..... -e ~ -~ "'- e:, oC °' <:) t: ';O -~ .. .. .. .. ::: ~ .,,, ~ <::: e annes, 18 maggio. «Death is in», dice Cliff Gorman in Al/ thai jazz, il più anomalo musical nella storia del musical, che si propone addirittura di coniugare la morte con lo spettacolo, di fare della morte il nucleo di uno show. E l'orizzonte della morte appare in fondo come uno dei poli essenziali della riflessione cinematografica più rigorosa in questo festival di Cannes, quasi occasionalmente attraversato da alcuni grandi momenti e per il resto così mediocre. Bob Fosse fa uno show sulla propria morte mancata, Wenders fa con Nicholas Ray un film sulla morte vera di Nicholas Ray, Kurosawa costruisce sulla morte negata (nella finzione filmica in questo caso) un'epopea in cui l'ombra e il reale sembrano confondersi, proprio là dove le determinazioni concrete e storiche paiono più evidenti, Tarkovskij nel film «surprise», sottratto a Venezia, costruisce una disperata metafora dell'agonia e della fine. Fuori di questo, sembra non esserci altro. La descrizione della vita, la-rappresentazione-dei-problemi-dell'uomo-contemporaneo, o la interpretazione dialettica della realtà, tutte queste cose che hanno costituito il tessutto connettivo del cinema culturale degli ultimi decenni sembrano davvero totalmente esaurite perché hanno perso ogni capacità di inscrivere il discorso filmico in un orizzonte simbolico differente da quello formalizzato dei media. C'è una disgregazione del cinema di buon livello con pretese culturali e del cinema (apparentemente) colto con pretese spettacolari, ormai totalmente appiattiti sul più vieto e noiosodéjà vu; e c'è nello stesso tempo una dissoluzione del cinema povero che per arini ha rappresentato l'apertura di una verità diversa e antispettacolare, radicata nelle esperienze dei nuovi soggetti marginali e atipici e che oggi non ha più (tranne in pochissimi casi, come l'inglese Radio on di Christopher Petit) la forza della differenza e della sua complessità simbolica. Così riemergono in fondo con un nuovo significato le operazioni classiche condotte all'interno dei generi (The Big Red One di Samuel Fuller, ad esempio). E, soprattutto, producono nuove intensità le esperienze degli estremi che spezzano la dipendenza dall'universo dell'omologazione e dell'identico e percorrono il cinema come radicalità di cui si può potenziare il carattere simulacrale ed illusorio o quello spettrale e disperante. ' ~ Death is in» si diceva all'inizio. ~ E trasformare la morte mancata o la·morte vera ma non ancora avvenuta in simulacro filmico per .. FùLLIA.llORALE Morte aCannes esorcizzarla o per vederla all'opera, è certamente una delle esperienze estreme, più illusorie o più disperanti che il cinema possa vivere. Ali that Jazz è indubbiamente il prodotto di un uomo di spettacolo che intende, un po' cinicamente, spettacolarizzare la propria stessa morte, ed è indubbiamente un film che cercà di mescolare tutti i registri comunicativi possibili con un senso dell'entertainment così perfetto da apparire forse stucchevole. Ma è anche una consapevole operazione di rifiuto della descrizione del vissuto in favore di una risoluzione totale del vissuto nello spettacolo. Diversamente che in Cabaret e in Lenny, Fosse sfugge alla trappola dell'intreccio di spettacolo e di narrazione della vita per trasformare la vita e la morte in spettacolo e annullare tutto il resto. E infatti i problemi sentimentali e sessuali, familiari e di lavoro del protagonista Joey Gideon, regista e coreografo di Broadway, sono totalmente privi di interesse e di significato finché restano nel registro della rappresentazione e diventano invece intensità reali nel momento in cui si risolvono in «show». E la stessa malattia e la morte di Joey sono patetiche, già viste, quando vengono soltanto descritte e diventano invece un'invenzione radicale, una forma immaginativa nuova. quando si trasformano in componente inconsueta di un musical. In due sequenze particolarmente significative Gideon discute i propri rapporti con la moglie e con la