guardo al modo in cui essi si trovarono riuniti,. è, prestando fede a Schillebeeckx, il seguente: dapprima Pietro ebbe un'esperienza di perdono della propria codardia e mancanza di fede con la negazione di Gesù. Dopo riuni insieme i discepoli (è perciò che ottenne l'appellativo di eia Roccia» e, in un'atmosfera di dubbio e di dibattito, richiamò con essi la vita e la «Abba experience,. di Gesù. Allora: cessi tutt'a un tratto lo videro: Gesù, abbandonato e crocifisso, è stato definitivamente confermato per mano di Dio: egli vive con suo Padre. Questo - e nessuna scoperta di una qualche tomba vuota - è l'esperienza cristiana della presenza di Gesù in Pasqua,.. 3) La prima espressione della fede pasquale: il problema, naturalmente, è: cosa e videro,. i discepoli? E la risposta di Schillebeeck è che, in senso letterale, essi non hanno visto nulla. Essi semplicemente credettero che Gesù fosse «Colui che vive,._L'espressione più primitiva di questa fede da parte delle prime Comunità fu che Gesù era il profeta del secondo giorno e il giudice messianico che si elevò,. a Dio, senza nessuna menzione di una qualche resurrezione. Il linguaggio di un «risveglio dalla morte,. non è cii fattore di interpretazione più vecchio ed originale,., infatti è un «ragionamento e apita spesso di sentir domandare dai mezzo acculturati pieni di tutte le convenienti buone letture del momento, quotidiane e settimanali, quale sia la ragione e quali in aggiunta i motivi, i punti, le forze, che ancora riescono a tenere in piedi e unilo il Paese, «questa povera Italia». La domanda è compunta e appassionata, rivolta asé e agliastanti soprattutto come un patetico appello, giacché le analisi alle quali costoro possono attenersi non sono davvero in grado di dare le certezze per una risposta. E il patetismo dell'appello diventa sempre più carico proprio perché nasconde con cattiva coscienza il blocco dell'ana- 'lisi e la riduzione della stessa ai comodi del potere dominante, anche per non dovere seguirla nelle zone delle novità inconsulte e incompatibili, là dove ribolle il sociale estraneo, quasi oltre i confini della nostra buona democrazia e delle sue sacrosante istituzioni. Là ci sono i leoni, i crimini e le collusioni e da là viene l'attacco a tutto, alla lira come alla vitastessa dei cittadini responsabili e potenti. Orbene, continuando a cercare di qua, certamente questa classe dirigente e interrogante e più ancora quella più vasta,subalterna e compatibile, che lesi accostaper imilazione e con la speranza di potere presto farne parte, deve aver trovato una risposta, almeno una, la sera di mercoledì dodici marzo davanti alla TV ad uno degli appuntamenti sociali più attesi e frequentati, cioè al Caffé Grand'ltalia di Costanzo; con uso di spettacolo, si, ma istruttivo, perfino irriverente... insomma con quella giusta dose di pettegolezzo e di servilismo che rendono famose e universali le ricette nel nostro Paese. Cosa è apparso quella sera come un palese punto di forza unificante della cultura e della vila italiane? La testadel Prof Francesco Alberoni. Da questo insigne intelleuuale già molti avevano avuto tanto attraverso i suoi scrilti sul Corriere della Sera, perfino il brivido di essereprotagonisti di un nuovo Rinascimento; adesso quella testa esprimeva di più, molto di più. Anche perché, a differenza degli scrilti, poteva esserescalata in fretta e con piacere visivo e intellettuale, e poi assunta nel gergo corrente sotto e sopra la lingUJJ,usato per lo scambio di furbizfa, complicilà e diniego, rifiuto e consolazione (le barbierie ne sono sempre state grandi fucine) per il quale la testa, se non specificata da attribuzioni di contorno, quali: dolore, pensiero, rottura, è im~diatamente la capigliatura. Di sicuro venti milioni di italiani sono stati uniti dalla vista, dallo stupore epoi dall'analisi della capigliatura del Prof Alberoni come di un punto emblematisecondo,. e «solo una delle risorse disponibili,. per esprimere la vittoria di Gesù. Effettivamente, «la realtà denotata dalla 'esperienza pasquale' è indipendente da entrambe le tradizioni, quella centrata attorno alla tomba di" Gerusalemme, e quella delle apparizioni,.. 