi poetiche, la definizione di «neoromanticismo»: si vuole infatti che la parola «si innamori» del poeta, scendendo dall'Altrove col turbine della «seduzione» e del «dono», e lo possieda nell'atto immediato dell'enunciazione. Lo stesso rapporto ovviamente pretende dagli ascoltanti solleticati, anzi sollecitati all'adesione irriflessa. Nel furore, l'io di colui che parla s'intende dissolto, folgorato, o naviga nella deriva del nomadismo. Eppure tale concezione mistica, se scrutata con l'occhio obliquo della diffidenza, è sospetta di narcisismo truccato, dove l'io si rafforza della propria, apparente, giubilazione. Infatti, se è vero che il poeta fa da servus servorum intermedio tra il verbo numinoso e l'uditorio, non può nascondere in questa posizione un prestigio di «aura» sacerdotale. Non a caso è stato visto sempre più spesso sul palcoscenico ad abbandonare la scrittura per la declamazione, in volonteroso contatto con le masse, a costo del martirio, seppur incruento come nelle manciate di sabbia di Castel Porziano. Ora, quella che mi sta a cuore è la differenza tra, da una parte, l'esprimere un soggetto che trova il «plaisir du texte» nella spontaneità della emissione verbale priva di controllo - nei casi migliori con intensità inusuali e variegata metamorfosi; e, dall'altra parte, il lavoro metodico e paziente, fatto di sorveglianza razionale, studio, dosaggio, calcolo, crudele rigore, alla tortura dei significati preesistenti. È la posizione degli «inattuali» sperimentali. Essi hanno vissuto direttamente la temperie dell'avanguardia, e, conoscendone pregi e difetti, possono evitare spicce liquidazioni. Operano adesso a disinquinare particolari settori della Langue letteraria, proprio quelle forme subdole ed occulte che il gesto vistoso ed eclatante della globale negazione della comunicazione aveva, nella sua mancanza di discernimento, lasciato ancora ben in piedi. Dal raziocinare gnomico della «maledizione» (Leonetti), alla beffa ironico-erudita dei fogli «stracciati» (Sanguineti), agli esercizi della «scelta della voce» (Porta), alle mosse mimiVolontà di sapere. Con questa tattica dove il Re diventa pedone, il pedone diventa Re, e nessuno, insomma, sta mai dove dovrebbe stare, la regola non è annientata o ignorata per alzata di spalle; il suo orizzonte vincolante permane, ma spostato, trasformato. Il lìnguaggio subisce un cambiamento. E il differirsi dello «scacco» è, naturalmente, la trappola in cui l'avversario è attirato ad impattare. 7) Antonio Prete: O sogno di una mutazione L inguaggio e cambiamento: variante attuale del binomio militante e merceologico di letteratura e politica? Oppure, nella «fine delle illusioni», sguardo sugli interni dello scacco? Superflua la replica della querelle (è tempo di ovattati ritorni e di stanche rivisitazioni). Ma forse utile la prop,<>- sta di un «esame di coscienza di un letterato». Quest'esame, oggi, a dispetto di volteggi giornalistici e di rimozioni politiche, non può che declinarsi a partire dal '68. Ripensando scritture e pratiche. Ritessendo qualh.&....._.. ...c,....- che dell'atelier pagliaccesco (Celati), si diramano proposte diverse, ma concordemente lontane da stregonerie evocatrici. Si tratta di tessiture ordite mediante tecniche artigianali visibili nel farsi e consapevoli della propria parzialità. Il romanzo di Calvino è esemplare nel collezionare, quasi antologia, gli stilemi sperimentali; è controcerrente rispetto alla moda della creatività, senza rigurgiti di evissuto» o di «privato»; gli stili vengol)o esplorati come residui archeologici; morti materiali eterogenei che non possono saldarsi in un senso, perché continuamente distratti e interrotti. Da ciò nasce quella persistente derisoria autocritica che è il bagaglio e la traccia del Viaggiatore. Su indicazioni del genere si può dedurre, in prospettiva, una mossa contro lo «scacco»: la risata della scrittura su se stessa (non esaurita nel ruolo prevedibile del buonumore vitalizzante ed igienico, ma riso strabiliare, secondo l'esortazione di Lautréamont: «que ce soit un rire mélancolique» ...). Non è forse possibile lo scacco solo perché il sistema del gioco si basa su un pezzo centrale o valore preminente (il Re) la cui conquista determina la partita? Allora, la risata che ride di se stessa apre alla instabilità e alla infinita