una restaurazione del Papato. Anche prima che la sanzione curiale venisse imposta a Kiing, il Papa aveva già fatto la sua mossa più inosservata, ma la più minuziosa compiuta fino ad allora: la promulgazione della Costituzione Apostolica Sapientia Christiana del 15 aprile 1979. Quello che può apparire a una prima occhiata come una revisione innocente - la prima dal 1931 - delle regole per le università pontificie, diventa ad una lettura più attenta una importante presa di distanza da qualunque cosa assomigli a ciò che John Henry Newman immaginò in The Idea of University. Secondo la Sapientia Christiana, i teologi delle università pontificie «non insegnano sotto la loro propria autorità, ma in virtù della missione che essi hanno ricevuto dalla Chiesa», e cosi devono ottenere una dichiarazione di nihil obstat e i diritti di una «missione canonica» (missio canonica). Infatti, i teolo.gi hanno il dovere di completare il loro lavoro in piena comunione con l'autentico magistero della Chiesa, soprattutto con quella del Pontefice Romano, e devono presentare «opinioni personali» solo «modestamente» (arti. 26, 27 e 70). Questi paragrafi sono fra quelli che la congregazione citò nella sua condanna di Kiing, e che il Cardinale conservatore tedesco Joseph Ratsinger invocò per negare al teologo progressista Johann B. Metz la cattedra di teologia sistematica in Monaco lo scorso anno. «Se la Costituzione Apostolica è applicata letteralmente», ha scritto recentemente il rev. Charles Curran, «questo significherà che le istituzioni cattoliche canoniche non possono essere vere università, nel senso accettato del termine negli Stati Uniti». Sapientia Christiana si riferisce solo alle università pontificie. quelle che sono state fondate o appoggiate dalla Santa Sede (in America, per esempio, l'Università Cattolica del Washington D.C., ma non Notre Dame). Secondo Curran, tuttavia, il nuovo Codice di Legge Canonica proposto, che deve essere promulgato entro i prossimi mesi, allargherà probabilmente i principi di Sapientia Christiana a tutte le università cattoliche. Ciò significherebbe per esempio, che i professori di filosofia a Fordham e a Notre Dame, saranno obblÌgati «a dimostrare la coerenza (delle loro opinioni) rispetto alla visione cristiana del mondo, dell'uomo e di Dio» (art. 79, sez. I), uno stato di cose che sembrerebbe dar credito all'affermazione di George Bernard Shaw che una «università cattolica» è una contraddizione in termini. In occasione del primo anniversario della nomina di Woytjla al seggio di San Pietro, Hans Kiing decise, prudentemente o no, di inviare una critica fraterna al Papa. Nell'articolo di Kiing, pubblicato sul New York Times il 19 ottobre 1979 e una settimana dopo su Le Monde e sulla Frankfurter Allgemeine dal titolo Il papa Giovanni Paolo Il: il suo primo anno, egli si domandava se «il prediletto dalle masse e il superstar dei media» fosse «veramente libero dal culto della personalità dei papi precedenti, per esempio Pio XII». Suggeriva. in forma interrogativa, «che il Papa non era sufficientemente al passo con i recenti sviluppi della teologia», e che era diventato «un difensore dottrinale di antichi bastioni». Quale influenza esattamente questo affronto personale possa aver avuto sulla decisione del papa di mettere al silenzio Kiing otto settimane dopo, non lo si può sapere con certezza. Persone vicine al Vaticano dicono che Woytjla era furioso, e intendeva dimostrare all'avversario chi fosse il padrone· (certamente non avrebbe potuto essere contento neppure dell'affermazione di Kiing dell'anno precedente: «quando il papa e i vescovi non riescono più a compiere adeguatamente la loro funzione di guida, il ruolo chiave passa nelle mani dei pastori e dei teologi della Chiesa Cattolica»). Altri, compreso il sottoscritto, credono che la condanna non sia stata una decisione affrettata. ma rifletta invece uno spostamentogradualeedecisivoverso il conservatorismo nella gerarchia tedesca. Con la morte dell'amico intimo di Kiing. il card. Julius Dopfner, nel luglio del 1976, e l'ascesa dei cardinali conservatori Joseph Rotsinger e Joseph Hoffner, Kiing si accorse che l'appoggio di cui godeva fra la gerarchia tedesca occidentale stava venendo meno. A prestar fede ad un memorandum passato al Governo Italiano dal Segretariato