4) Come, allora, sorsero le storie della «resurrezione» di Gesù e delle sue «apparizioni»? Schillebeeckx segue studiosi come F. Ney Rink e altri, che postulano che i primi cristiani palestinesi che praticavano i costumi ebrei contemporanei compivano una pratica di venerazione della tomba di Gesù in Gerusalemme (che probabilmente conteneva ancora le sue ossa, anche se Schillebeeckx evita di esprimersi su questo punto). Oltre a questa pratica sorse la storia delle donne che trovarono la sua tomba vuota un paio di giorno dopo la sua morte. Ma, lontano da essere un evento storico, questa storia è semplicemente una «leggenda eziologica di culto ... intesa a gettare luce sulla visita almeno annuale della chiesa di Gerusalemme alla tomba allo scopo di onorare il Risorto». Il messaggio del Vangelo. «Egli non è qui: vedete il luogo dove l'hanno deposto» significa semplicemente che Gesù vive, e non deve essere cercato fra i morti. Da questa pratica, nelle «prime generazioni» della cristianità, il linguaggio di una resurrezione del corpo fra i morti cominciò a diventare più importante che il linguaggio della «elevazione» come «il miglior modo di rendere esplicita una prima esperienza spontanea», perché un tale linguaggio si rifletteva facilmente nell'ambito concettuale del Giudaismo contemporaneo. 5) Da una «teologia» di Gesù a una «crisrologia». Le prime interpretazioni del significato di Gesù come il Cristo • non erano «ontologiche» ma «funzionali»: esse non erano interessate a chi o che cosa Gesù fosse, ma a ciò che egli intendeva fare, cioè annunciare la definitiva presenza di Dio presso l'uomo. Perciò tutti i titoli attribuiti a Gesù dai suoi primi seguaci, sia Profeta del secondo giorno sia Messia davidico (non nel senso nazionalistico, comunque) o «Figlio dell'uomo», non spiegano l'identità di Gesù di per sé. ma soltanto la sua identificazione con l'opera di salvazione di Dio. Queste, dice Schillebeeckx. sono «asserzioni di primo grado» riguardo a Gesù». Man mano che la cristianità si sviluppò. essa dovette tuttavia domandarsi chi fosse Gesù in se stesso (la questione «ontologica») come Colui nel quale si compie la salvezza dell'uomo. Questo condusse alle relativamente meno importanti «asserzioni di secondo grado» sull'identità di Gesù, che svilupparono San Paolo e il secondo San Giovanni. Quest'argomento porta al delicato problema (per il quale Schillebeeckx fu chiamato a Roma) della divinità di Gesù. Insieme alla teologia cattolica ortodossa, egli si oppone all'idea «docetista» che Gesù fosse un «dio mondano, mascherato in forma umana», ma diversamente dai teologi tradizionali egli si rammarica del fatto che «la cristologia dall'alto» - Gesù. il Dio fatto uomo del Vangelo di San Giovanni - ha dominato il pensiero cristiano, dai primi Concilii di Nicea e di Efeso in avanti. Egli preferisce far rivivere «le possibilità contenute nel modello sinottico» di una «cristologia dal basso» (Gesù uomo, elevatosi allo stato di Figlio di Dio). S e la posizione di Schillebeeckx (e Kiing sostiene di fatto la stessa opinione) sia sufficiente a soddisfare la Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede e Papa Giovanni Paolo II, resta da vedere. La forza intellettuale propria di Woytjla non consiste né nella esegesi delle scritture né nella teologia sistematica, per le quali egli pare dipendere da consiglieri conservatori, ma piuttosto nella filosofia Via col vento co e sacro, solenne e forte, una cosa da far meditare e da rassicurare, un esempio di bravura e di fermezza. Vedevano