Alfabeta - anno II - n. 12 - aprile 1980

Oltrele ca o-rf, i dipartiment • Gianpaolo Bonani O dipartimento universitario Roma, Officina, 1974 pp. 146, lire 3500 Alberto Martinelli Università e società in Usa Torino, Einaudi. 1978 pp. XIV-457, lire 6000 Delega al governo per il riordino della docenza universitaria Gazz.etta Ufficiale n. 54 '( Gaudeamus igitur»: abbiamo una legge che «sistema» l'università. Decidere se esserne felici o meno è materià def conieiidere. Questa legge «sistema• l'università nel senso che davvero vi mette ordine, o la «sistema,. nel senso che la liquida definitivamente? Le voci sono discordi. C'è chi si congratula col Ministro, col Parlamento, col Governo per l'aver condotto in porto l'impresa. E certo non si tratta di merito dappoco, visto che l'università italiana sopravviveva non riformata dal 1933, cioè da Gentile; che resisteva ai più tenaci tentativi di modificazione (ricordiamoli, sono almeno quattro: la legge Codignola quasi approvata ai primi anni '60; la legge Scalfaro del 1969; il tentativo Misasi del 1971; la «bozza Cervone• arrivata quasi sul filo di lana nel 1977); che riusciva a diventare addirittura meno democratica di quella riformata da Casati cento anni fa. C'è però chi invece fortemente sospetta, per esempio gli studenti di sinistra eletti nei consigli di facoltà e che si dimettono in blocco convinti che la riforma dell'università è solo una presa in giro. ln effetti, bisogna dire che la legge, che fra l'altro non è una legge, perché delega al governo (quale?) le modalità attuative, è semplicemente un grosso ibrido. Essa si configura in primo luogo come legge di riordino della docenza: dice quanti ordinari ci devono essere e come si guadagneranno concorsualmente un posto; fa lo stesso con gli associati, fingendo peraltro che i professori attualmente stabilizzati entrino in ruolo e invece sottoponendoli davvero ad un concorso, perché bocciati due volte lorsignori devono andarsene dall'università; e fa lo stesso con i «ricercatori•, fingendo nuovamente di garantire loro la stabilità e invece sottoponendoli allo stesso criterio. on c'è invece nessuna indicazione di chi sono questi docenti e ricercatori, di come insegneranno e ricercheranno in una università rinnovata, in una parola: di quale sia la loro deontologia professionale. Una università riformata dovrebbe avere invece professori anche loro riformati: si dovrebbe stabilire in che modo. visto che si cambiano le carte in tavola, si giocherà il nuovo gioco. Per esempio: come si impartiscono le discipline? Chi decide quali sono le discipline? Come si fanno i corsi? È un problema francamente non piccolo: una volta, per il mutare delle esigenze didattiche, i consigli di facoltà bandivano ogni anno incarichi nuovi e magari ne sopprimevano altri. Adesso, il nome di una disciplina è legge: quel che già c'è non si tocca, e nulla di nuovo va introdotto. L'unico problema della legge è far diventare persona giuridica ciascun individuo, non la sua funzione. Sappiamoche la cosa era delicata. Sappiamo che il corporativismo universitario è stato nel passato grandemente responsabile delle bocciature di altri progetti di riforma. L'idea, in questo caso, era la seguente: visto che non si può riformare globalmente l'istituzione, andiamo per gradi. Prima eliminiamo il problema più spinoso, quello di natura sindacale, e nel contempo introduciamo qualche elemento sperimentale o innovativo. Poi, verFotografia anonima, probabilmeme di Schlemmer, eseguita al Bauhaus nel 1926-27. L'azione costituisce un esercizio dello di Gestualità minimale, ideato da Schlemmer rà il resto. Ed ecco allora che in questa legge arrivano anche gli elementi innovativi. Sul piano strutturale, sostanzialmente due: il do'ttorato di ricerca e la sperimentazione dipartimentale. I I dottorato di ricerca è un termine fumoso con cui si dovrebbe