Vaticano di Stato. durante l'ultimo conclave papale, un buon numero di cardinali tedesco-occidentali e nord-americani sostennero la candidatura di Woytjla perché erano «contro le 'aperture' e i 'compromessi'» e «cercavano un Papa 'intran- ·sigente e conservatore' che potesse eliminare gli errori che erano stati fatti a partire dal Concilio Vaticano II». In ogni caso, Hans Kiing ha avuto scontri successivi col Vaticano fin dal 1957. Nel suo libro Justification: The Doctrine of Karl Barth and a Catholic Reflection. Kiing sosteneva che la visione luterana di Barth della giustificazione in virtù della sola fede - la misericordiosa assoluzione divina del peccatore che ha fede - convergeva di fatto con la dottrina cattolica stabilita nel Concilio di Trento. La tesi è stata considerata cosi radicale e di tendenza protestante da provocare l'apertura di un dossier su Kiing presso la Sacra Congregazione (Registro del Sant'Uffizio. 399-57-i). Il dossier è cresciuto col passare degli anni man mano che Kiing pubblicava libri su libri su temi controversi. come la libertà intellettuale, il celibato, le strutture della Chiesa. e infine, nel 1957, il defunto cardinale Alfredo Ottaviani, una specie di John Motchell del Vaticano (si assomigliavano anche fisicamente) tentarono di sopprimere l'opera di Kiing The Church (London, Search Giuseppe Enrie, Crepuscolo ( I 93 I) Press) per il fatto che asseriva, fra l'altro. che l'infallibilità significa semplicemente il «fondamentale permanere della Chiesa nella verità, cosa non disturbata da errori individuali». L'ultimo sviluppo di questo tema nel suo lnfallible? An Inquiry (Doubleday, 1971) e di nuovo un anno dopo in Kirche. Gehalten in der Wahrheit? è la ragione per cui Kiing è stato alla fine espulso. «L'assunto principa\,e» disse alla stampa il card. Hoffner lo scorso dicembre, «è la posizione di Kiing sull'infallibilità». Tra i teologi Cattolici Romani c'è un crescente consenso sul fatto che ciò che Kiing chiama il «metadogma» dell'infallibilità papale, definito nel Concilio Vaticano I (1870) è, per ragioni sia storiche che teologiche, nient'altro che un pasticcio dottrinale. Kiing può ragionevolmente affermare che i suoi scritti «non sono un tentativo di portare agitazione o incertezza nella Chiesa, ma solo di dare espressione all'agitazione e all'incertezza che sono già presenti ovunque». In campo storico, il dogma è stato reso sospetto dalle· manovre da stato di polizia con cui venne forzosamente introdotto attraverso il Concilioda Pio IX, personaggio epilettico e dal pugno di ferro, il quale anche allora era noto popolarmente come Pio No-No per il suo Syllabus Errorum del 1864 (se egli era cosl conservatore nella vita privata ciò dipende in parte dalla paternità - stando alle prove disponibili - del suo giovane associato cardinal Guidi). In campo teologico, come afferma Kiing nella sua prefazione all'opera di A.B. Hasler Wie der Papst unfehlbar wurde. «l'infallibilità del Papa non potrebbe essere definita con sicurezza al giorno d'oggi». Infatti: «Oggi i teologi Cattolici ammettono, con una apertura finora inabituale, che gli organi delle 'infallibili' decisioni dottrinali. almeno per principio ... possano sbagliarsi e in molti casi si siano sbagliati». Per Kiing. l'enciclica del 1968 di Paolo VI sul controllo delle nascite è «il tallone d'Achille» della dottrina papale sull'infallibilità. Invece di insistere sulla correttezza di quella e di altre dottrine, egli sostiene, la Chiesa dovrebbe lasciare l'infallibilità «a ciò per cui era stata originalmente riservata: a Dio». e accdntentarsi di una più modesta «indefettibilità», un modo di essere in generale fondato sulla verità del Vangelo senza alcuna garanzia che qualunque asserzione papale, anche se dichiarata solennemente come inerente alla fede (de fide), sia necessariamente libera da errore. In Kirche. Gehalten in der Wahrheit? egli propone un procedimento di «apprendimento per errori. 