figlia, mentre costruisce con loro due momenti coreografici per il suo nuovo spettacolo, con uno straordinario effetto di subordinazione della parola al gesto, della psicologia al movimento, della realtà alla danza. In questo senso, l'obiezione rivolta da alcuni critici a Fosse di rifare troppo Fellini e in particolare Ouo e mezzo hanno un valore relativo, perché l'operazione di Fellini (in Otto e mezzo, non nelle piatte ripetizioni successive) riguardava la rappresentazione dell'inconscio e dei fantasmi interiori come scena, mentre il film di Fosse investe il prnblema della trasformazione di ogni cosa in spettacolo e della chiusura dello spazio della simbolizzazione non spettacolare. Giustamente il film si conclude non tanto su)l'immagine del cadavere di Gideon impacchettato nel cellophan, ma con quella sorta di inno di Broadway che è There's no businness like show businness. Anche l'esperienza della morte, anche l'alterità assoluta può essere piegata e fagocitata dallo spettacolo perché non solo non esiste niente di meglio dello «showbiz» ma in fondo non esiste niente fuori dallo «siu.,wFOLLI.\ MOR.\LE illtr~ginm~nto <li pai..:11,11.0 Paolo Berteuo •. - ' .. •, l• • 1,1,1-,. • A, • '~ ·' ;~~~i;& Ji'i~. 71) •- Par:uwia (psicosi siMem:,tir.al r.on delirio cronico di rersocuzione e gra.11dezz.:\. (Il mal:1to. chi, si trov:i. in completa. fas~ mctnbolica (cnnginmcnto tlP.Jlaperacin:'l.1it3).·:isi l~redc un grande peraonag12io. imperatore. ge11er:lle, mPasin, chi:unato ad opPr:tre mir.a.bolanti riforme politico-sociali. Gli oruamenti. le med.:tglie, le orlnture ::sonoin c-art::i e strisro di panno ù:anco incoll:\le e cucite sugli abiti}. biz». Esemplarmente con il musical, lo spettacolo per eccellenza, Fosse chiude quel discorso sulla spettacolarità totale che Altman e Kubrick, Bogdanovich e Coppola avevano elaborato negli Anni Settanta. A ll'opposto, in Lightning aver water, che porta come sottotitolo Nick's movje, la morte in progress di Nicholas Ray, non viene spettacolarizzata, ma filmata, non è rappresentata, ma spiata e scritta nello stesso tempo. Lightning aver water è infatti una registrazione anche impietosa della morte di Nicholas Ray e una invenzione sulla morte nel cinema, un discorso tragico di verità dentro il cinema realizzato senza che vi fosse alcuna traccia di cinéma-vérité, di «vita colta alla sprovvista», per dirla con Vertov. In Lightning aver water nulla è improvvisato ed anche le scene che sembrano casuali, inventate durante le riprese, sono il risultato di una programmazione molto accurata che punta tutto su un cinema scritto e pensato. Il film di Wenders e di Ray (ma, certo, anche di Peter Przygodda, visto che il montaggio finale è stato affidato totalmente a lui) è quindi non tanto una ennesima operazione metacinematografica. un altro film su un film che si sta facendo, ma un discorso a più livelli, variamente riflesso, sulla possibilità del cinema di filmare la morte, cogliendola nella sua assenza/presenza. nel suo non esserci o nel suo esserci attraverso l'approssimarsi progressivo. La forza estrema del film di Ray e di Wenders è proprio in questa capacità di filmare la spettralità come fenomeno, il non accaduto come sempre accadente, l'assenza come presenza, è nel filmare il non filmabile, la fine in atto e la sua procrastinazione permanente. Finché il film filma la morte, garantisce in qualche modo la vita e la sua simbolizzazione. Nel momento in cui il film smette di filmare la morte, in atto. di annettersela, in quel momento è l'arresto della vita che avviene, il suo non essere più come morte che lavora. La morte appare quindi come un'opera in progresso e come un'immagine. ma come un'opera che non giunge a conclusione e come un'immagine falsa. che cela un'altra immagine, con un'attività che nasconde (nel film) indefinitivamente il proprio risultato e come un'immagine che si modifica preparando un'assenza. Se il cinema è quindi la morte al lavoro. come è stato detto, è invero l'assenza di questa morte e la spettralità di questo lavoro, è l'una e l'altro nella loro faccia nascosta, nel loro negativo. li cinema è la morte al lavoro solo in quanto ne è anche l'infinita sospensione. - Cut!