là l'onesta verità del rifluire, del costruire, del lavorare con affezione e pazienza, del coltivare, del tirar sù dal basso le forze rigogliose e del rinnovarle nell'elevazione culturale; ecco, era n lagiusta misura fra artificiale e naturale, un esempio di giusta distribuzione delle risorse, di applicazione attenta della tecnologia, l'equilibrio dinamico tra le forze parallele e convergenti, ecco la continuità e l'evoluzione, il progresso senza avventure ecc. ecc. Infatti il Prof Alberoni costruisce, non si sà se più con l'ispirazione di un grande artista appunto rinascimentale o con la bravura di un artigiano positivista, imprenditore puritano, un miracolo di rigogliosa e stabile capigliatura là dove di capelli non c'è più nemmeno l'ombra. E non diventa questo già di per sé un emblema lampante del meccanismo di equilibrio e di elevazione del nostro sistema economico-politico? Anche questo dualisticoe bicamerale,in due tronchi: la capigliaturae le basette. Ma veniamo, dopo questa prima af fermazione d'impeto quasi del tutto estetica, alla realtà dei falli, cioè al proge1to, ai metodi, ai materiali, alla realizzazione della testa del Prof Alberoni. li progetto è quello di una testa dirigenziale, austera e tradizionale, addirittura classica, e insieme nuova e rivolta al futuro. li metodo è quello del/'applicazione e della coltivazione quotidiana, con tempi di studio, ricerca e manipolazione pari a quelli che deve impiegare . un grande virtuoso del piano o del violino, un concertista mondiale (di quelli che si assicurano falange per falange e perfino contro i rumori d'albergo). I materiali sono capelli, pettini, pettinini, spazzole, spato/e e tutta la scala di prodotti delle più sofisticate industrie dell'intero mondo per la produzione di cosmetici e brillantine. Roba che a pubblicizzarli tutti la nostra RAI, che ha tante benemerenze al riguardo, impiegherebbe la metà delle sue ore annuali di trasmissione. Questi materiali sono coltivati in prossimità del luogo sul quale verranno edificati; lungo i parietali, la nuca e il collo, con cura e assiduità totali, quali nemmeno alle colture delle camelie e forse manco a quelle dei bacilli negli istituti di ricerca scientifico-sanitaria. Durante queste coltivazioni il professore studia e scrive, ma non esce e non riceve. Non rivela il suo segreto e la sua fatica. Quando i capelli sono cresciuti al punto giusto, lavati, spazzolati e nutriti di grassi e vitamine, vengono suddivisi in correnti o flussi secondo la destinaPaolo Volponi zione specifica all'interno delle strutture della capigliatura finita, portata, goduta ed esposta. A questo punto comincia la realizzazione: davanti a uno specchio tridimensionale e con alle spalle un altro specchio di dimensioni scope. Sul tavolo di lavoro una infinità di strumenti e attrezzi, alcuni del tutto originali, inventati dal nostro per la particolare bisogna. Per prima cosa il professore dispone sulla propria schiena quattro correnti di materiale e poi si divide la nuca e la calotta cranica fino alla fronte in un certo numero di zone, ciascuna delle quali viene inseminata di apposite lacche e colle. Indi la prima corrente o flusso a sinistra viene afferrata con ambo le mani e tirata su con garbo e affetto magistrali lungo la zona uno della nuca, passata sulla zona due sopra l'orecchio, applicata sulla zona tre tra parietale e volta cranica e poi tiratanetta, rigidamente e senza indulgenze, sulla zona quattro fino alla fronte. Unprocedimento analogo valeper la corrente due, una delle due centrali, quelle parallele ma convergenti, che però a differenza della prima viene ondeggiata al culmine e sfrangiata all'arrivo, sulla fronte. Qui le sue ardite e svolazzanti avanguardie vengono immediatamente laccate e sistemate in quell'ordine a sbalzi che cingerà, mischiandolo di correnti e di genio, la grande