intendere quello che nei paesi anglosassoni si chiama Ph.D, e cioè il vero e proprio titolo di «dottore». Solo in Italia. infatti, esiste un unico grado di studi universitari al termine del quale si prende la laurea. Nei paesi stranieri, e non solo in quelli più avanzati, esistono almeno tre livelli: uno «corto» che serve per prepararsi in un paio d'anni a certe professioni (per esempio, l'infermiere specializzato negli ospedali, il dietista, e cosi via); uno «normale» che costituisce un vero e proprio livello professionale (l'insegnante di scuola, l'architetto, il medico generico, il notaio, e altri); un livello di studi superiori, al termine del quale si viene nominati «dottori», che non si consegue piùcon esamie corsi,macon lavoridi ricerca originale, e che corrisponde ad una specializzazione (il cardiologo, il giudice costituzionale, il fisico nucleare) nonché al miglior titolo per poter insegnare nell'università. Insistiamo: il titolo si consegue con un lavoro di ricerca. Cosa che non sembra esser stata molto ben capita dal nostro legislatore, che a più riprese parla nella legge di «corsi per il dottorato di ricerca». Corsi: ci pare che il loro significato sia indiscutibile, visto che fra l'altro dovrebbero essere organizzati nei dipartimenti nati a questo specifico scopo. Si tratta di lezioni più specializzate. Ma pensare a lezioni più specializzate presuppone qualcosa di più grave: che le lezioni per il conseguimento della laurea non lo siano; e che non lo sia neppure il lavoro di laurea stesso. Continuando nell'inferenza possiamo allora concludere che: le lezioni normali dei docenti sono elementare propedeutica: a queste occorre aggiungere un nozionismo specializzato che si concluderà col titolo di dottore di ricerca; la laurea di primo grado, conseguita ormai da tutti visto che non vi sono selezioni nell'accesso, diventa una sorta di superliceo, e ad esso si aggiunge la superlaurea selettiva. È inutile sottolineare nella legge che essa serve come titolo solo per l'insegnamento universitario: nozionisticamente ottenuta (cioè non con un lavoro su un unico oggetto originale di ricerca) essa diventa di fatto un elemento di valore praticamente legale. Ma c'è dell'altro: formulazione delle lauree e dei loro piani di studio; ordinamento della didattica e della ricerca; riorganizzazione del sapere, sono tutti elementi che convivono strettamente in un sistema universitario. Anzi, sono proprio i loro rapporti reciproci che fanno dell'università un sistema. Il problema del dottorato di ricerca, e quello della didattica sono . dunque strettamente connessi con l'ultimo elemento di innovazione introdotto dalla legge: il dipartimento. Sul dipartimento c'è una letteratura - in Italia - davvero sterminata. Ma, quel che è peggio, decisamente disinformata. Pensate che si parla di dipartimento in Italia fin dalla famosa 2314 del centrosinistra: eppure, questo concetto passe partout, in fondo di non difficile interpretazione teorica, è diventato qualcosa di mitico, di incredibilmente futuribile, un nome magico, al quale però si sono attribuiti da noi significati anche fra di loro contraddittori. Come funziona," nella maggioranza dei paesi del mondo, il sistema dipartimentale? Esso di solito consiste di due organismi funzionali, e due soli: il dipartimento e il corso di laurea. Il dipartimento è una entità fisica: cioè è un organismo dotato di una sede, «abitato» da professori, assistenti e studenti, nel quale si svolgono lezioni, esercitazioni, seminari e ricerche, e dove trovanocollocazionetutte le strutture per la ricerca e la didattica (biblioteca, laboratori, aule, uffici dei docenti, segreterie, eccetera). Il dipartimento, insomma, è un organismo dove sono presenti tutti i servizi dell'università. Anzi: il dipartimento è per eccellenza l'organo servente. Il suo termine complementare è l'organo