variazione dei valori connessi alla significazione, valori che vengono posti, ma subito smentiti nel ribaltarsi reciproco delle coppie oppositive, del memorabile nell'inezia, dell'euforico nel deprimente, del rito nel gioco, del profondo nel superficiale, e viceversa. [I testo non si schiera più in un senso, elude la confessione reclamata dalla che domanda. anche se ribattuta. Gli stagionali fremiti del dibattito sulla funzione dell'intellettuale possono vestirsi, di volta in volta, di ideologia trionfante o di senso della crisi, di slanci di pubblica responsabilità o di ritagli privati. Su tutto, da sempre, maliziosamente sorride la ricomposizione di un ruolo saltellante tra società letteraria e corporazione, tra palleggi di riconoscimenti e stile mercantile (l'analisi dello stile mercantile che informa il fare della letteratura fu avviata qualche tempo fa da Giancarlo Majorino su un numero di Quaderni piacentini e non ebbe seguito né risposte). Evocare, nel rapporto tra letteratura e politica, distanze e approssimazioni. false unità (dalla parte della letteratura o dalla parte della politica), incursioni soggettive o rifugi estetici ora in un campo ora nell'altro, divaricazioni, abbandoni, indifferenze, vuol dire avvalorare quel senso storico che oggi comprende sistemazioni storiografiche e memorialismi da «come eravamo». A partire dal '68 110nimplica rievocazioni, ma discrimine. O meglio dice il costituirsi di uno sguardo sul potere che raccoglie le sparse domande in una sola: chi tiene la parola? Ma quella domanda rimbalza oggi dentro la crisi. La crisi del marxismo, della sua strumentazione analitica e delle sue varianti dottrinarie e strategiche, non modula soltanto la fine delle ideologie, il crollo di alcune certezze, il rimescolarsi di schieramenti, ma insorge dentro la crisi della politica: non solo come caduta della militanza o del progetto, ma come impossibilità di leggere il conflitto, di «praticare obiettivi», come si diceva astrusamente un tempo. di produrre speranze nella azione dei movimenti. Ma la politica non è in crisi nei luoghi dove parla il linguaggio della repressione o del terrore, del capillare controllo sociale o della morte. Dunque, è lo sguardo sulle forme del potere che non trova limpidezza e acutezza. Senza questo sguardo sulla parola del potere, le altre parole sono costrette a ripiegare nel- - l'autosufficienza dell'esercizio intellettuale o nell'amoroso giogo del narcisismo letterario. Ma è poi solo un ripiegamento quello che accade nella crisi della politica e davanti al dispiegarsi della forza fisica del potere? Parole rimosse o esorcizzate, meditazioni regalate allo «spiritualismo», domande sul piacere e sulla felicità, sulla distruzione della vita e della natura, sul soggetto e sulla sua divisione, prendono il campo lasciato libero dai rituali di fedi provvisorie. Il ritorno di queste domande, proprie alla meditazione della letteratura, proprie alle mondane scritture, se rompe una dimenticanza, instaura ., ( ~u..~&_....., :.,'-:.'"'- _.... :.-t...-_ ..._. però una moda, dunque un'industria. on per questo quella meditazione e queste domande sono da guardare col sospetto di chi vuole assegnare ai discorsi un posto a destra e uno a sinistra. La polarità è tra la forza di queste domande coltivate nella crisi e l'astrazione della politica che si alimenta di spettacolarità e fa della vita e della morte una variabile dipendente. elio scacco c'è un acquisto ed una scoperta: se è impossibile fare dei sogni una politica è perché la lingua del sogno è più corporale della lingua della politica. Nello scacco si apre il cammino verso il linguaggio. È la ripresa. o socializzazione, di un sogno delle avanguardie? Oppure dice l'attestarsi su una terra dove le incursioni e penetrazioni del potere sono più difficili, dove le interrogazioni sulle questioni che contano possono sottrarsi al sapore di ideologie e alla fascinazione di dialettiche storiche? Nella sospensione delle risposte, non serve molto fare la storia degli errori (dell'errare) né celebrare l'approdo alla letteratura dopo aver navigato le acque turbinose della «pratica politica», e neppure guardare ad una riva dalla soglia dell'altra. Interrogare i labirinti del linguaggio, i suoi incavi e il suo limite (interrogare i poeti) è quel che ci resta. Esso