- dice ripetutamente Nicholas Ray, quasi alla fine del film, dopo una lunga sequenza di primi piani in cui si descrive e si rivela. E lo stacco è la interruzione della morte sospesa. Nicholas Ray muore mentre il film non è ancora finito. Dopo la sua morte vengono ancora girate alcune sequenze. Ma Wenders non vuole curare il montaggio del film. Come essere l'artefice di quella seconda morte di Ray che è il montaggio cinematografico della sua morte? Wenders può filmare la morte di Ray solo quando non esiste che l'illusione di questa. Dopo, il cinema cade, si perde di fronte a un'alterità che non può padroneggiare: Lightning aver water è esattamente l'opposto di Ali that jazz. Ed è film che fa di nuovo pensare al cinema come a una potenzialità infinita, e riapre forse lo spazio per una nuova utopia cinematografica, questa volta in forma rigo:osamente negativa. M a il discorso sulla spettralità e sulla morte non passa soltanto attraverso l'intensificazione del rapporto tra il filmare e il morire. Kurosawa percorre una via completamente diversa per scardinare dall'interno la rappresentazione filmica e farne apparire l'ombra, la trama fantasmatica. Apparentemente Kagemusha (L'Ombra) è una epopea sulla storia giapponese, un affresco di grandi dimensioni, realizzato grazie all'intervento finanziario di Coppola e Lucas. È un film costruito con notevole sapienza rappresentativa e descrittiva come sempre nel cinema giapponese classico. Il senso hollywoodiano della spettacolarità di massa si intreccia con lo stile purissimo della tradizione teatrale giapponese, la dinamicità dei movimenti collettivi, si alterna con il rigore geometrico e la staticità assorta delle azioni negli interni. Ma dietro questa epicità classica Kagemusha è un film sull'apparenza, sulla sospensione della morte, sull'immagine che inganna e sulla forza piena dell'immagine che tende a sostituire il reale. Il film è infatti la storia dell'occultamento della morte di un principe potentissimo del '500 e della sua sostituzione con un sosia. La morte negata del principe diventa così l'apertura allo spazio dell'apparenza, l'essere viene sostituito con l'immagine, la funzione è prodotta da un simulacro vuoto che non è più niente se non la sua presenza cerimoniale. Così la tematic..a shakespeariana, che già aveva interessato Kurosawa ne Il rrono di sangue (una lettura del Macbeth all'interno della storia giapponese ), viene qui ripresa e in qualche modo ridefinita potenziando il discorso sull'ambiguità del potere e sull'illusorietà del reale. L'ombra sostituisce un'assenza, ma è talmente legata a quell'assenza da ritrovarsi senza più identità al di fuori del nuovo cerimoniale imposto. L'ombra diventa così il segno di due assenze e tutti gli altri personaggi del film paiono improvvisamente sostituibili con altre ombre, inseriti in una trama di destini che li supera come soggetti. Così l'ombra segna non solo l'illusione del reale ma anche quella dell'identità e del soggetto e l'esistenza dei personaggi appare sempre come un'incertezza, forse un inganno, che si tratta di spiare e di verificare di continuo. I rituali sono perfetti, geometrici, ma rivelati alla struttura puramente formale che li sostiene; le azioni e gli eventi storici sembrano tutti resi alla dimensione fantasmatica e ad un gioco di ombre che finisce per togliere ogni determinatezza al reale. In questa prospettiva la battaglia notturna rappresenta il momento centrale nel film. la vera apoteosi del vuoto e dell'ombra: i cavalieri e le truppe che si muovono nella notte, scontrandosi, mescolandosi. respingendosi a vicenda. e le lunghe inquadrature fisse del quartier generale sull'alto di un colle costituiscono uno spazio cinematografico di irrealtà totale in cui la storia (cioè la vita) sembra veramente 111 1 FOl,UA . ISTEllATI7.Z.\T.\ p3r:mroìaacuta con dtlirio reliJZiow
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