servito, cioè il corso di laurea. Questo,fisicamente,non esiste: si tratta infatti di una pura istituzione giuridica, corrispondente a quell'insieme di percorsi e regole che uno studente deve compiere per ottenere il suo titolo di studio. Sostanzialmente, il corso di laurea esiste soltanto negli statuti di una università, nelle regole per formare un piano di studi e per sostenere una tesi (quante discipline seguire, quali di esse sono fondamentali, quale punteggio raggiungere obbligatoriamente, quali tirocini pratici sostenere, eccetera) e in un servizio di segreteria centrale che raccoglie la documentazione di tutti gli studenti. Uno studente, in sostanza, si iscrive ad un corso di laurea e conosce tutte le regole richieste per ottenere il titolo di studio. Dopodiché, sceglie gli esami per riempire il suo curricolo nei dipartimenti che contengono più specificamente le materie che lo interessano, ma anche in altri dipartimenti. Tutti i dipartimenti infatti servono tutti i corsi di laurea, chi più chi meno, e lo studente (fatta salva una quota di corsi specifici per la sua laurea) è libero di organizzare il suo curriculum come più gli aggrada. Anzi, è incentivato a farlo proprio per evitare un eccesso di specializzazione. I I dipartimento è ordinato a seconda delle discipline che vi fanno parte. Si conoscono, per lo più, due grandi modelli organizzativi: il dipartimento orientato ai problemi, e il dipartimento orientato alle discipline. Nel primo tipo di organismo, le discipline sono raggruppate a seconda della loro affinità rispetto ad un tema, a un problema, a una specifica esigenza di ricerca. Per esempio, si possono avere dipartimenti di comunicazione, dipartimenti dell'ambiente, dipartimenti della salute, dipartimenti dell'energia, e via dicendo. Nel secondo tipo di organismo, le discipline sono raggruppate per la loro affinità metodologica: dipartimenti di storia (raggruppamento discipline che vanno dalla storia romana a quella contemporanea, dalla storia della chimica alla storia dell'agricoltura, dalla storia della letteratura alla storia della critica), di fisica, di astronomia, e cosi via. Non c'è a tutt'oggi un criterio per affermare quale dei due tipi di ordinamento sia il migliore. È chiaro, ad esempio, che il dipartimento disciplinare consente raggruppamenti che sul piano classificatorio consentono una più facile catalogazione delle discipline, e dunque una migliore organizzazione dei servizi distributivi nei confronti degli studenti. Ma si tratta di un vantaggio del tutto apparente. Basterà pensare, infatti, che in Italia le discipline portano nomi assolutamente non corrispondenti a ciò che davvero si insegna nell'università. E che anzi il loro statuto appare definito più da criteri illusionistico-baronali che da una reale classificazione del sapere. Per esempio, fra le oltre quattromila discipline diverse insegnate nelle università italiane, esistono casi di specializzazionecontraddittori (in una università del Sud esiste Sociologia della letteratura somala, tanto per fare un caso) oppure casi di discipline il cui significato era comprensibile decenni orsono, ma che oggi coprono insegnamenti assai diversi (ad esempio, la cattedra di Decorazione viene riempita nelle facoltà di Architettura di volta in volta con corsi sulla semiotica dell'architettura, sull'arte dei giardini, sull'organizzazioneterritoriale). ..... Non c'è dubbio, pertanto, che l'or- ~ ganizzazione dipartimentale in Italia ~ dovrebbe anche porsi un obiettivo di carattere epistemologico: quella «ri- ~ composizione del sapere» che - pur ~ senza ricercare normative di carattere ~ positivistico, come in tomte e Ampere - tuttavia compiano una qualche operazione chiarificatrice. ~ Il dipartimento tematico ha invece ~ un vantaggio diverso: quello di orga- "<;

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