fronte. Quest'ordine risulterà cementato e inamovibile qualunque movimento il Professore sia costretto a fare con la propria testa, anche quello di inclinarsi. A tal fine occorre ripetere il gesto delle lacche, aspettare che si asciughino bene e poi vivificare ciascuna frangia con una spruzzata di brillantina. Dopodiché l'ordine dei lavori procede con un salto. La natura pare che non li faccia, ma la ricerca scientifica può permetterselo. Infatti il Professore non mette mano sulla terza corrente di capelli, ma sulla quarta, quella che dovrà chiudere la costruzione sulla destra. L'operazione relativa assomiglia a quella effettuata sulla prima corrente o flusso, ma se ne differenzia perché il progetto prevede un lato destro piuttosto mosso, scosso da ondulazioni e anche da qualche impennata; leprime per dare il senso di una possibile apertura di idee, dialogo e magari intesa e recupero, leseconde per stabilire una ferma cintura protettiva contro le nostalgie e le ventate dell'avventura. Quindi, il lavoro sulla quarta corrente, terzafase, che richiede ancora maggiori attenzioni; molta abilità nel maneggio dei materiali da trattarequasi uno per uno, e grande precisione nel dosaggio delle colle e in quello delle brillantine e delle lacche fissatrici. L'insieme deve risultare fermo ma mobile, pettinato in senso tradizionale, eppure percorso da stimoli di comprensione e di modernismo e punteggiato di luci sapienti. Lavorare la terza fascia, ultima fase, è più semplice e assomiglia ormai a un'azione di governo: buoni interventi e provvedimenti secondo un binario già predisposto in sede teorica. Alla fine, sulla fronte, la terza fascia non dovrà esseresfrangiata come la sua parallela ma piuuosto divisa e piegata in due riccioli di uguale consistenza e brillantezza, uno verso destra e uno verso sinistra. A seconda dell'umore del Professore, degli incontri previsti, delle adesioni o delle critiche ricevute, il ricciolo di sinistra potrà essere leggermente ridotto, di una ventina, massimo di venticinque capelli, ma non di più. Seguono un'accurata operazione di collaudo e un'altra più minuziosa, frazionata in successivi sondaggi spaziati nel tempo di circa un'ora, di controllo di qualità. Dopodiché è quasi un giuoco tirare e srirare le basette in quel brulicante e demoniaco serpentismo che alla fine contorna la faccia per esprimerne la densità e il magnetismo intellettuale. A questo punto, tu/lo tondo al centro degli specchi, il gra,:ideartefice stanco ma felice, ben ripagato del duro lavoro compiuto, non può ancora dar sfogo a un giusto sentimelllo di ammirazione e di autocompiacimento. Deve prima con spugnette e salviette ripulirsi la fronte, il naso, il labbro superiore e le orecchie e poi incremarli e incipriarli ciascuno per un suo particolare clima e ruolo. Dopodiché il Professore Francesco Alberoni è pronto per il mondo . L'articolo per il Corriere e le dispense per l'Università li ha già scritti prima, con i capelli ancora a metà della schiena o la sera precedente con la capigliatura in fase di smottamento. Magari può essereche durante la costruzione della testa,sia andato più volte con ilpensiero agli scritti e alle iniziative future; che magari abbia abbozzato con le boccette in mano, altri lustri di questo nostro attuale rinascimento. Ma noi non possiamo fermarci qui, ad aspettare le dovizie di tale momento e dobbiamo per forza critica,al di là dello stupore, considerare questa testa per quel che è: anche al di là delle lodi di Agnelli e di Carii che seguono il nostro sulla strada rinascimentale con piena solidarietà capillare, il primo anch'esso mosso da arieggiatee sapienti basette, e il secondo convinto sì, ma un poco inscurito d'invidia dentro la cupezza di quella spietata cafrizie, segno probante di santità, cui lo costringe il campo di lotta sopra la testafra il furore matematico