contiene ancora un'illusione: che ordine linguistico e ordine politico siano nel contempo speculari e intrecciati, sicché un sommovimento, una sfida, una mutazione nell'uno appaia anche.nell'altro. Come fare a meno di questo sogno? Questo sogno - sogno d'una mutazione - appartiene alla poesia prima che alla critica. La critica è l'interpretazione di questo sogno (forse è qui che la Traumdeutung freudiana incontra l'analisi del linguaggio). Il cammino del.la mutazione attraverso il linguaggio conosce deserti e dirupi. Conosce il silenzio e il limite, l'opacità dell'indicibile e la trasparenza del canto. La resistenza del corpo a farsi parola, e della lingua a farsi pensiero. Non ha verifiche, né repliche, né usi. Non ha senso storico né si alimenta di progetti. È al riparo da appropriazioni: quando queste si accampano, non è la critica che le porta, ma l'ideologia. Del vuoto non fa una costruzione, della sfida all'ordine linguistico una strategia, del silenzic:>una carenza o una privazione. li cammino della mutazione attraverso il linguaggio corre al di là dei recinti di volta in volta issati dalla ragione storiografica, si chiamassero intuizione lirica, autonomia, alterità, oppure responsabilità, eteronomia, impegno. L'heideggeriano «dialogo» tra pensiero poetante e poesia pensante dice della poesia il suo essere ancorata nel pensiero della crisi. È da questo luogo, dove le immagini si raccolgono al pensiero - luogo custodito da Mnemosyne - che lo sguardo sul linguaggio pretende ad una mutazione di cui la parola sia il segno. Ma il paradosso di un'impotenza pari alla pretesa sorveglia questa sfida, e la fa apparire come rifugio, idillio, confessione personale, esercizio privato. gioco. Eppure, che cosa sappiamo della mutazione dei rapporti custodita nel gratuito? (Anche questo, l'intreccio tra la parola e il dono. abbiamo lasciato per strada, tra la teologia mistica e il respiro di poeti maledetti o orfici, metafisici o disperati). Prima di Rilke e di Blanchot, la meditazione leopardiana sul linguaggio della poesia, come prende forma in quella quotidiana resistenza contro lo «spirito della restaurazione» che sono i fogli dello Zibaldone, ha fatto, della parola poetica un 'interrogazione, del lavoro sul linguaggio la misura d'una modificazione, delle «favole antiche» la soglia per la critica del moderno. «Se alcun libro morale potesse giovare. io penso che gioverebbero massimamente i poetici». dice Eleandro a Timandro nelle Opere/le. Ma poiché. al di fuori di queste domande, la politica, anch'essa confermata ad una morale a sé propria, continua a tessere le sorti degli uomini, sotto ogni cielo, succede che dalla terra del linguaggio partono, periodicamente. le incursioni binarie, figure dell'intramontabile impegno: estetizzazione della politica, politicizzazione dell'estetica. Come Benjamin vide dell'avanguardia. Figure d'una falsa unità. Tra opposizione e falsa unità sembra non ci sia alcun varco. Questa opposizione ha qualcosa dell'opposizione tra natura e civiltà, tra immaginario e reale, tra soggetti e storia: materiali per declinazioni storiciste, separazione che alimenta di volta in volta nostalgia e progettazione, intimismo e senso storico, formalismo e realismo. Occorre spostare lo sguardo oltre questa separazione, oltre le sue provvisorie ricomposizioni. Tra la domanda di Nietzsche: chi parla?, e la risposta di Mallarmé: è la parola stessa che parla, corrono i fili intricati del rapporto tra scrittura e potere. Indagare questo rapporto vuol dire pensare . la scrittura non come il luogo dell'innocenza, ma come una voce impigliata nella tumultuosa proliferazione dei linguaggi del potere: può in questo intrigo prendere figura e potere quel sogno che modula con ostinazione «changer la vie»? Seguire le infinite modulazioni di questo sogno, interrogarle e trascriverle in mille linguaggi, dare ad esse nuove paroie e nuovi gesti, vestirle di desiderio e di rivolta, nell'assenza di ogni speranza, non è restare prigionieri di un incantesimo, se tutto questo scuote le impalcature del gran teatro dove la politica tiene la parola e rappresenta uno spettacolo sulla cui scena non ci sono i corpi ma la loro astrazione, non i soggetti ma la loro rappresentazione, non i sogni ma la loro censura.

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