'il metodo della prova ed errore' (Kart Popper)». Anche se Kiing afferma che egli «non sta abbandonando la realtà dell'infallibilità» e per quanto parli solo di «indefettibilità», il Vaticano non è rimasto convinto dalla sua sottile ermeneutica. Egli venne chiamato a Roma nel 1971 per rispondere ad alcune domande sulla sua posizione, ma rispose che avrebbe accettato l'invito solo se avesse potuto vedere l'intero dossier che lo riguardava e se avesse potuto scegliere il proprio avvocato difensore. Il Vaticano declinò entrambe le richieste e Kiing si rifiutò di venire a Roma. Al contrario, accusò i membri della Congregazione di comportarsi conformemente allo «spirito dell'Inquisizione». Egli li assicurò: «non mi considero infallibile», e in ogni caso. se essi volevano sapere quello che lui stava insegnando sull'infallibilità. avrebbero potuto venire personalmente. o inviare dei rappresentanti al suo seminario di Tiibingen su questo argomento nell'estate del 1972. Ciò non fece loro piacere. Nel luglio 1973 la Congregazione reiterò la propria posizione in un documento, il Mysterium Ecc/esiae, e fu detto a Kiing che, se lo avesse firmato, il caso era chiuso. Kiing dichiarò questo procedimento «inumano e ingiusto», e domandò se la Chiesa era una «comunità libera. aperta, o semplicemente un sistema totalitario». Per quanto riguarda Kiing, la Congregazione ha risposto alla sua domanda lo scorso dicembre. L'infallibilità non è l'unico problema nel caso Kiing. Nel suo lavoro del 1974 On Being a Christian il teologo svizzero affermò- con l'appoggio della migliore cultura cattolica; e questo è da notare - che le parole «Tu sei Pietro. e su questa pietra costruirò la mia Chiesa» non vengono da Gesù ma dai suoi seguaci posteriori; che la resurrezione «non può essere un eventostorico in senso stretto»; che «le storie sul sepolcro vuoto sono elaborazioni leggendarie» del messaggio che Gesù è vivo con Dio; che la verginità di Maria è nel migliore dei casi «simbolica» e perfino «una leggenda». Nel suo libro del 1978 Existiert Gott? afferma di nuovo quello che aveva detto in On Being Christian: che si deve evitare accuratamente di «identificare tout court Gesù con Dio»; che Gesù emai si attribui alcun titolo messianico»; e che la divinità di Gesù significava semplicemente che «il vero uomo, Gesù di Nazareth, è. per i credenti, una rivelazione reale dell'unico e vero Dio, e, in questo senso. la parola di Dio, il suo Figlio». M entre le opere di Hans Kiing tendono recentemente ad una haute vulgarization, indirizzata meno agli studiosi che ad un lettore genericamente colto (On Being Christian, per esempio, giustamente afferma di essere «solo una introduzione») Jesus, An Experiment in Christology di Edward Schillebeeckx intraprende un cammino più alto. Grande compendio di studi eruditi, esso può essere per gli studi contemporanei sul Nuovo Testamento quello che The Quest of the Historical Jesus di Alberi Schweitzer fu per gli studi sul Nuovo Testamento agli inizi del secolo. Propriamente parlando, il libro non è teologico e neppure cristologico, quanto piuttosto storico. Va talmente a fondo nelle fonti occulte del Nuovo Testamento da rivelare come la fede in Gesù si sia sviluppata, dai tempi della cristianità palestinese primitiva fino a quando il Nuovo Testamento venne compilato. Quando Schillebeeckx scova nel passato quella che chiama la «storia embrionale» del Vangelo e delle Epistole, i suoi metodi sono analoghi a quelli di un filologo·che interpreta un palinsesto al suo secondo livello, oppure a quelli di un restauratore d'arte che rimuove un affresco al fine di trovare il disegno originale. Se questo è un processo delicato di per sé, lo è a maggior ragione alla luce dell'attuale modo di sentire del Vaticano a proposito dell'ortodossia. Ma Schillebeeckx è convinto che la scrittura erudita e la Cristianità in generale stiano passando per una rivoluzione copernicana che rende la cultura (se non il messaggio) del Nuovo Testamento ancora più sconosciuto all'uomo moderno di quanto gli studiosi cattolici abbiano generalmente ammesso. Se la cristianità non deve diventare «una reliquia storica», né dovrà appellarsi ad un «hocus-pocus» soprannaturale. il suomessaggiodeveesserescoperto dapprima storicamente con Io studio critico dei testi del Nuovo testamento, e poi stottoposto ad una profonda ermeneutica o ad una reinterpretazione che Schillebeeckx crede essere la possibilità di salvezza per la sostanza delle credenze cristiane. Egli si richiama all'opera di Kuhn, The Structure of Scientific Revolutions e supplica di non essere considerato un eretico solo perché tenta di riaffermare il centro del messaggio