delle cifre e il furor politico delle medesime, specie se riferite alla lira. morale. Sebbene egli sia il primo Papa ad essere notevolmente influenzato dai lavori del fenomenologo tedesco Max Scheler (1874-1928), le sue intuizioni riguardo ai problemi della moralità personale - ne è una prova la sua posizione sul controllo delle nascite - tendono ad essere decisamente ·tradizionali e tomistiche. È abbastanza chiaro in quale direzione Papa Giovanni Paolo II sta conducendo la Chiesa. ma rimane da vedere fino a dove (e in che numero) i fedeli lo seguiranno. I teologi possono finire per scegliere la strada della emigrazione interna in materia di fede e di morale, proprio come molti laici hanno fatto in materia di controllo delle nascite e di sessualità prematrimoniale. In ogni caso, i vecchi tempi di Roma· /ocuta est, causa finita est («Roma ha parlato, il caso è chiuso,.) possono considerarsi finiti. Il Papa farà bene a riflettere sugli scambi forse apocrifi fra Luigi XVI e il suo servitore il mattino dopo la presa della Bastiglia. Questa è una rivolta» disse il Re. «No, sire», rispose il servitore, «questa è una rivoluzione». 1raduzione di Francesco Marsciani Reprinted by permission from The New York Review of Books Copyright C 1980 NYREB Ordunque, che testa è e a chi assomiglia con la medesima il professor Francesco A I beron i? Si potrebbe subito dire, affidandoci alladeduzione, che una testadel genere una volta che s'immerga davvero nella corrente della realtà o che si esponga al vento onesto della cultura viva e della critica, verrebbe presto scoperchiata e ridotta una macchia opaca. Ma questa potrebbe essereuna deduzione maligna e partigiana. Affidiamoci allora al riconoscimento e al confronto, che sono elementi base di ogni buona analisi. li primo riferimento che prorompe e cheproprio per ilsuo impeto può essere ricevuto e condiviso dalle folle degli acculturati e dei televisivi, dentro la loro cultura di classe dirigente, è che la testa non è nuova: è bella sì, ma non attuale, e che sembra appartenere a un colonnello sudista tratto dallepagine di Via col Vento o dalle immagini di tanti film di genere. Bello, altero e sdegnoso con un fondo di umanità e tristezza, segnato dalle esperienze non sempre semplici e felici, reso discreto dal/'avventura e da rapporti poco èonfessabili, raffinato dal cinismo, appagato dal denaro: eppure ancora disponibile al- /' amore, pronto a nuovi richiami. Ma ahimè il Sud ha perso per sempre e i nuovi padroni si dilettano della sua compagnia, ascoltano i suoi discorsi, ma poi non lo chiamano cl'.lnloro al momento delle grandi decisioni. Può nutrirsi del rimpianto, il colonnello, per i buoni negri e per le opime piantagioni di una volta. Un altrò riferimento è con i protagonisti del secondo e terzo decennio dell'ottocento, quelli integrati ecorresponsabi/izzati come ambasciatori, ministri di polizia e artisti di complemento e illustrazione. Questi soli, perché il nostro non ha nemmeno le arditezze e i gomiti di un maresciallo napoleonico. È piuttosto un accademico ritrattoda un altro accademico. Guardate il ritratto appunto di Pierre-Narcisse Guérin, direttore a Roma della Accademia di Francia, che conduceva la sua brava colonizzazione culturale, dipinto nel 1829 da chi gli succedette in quell'incarico, Horace Vernet. • Si può aggiungere che questo Vernet conserva nelle nostre enciclopedie a dispense fama di pittore pompiere del napo/eonismo. Insomma, la testa di Alberoni è uguale a quella di sudditi fedeli di più di cento anni fa. Ah! ... nel corso dei colloqui al Caffé. Grand'ltalia il Professore ha citato e si è riferito più volte a Stendhal. La cosa mi • ha un poco sorpreso, fino a quando il giorno dopo non ho visto in un'insegna di profumeria, che Stendhal è il nome di una marca di cosmetici.
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==