cristiano in un nuovo insieme di categorie. «Siamo forse per questo non cristiani o meno cristiani». domanda l'autore, «se cerchiamo di preservare una fede viva che in quest'epoca... ha rilevanza per l'uomo. la sua comunità, la società ...?». Questo tipo di progetto è vecchio almeno quanto Io sforzo di RudoJph Bultmann per cdemitologizzare» il Nuovo Testamento grazie alle categorie esistenziali di Heidegger. Ma Schillebeeckx seguendo la cultura biblica più recente, ribalta la strategia di Bultmann. Mentre Bultmann teneva fermo il fatto che qualunque cosa di un qualche interesse per la fede potrebbe difficilmente essere conosciuta, per ciò che riguarda il Gesù della storia, e che invece tutto il fenomeno cristiano è da trovarsi nella proclamazione (Kerygma) da parte del Vangelo del Cristo di fede (Gesù sorse nel Kerygma, come dice lui). Schillebeeckx afferma che cii Nuovo Testamento ... ci informa sostanziosamente su Gesù di Nazareth», e che questa identificazione storica di Gesù «ci mostra ciò che veramente era quello che la prima cristianità comprendeva con l'affermazione: egli è il Cristo, il Figlio dell'uomo, il Figlio di Dio, il Signore». li archeologia testuale, con cui Schillebeeckxscopre i primi strati della vita e del significato di Gesù. è tanto complessa quanto compiuta, e qualunque riassunto corre il rischio di semplificare il suo sforzo. Tuttavia, nel tentativo di sintetizzare la sua tesi, commenterò su cinque livelli lo sviluppo storico del significato di Gesù cosl come Schillebeek Io presenta. 1) Gesù. «Abba experience». Tutti gli studiosi di scritture, a parte i fondamentalisti, concordano sul fatto che i Vangeli non sono documenti obiettivi di eventi cronologici, ma il risultato di una interazione fra avvenimenti storici e la loro interpretazione da parte dei primi credenti. I Vangeli si muovono in un «circolo ermeneutico»: i contemporanei di Gesù, da un lato attingono alla memoria che hanno della sua vita quando dopo Pasqua essi interpretano il significato della sua esaltazione e del suo atteso ritorno, mentre, dall'altro lato, la loro fede dopo Pasqua modellò la loro interpretazione della sua vita storica. «In altre parole», scrive Schillebeeckx «le storie di Gesù che si leggono nei Vangeli sono esse stesse una ermeneutica della suaparousia (o la imminente sua seconda venuta) e della sua resurrezione, mentre la credenza nella parousia o nella resurrezione era prodotta da ricordi del Gesù storico». Infatti, non c'è via d'uscita da questo circolo ermeneutico; il punto, piuttosto, è di porvisi nel modo giusto. La chiave di Schillebeeckx per spezzare il circolo ed estrarre il Gesù della storia dal Gesù della fede è ciò che egli chiama la «Abba experience» di Gesù, la «fonte e l'anima del suo messaggio e della sua condotta».'La forma storica eccezionale in cui Gesù si rivolge a Dio come «Abba» («Padre», ma nel senso dell'italiano «papà») rivela la sua fiducia profonda nella vicinanza benevola del Dio-Padre che presto manifesterà Se Stesso definitivamente nel mondo degli uomini e trionferà sul Male. Gesù identifica totalmente la sua propria vita con questo arrivo imminente del Padre suo, la «venuta del regno di Dio>. 2) La chiamata a raccolta da pane di Pietro dei discepoli dopo la mone di Gesù. Il problema centrale è ciò che successe fra la morte di Gesù e la nascita della fede cristiana nei suoi seguaci, qualche settimana o qualche mese dopo. La risposta cristiana. più frequente è, naturalmente, la resurrezione, sia essa intesa come un evento storico obiettivo, forse verificabile empiricamente (come nelle interpretazioni fondamentaliste) o semplicemente come una rinascita soggettiva della fede da parte dei discepoli (come sostenevano Bultmann e Willi Marxsen). Schillebeeckx sceglie un cammino intermedio che preserva e modifica entrambele interpretazioni.Localizzale esperienze originali della Pasqua in un processo di conversione (aspetto soggettivo) che ha condotto i discepoli a vedere che Gesù viveva con Dio (aspetto oggettivo). Lo scenario di questa esperienza, insiste, è stato creato dalla chiamata a raccolta da parte di Pietro dei discepoli, probabilmente in Galilea, dopo avere abbandonato Gesù dopo la passione e la morte. Il «punto storicamente centrale ri-
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